La Cassazione di nuovo sull’inammissibilità del ricorso
Con la sentenza n. 23294/2016 la Suprema Corte è nuovamente intervenuta in punto di requisiti necessari a superare il filtro di ammissibilità del ricorso in sede di legittimità.
Il primo requisito prevede che il ricorrente deve porre all’attenzione del Supremo Collegio i punti in cui il giudice di merito ha errato o falsamente applicato norme di diritto e/o i punti in cui ha trascurato od erroneamente valutato circostanze di fatto. Tale offerta deve essere realizzata alla luce della diversa ricostruzione dei fatti storici cui avrebbe condotto la corretta applicazione o valutazione degli stessi elementi, la quale deve avvenire attraverso l’utilizzo di criteri di certezza e non di mera probabilità.
In ragione di ciò viene ribadito un ulteriore requisito secondo il quale i motivi di ricorso devono essere formulati in modo chiaro affinché possano essere direttamente ed inequivocabilmente ricondotti ad una delle cinque ipotesi tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c. La redazione specifica e chiara dei motivi si basa sulla necessità che gli stessi siano strumentali all’obiettivo processuale che sta dietro ad ogni ricorso per cassazione: evitare che la Suprema Corte rivaluti i fatti nel merito ma svolga piuttosto la propria funzione nomofilattica.
La specificità e chiarezza dei motivi si esplica anche nel canone redazionale della sintetica esposizione, con la conseguenza che “[…] è inammissibile un motivo che non consenta di individuare in che modo e come le numerose norme richiamate nella rubrica sarebbero state violate nella sentenza impugnata, quali sarebbero i principi di diritto asseritamente trasgrediti nonché i punti della motivazione specificamente viziati (Cass. n. 17178 del 2014 e giurisprudenza ivi richiamata).“.
La sentenza qui in commento poi, richiamando alcuni precedenti delle Sezioni Unite (cfr. Cass. SS. UU. nn. 26242/2014 e 17931/2013), ha ribadito il principio secondo cui il motivo di ricorso non può essere eterogeneo nel senso che la formulazione deve essere tale da permettere in maniera agevole la scissione delle diverse questioni sottoposte al vaglio della Cassazione, indirizzandole a sostegno di uno specifico vizio censurato piuttosto che dell’altro vizio richiamato con lo stesso motivo di impugnazione. In caso contrario, a giudizio dei giudici di legittimità, si produrrebbe uno svuotamento dell’attività di diretta interpretazione e sussunzione delle censure sollevate.
Viene poi riaffermato ancora una volta il principio di autosufficienza: per non incorrere in un giudizio di inammissibilità, qualora venga richiamato il contenuto di specifici documenti, è necessario riportarne il contenuto o quantomeno indicare in quale fase del procedimento di merito sia reperibile.
Infine, stabilisce che non è possibile riproporre la rilettura del materiale probatorio e/o una diversa interpretazione della contrattazione collettiva, trattandosi di valutazioni nel merito non ammissibili in sede di legittimità, per di più se – come è avvenuto nel caso della sentenza in esame – non si provvede a “[…] censurare adeguatamente l’effettiva ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata, secondo cui non si è raggiunta la prova che […] svolgesse le mansioni di sistemista all’epoca in cui era necessario per conseguire poi, trascorso il biennio, il diritto al superiore inquadramento.“.
Pertanto, la Corte di Cassazione nel riproporre e riaffermare i suddetti requisiti in tema di ammissibilità del ricorso e nel rilevarne l’assenza nella fattispecie in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal lavoratore volto al riconoscimento del superiore livello di inquadramento.
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Gabriele Aprile
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