La legittimazione ad agire delle associazioni di consumatori
Con sentenza n. 23304 del 16.11.2016, intervenendo su un tema di particolare contrasto in giurisprudenza, le Sezioni Unite hanno stabilito che la legittimazione ad agire in giudizio delle associazioni di consumatori discende dalla qualità di ente esponenziale, attribuita in base al sistema previsto dall’art. 3 della legge 281 del 1998 e con un sistema di iscrizione in elenco avente carattere costitutivo della legittimazione.
Pertanto l’iscrizione nell’elenco ha carattere costitutivo della legittimazione e, se non immediatamente provata, deve, almeno essere allegata da chi agisce.
La vicenda trae origine dalla sentenza di secondo grado con la quale la Corte di appello di Genova aveva confermato la condanna della S.p.A. Carige al risarcimento del danno in favore di venticinque risparmiatori in relazione alla negoziazione di prodotti finanziari aventi ad oggetto le obbligazioni Eur Parm 6,25% – 00/05, ribadendo il difetto di legittimazione attiva dell’associazione “Sportello del consumatore” e del Comitato denominato “San Giorgio per la difesa dei soci delle istituzioni creditizie”, che avevano agito unitamente ai risparmiatori.
Secondo la Corte d’Appello di Genova, infatti, le associazioni di consumatori devono essere qualificate come enti esponenziali di interessi diffusi e nel caso di specie queste avevano agito in giudizio in nome proprio e nell’interesse altrui, realizzando in tal modo una forma di sostituzione processuale inammissibile e in contrasto con l’art. 81 c.p.c. Allo stesso modo la Corte territoriale ha evidenziato come non ci fosse un interesse proprio tale da giustificare un intervento ad adiuvandum, né tantomeno si trattava di un intervento volontario non sussistendo un diritto proprio delle associazioni.
Le associazioni a sostegno della propria tesi relativa alla legittimazione processuale hanno sostenuto che “nell’intervento ad adiuvandum non si richiede la titolarità di un diritto nei confronti delle parti originarie ma soltanto la presenza di un interesse giuridicamente rilevante ad un esito favorevole della controversia. Tale interesse poteva cogliersi in ordine ai seguenti profili: l’interesse a veder riconosciuto il ruolo di capofila delle associazioni in questione; l’interesse a veder riconosciuto il ruolo statutario diffuso di difensori dei diritti economici dei risparmiatori ed utenti bancari; l’interesse ad una soluzione positiva spendibile in altre analoghe controversie; l’interesse al rimborso delle spese sostenute per la gestione collettiva della lite e delle spese processuali”.
Rispetto ciò, le stesse Sezioni unite con sentenza n. 15422 del 26 luglio 2016 hanno enunciato il principio per il quale l’intervento adesivo dipendente del terzo è consentito ove l’interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente, attesa la necessità che la soccombenza della parte determini un pregiudizio totale o parziale al diritto vantato dal terzo quale effetto riflesso del giudicato. Invero l’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti (art. 105 c.p.c., comma 2), deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tale che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere – anche solo in via indiretta o riflessa – pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa”.
Nel caso di specie, hanno sottolineato le Sezioni Unite, il giudizio è stato introdotto nel 2004 nel vigore della L. n. 281 del 1998 la quale prevede che l’iscrizione nell’elenco ha carattere costitutivo della legittimazione e che se non viene provata, in presenza di non contestazione, deve essere allegata da chi agisce.
In particolare, a norma dell’art. 3 della succitata legge 281 le associazioni di consumatori sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al giudice competente: a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate. Le associazioni iscritte possono sia agire per la tutela collettiva degli stessi diritti riconosciuti ai consumatori, sia intervenire nel giudizio promosso dal singolo consumatore.
Con la sentenza n. 23304 del 16 novembre 2016 fattispecie in esame, invece, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno affermato che le associazioni iscritte, oltre che provvedere ai sensi dell’art. 3 della l. n. 281 del 1998, alla tutela collettiva dei diritti fondamentali riconosciuti ai consumatori, hanno legittimazione ad intervenire nel giudizi avviati dai singoli consumatori.
Per completezza espositiva, infine, va fatto cenno ai due orientamenti contrastanti sul tema.
Il primo in cui vi è la configurazione più restrittiva dell’interessa ad adiuvandum (cass. n. 25145/2014) secondo il quale “L’intervento adesivo dipendente del terzo è consentito ove l’interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente e non di mero fatto, attesa la necessità che la soccombenza della parte determini un pregiudizio totale o parziale al diritto vantato dal terzo quale effetto riflesso del giudicato, nonchè nella coeva n. 364 del 2014: “la legittimazione ad adiuvandum ex art. 105 c.p.c., comma 2, presuppone che il giudicato destinato a formarsi tra le parti del giudizio arrechi una lesione ad un interesse giuridico e non meramente fattuale del terzo interveniente”.
E l’altro orientamento più estensivo rispetto al precedente, secondo il quale Le associazioni dei consumatori e degli utenti sono legittimate ad intervenire nel giudizio instaurato da un consumatore avanti al giudice di pace per il recupero delle somme versate quale canone per il servizio di depurazione delle acque reflue a causa dell’inesistenza del servizio, giacchè la L. 30 luglio 1998, n. 281, all’art. 3, attribuisce ad esse la legittimazione ad agire, a tutela di interessi collettivi, al fine di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori, senza preclusione delle azioni individuali di costoro, danneggiati dalle medesime violazioni“ (Cass. n. 15535/2005).
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Teresa Rullo
Iscritta all'albo degli Avvocati da febbraio 2016. Laureata in giurisprudenza nel marzo 2012 presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "La Conferenza dei Servizi", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Subito dopo la laurea, nel 2012, ha iniziato la pratica forense presso uno studio legale specializzato in diritto civile. Nel dicembre 2013 ha iniziato a collaborare con un altro studio legale multidisciplinare di medie dimensioni occupandosi, prevalentemente, del contenzioso civile.
negli anni 2015 e 2016 ha seguito il Corso di Perfezionamento in Alti Studi Politici presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, conseguendo l'attestato finale.
Attualmente svolge autonomamente la professione di Avvocato e collabora saltuariamente con uno studio legale operante sia nel settore civile che penale.
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