IVA: il punto delle SS.UU. su controllo automatizzato e decadenza dal diritto alla detrazione per omessa dichiarazione annuale
Con le pronunce “gemelle” delle Sezioni Unite dell’8 settembre 2016, nn. 17757 e 17758, est. Cirillo, la S.C. ha risolto due annosi contrasti giurisprudenziali in tema di eccedenza dell’imposta sul valore aggiunto che il contribuente realizza in un periodo d’imposta in cui omette la dichiarazione annuale e riporta in detrazione nella dichiarazione dell’annualità successiva.
Nello specifico, la sentenza n. 17757 si occupa sia della permanenza del diritto del contribuente alla detrazione del credito Iva nonostante il mancato rispetto degli obblighi dichiarativi, sia della possibilità di darne prova in giudizio. La pronuncia successiva risolve, invece, il quesito prettamente procedurale della corretta tipologia di accertamento cui deve ricorrere l’A.F. a fronte di siffatta fattispecie.
In una prospettiva logico-cronologica, l’esame della sentenza n. 17758 si dimostra, allora, pregiudiziale.
Il casus decisus riguarda il ricorso per cassazione mosso avverso una sentenza della CTR che ha ritenuto corretto, da parte dell’Ufficio, l’utilizzo dello strumento di cui all’art. 54 bis D.P.R. 26/10/1972, n. 633, “liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni”, comunemente conosciuto come controllo formale o automatizzato della dichiarazione, con immediata emissione del ruolo e notifica della cartella di pagamento, in un’ipotesi di credito Iva sorto in un periodo d’imposta nel quale è stata omessa la dichiarazione e portato in detrazione nella dichiarazione dell’anno successivo.
Il ricorrente, ritenendo doveroso da parte del Fisco procedere ai sensi del successivo art. 55 con l’accertamento induttivo, trattandosi di un caso di omessa dichiarazione, mostra di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la verifica della correttezza della detrazione del credito Iva implica delle valutazioni giuridiche non meramente quantitative e comparatistiche per le quali non si può prescindere da un accertamento autonomo, non meramente cartolare e presidiato dalle necessarie garanzie difensive (Cass., 3.4.2012, n. 5318; Cass. 15.2.2013, n. 3755).
Detta linea prospettica non trova accoglimento da parte delle S.U., in considerazione del fatto che la mancanza della dichiarazione Iva nell’anno in cui è maturato il credito, successivamente riportato, è un dato meramente omissivo da correlare alle altre informazioni in possesso dell’A.F. ed a quelle che è possibile trarre dalla dichiarazione presentata; ciò al fine di compiere una verifica di natura esclusivamente comparativa, cui è certamente idonea la procedura di liquidazione formale.
Per il vero, la verifica della correttezza della detrazione operata per pregressa eccedenza d’imposta non è altro che il caso più emblematico di controllo automatizzato, non incidente sulla posizione sostanziale del contribuente, oltre che epurato da qualsivoglia indagine che esuli dal semplice raffronto tra la dichiarazione presentata e i dati detenuti dal Fisco.
In definitiva, se manca una diversa valutazione nell’an o nel quantum del presupposto impositivo ovvero una diversa valutazione della esistenza di crediti o oneri, l’A.F. può liquidare quanto rilevato nel controllo formale ed effettuare l’iscrizione a ruolo e la notifica della cartella, senza necessariamente dover emettere un previo avviso di accertamento in rettifica. Al contribuente è comunque dato il potere, insopprimibile in quanto discendente direttamente dall’art. 24 Cost., di far valere le proprie ragioni in giudizio e documentare l’avvenuta presentazione della dichiarazione annuale, qualora il Fisco l’abbia ritenuta erroneamente omessa.
Nel caso, invece, in cui l’omissione rilevata dall’A.F. si sia realmente verificata, il contribuente potrà comunque adire l’Autorità Giudiziaria impugnando la cartella per dimostrare che sussistono i presupposti sostanziali per la riconoscibilità della detrazione del credito IVA riportato nella dichiarazione successiva a quella omessa.
Ed è a questo punto che il dictum della sentenza n. 17758 si arresta per agganciarsi a quello della pronuncia gemella n. 17757 con cui le S.U. si occupano, più nel dettaglio, della possibilità di considerare decaduto o meno dal diritto alla detrazione quello stesso contribuente che, pur avendo maturato il credito, non ha rispettato gli adempimenti dichiarativi imposti dalla legge.
Sulla questione erano, nel tempo, invalsi due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, prima che, a partire dal 1997, mutasse la cornice normativa di riferimento (artt. 19, 28, 55 D.P.R. 26/10/1972, n. 633).
Per l’impostazione favorevole all’Erario, il contribuente sarebbe incorso nella decadenza dal diritto di detrazione qualora non avesse riportato le detrazioni nella dichiarazione annuale, pur avendole computate nel mese di competenza.
Ciò in base ad un’interpretazione estensiva (o forse sarebbe stato più corretto parlare di applicazione analogica) dell’art. 28, comma 4, T.U. Iva, ora abrogato, che prevedeva la decadenza nel caso in cui la detrazione non venisse computata nel mese di competenza, né recuperata nella dichiarazione annuale.
Per altra tesi, invece, il contribuente che, avendo regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturiva per lui un credito d’imposta e operato la detrazione del credito nelle liquidazioni periodiche, non avesse presentato la dichiarazione annuale, avrebbe comunque potuto computare l’imposta detraibile, risultante dalle liquidazioni periodiche, nella dichiarazione dell’anno successivo (Cass., n. 544 del 1997).
Ciò, vieppiù, in ragione dell’inammissibilità di applicazioni analogiche ed in malam partem delle norme tributarie sostanziali (nel caso di specie, dell’art. 28, comma 4, abrogato dall’art. 9, comma 9, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322).
Con l’intervento del D.Lgs. n. 313 del 1997, seguito da altre normative di settore, muta radicalmente il quadro legislativo in materia di detrazione Iva.
In particolare, l’art. 19, co.1, T.U. Iva assume le sembianze attuali e, dopo aver tracciato i presupposti dell’istituto, fissa l’origine del diritto di detrazione nel momento in cui l’imposta è esigibile, mentre il termine ultimo per l’esercizio della detrazione non può superare la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto.
Detta norma, nel testo modificato nel 1997, letta in uno con l’abrogazione dell’art. 28, comma 4, consegna un sistema Iva che subordina il diritto di detrazione a due soli presupposti: l’esistenza del credito risultante dalla dichiarazione annuale o da documentazione alternativa come la liquidazione periodica; il rispetto del termine entro cui occorre esercitare il diritto.
Per il principio generale della prevalenza della sostanza sulla forma, spesso conclamato dalla Corte di Giustizia dell’UE in materia di imposta sul valore aggiunto (tributo armonizzato), è necessario che la neutralità dell’Iva venga preservata attraverso il riconoscimento del diritto di detrazione tutte le volte in cui sussistono i requisiti sostanziali, rinvenibili già all’art. 17 della VI direttiva/UE Iva. Tali requisiti si sostanziano nell’essere un soggetto passivo
d’imposta che ha compiuto acquisti assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili.
Le S.U., ricordando che il principio su riferito e dettato in ambito unionale deve trovare applicazione anche a livello nazionale per via dell’equivalenza tra gli ordinamenti, sposano la tesi più sostanzialistica e favorevole al contribuente, affermando che, ove questi riesca a fornire la prova che la detrazione operata nella dichiarazione successiva a quella di competenza (omessa) sia collegata ad una reale operazione imponibile, mediante fatture e documentazione contabile, l’inosservanza dell’obbligo dichiarativo degrada a mero inadempimento formale inidoneo a produrre l’effetto di decadenza dal diritto.
Pertanto, se è certamente corretto che il contribuente venga raggiunto dall’atto impositivo emesso dall’A.F. a seguito del compimento del controllo automatizzato ex art. 54 bis (come affermato dalle S.U. nella sentenza n. 17758/16), non può essergli negato il diritto di agire in giudizio al fine di fornire adeguata prova della sussistenza delle condizioni sostanziali della detrazione operata.
Del resto, la natura di mera dichiarazione di scienza della dichiarazione fiscale ed il principio di collaborazione e buona fede che informano i rapporti tra il Fisco ed il cittadino ex art. 10 Statuto dei diritti del contribuente, conducono senza dubbio alcuno ad escludere che l’Erario possa pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma, una volta raggiunta la prova della titolarità del diritto di credito da parte del soggetto che lo abbia vantato riportandolo nella dichiarazione successiva a quella omessa.
In chiusura, non è poi superfluo ricordare come, proprio la CGUE, con sentenza pronunciata nella causa C-332/15 del 28 luglio 2016, abbia affermato che il soggetto passivo che omette deliberatamente di rispettare tutti gli obblighi formali previsti dalla normativa nazionale (dichiarazione annuale, tenuta dei registri Iva e delle scritture contabili) al fine di sottrarsi al pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, non può invocare il diritto alla detrazione.
In questo modo, a ben vedere, è stato tracciato il limite esterno dell’orientamento sostanzialista, nel senso che deve essere considerata poco rilevante l’omissione della dichiarazione annuale esclusivamente quando il resto degli adempimenti formali sia stato correttamente ottemperato dal contribuente, mentre un’omissione globale degli obblighi dichiarativi e contabili impedisce l’esatta riscossione dell’imposta, compromette il buon funzionamento del sistema comune dell’Iva e, per tali ragioni, non può essere tollerata.
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Roberta Salomone
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