La scissione asimmetrica: teorie sulla natura giuridica e inquadramento sistematico
L’articolo 2506 del libro V del codice civile disciplina, unicamente, l’aspetto procedurale e le forme della scissione, una delle operazioni straordinarie sul capitale sociale unitamente alla fusione e trasformazione; a livello codicistico, dunque, il legislatore non offre una definizione univoca di tale operazione; la situazione non migliora, neppure, a livello comunitario mancando una qualsivoglia normativa definitoria il che porta ad assumere “ come data” la nozione di scissione e, a sciorinarne le modalità di esecuzione, il tutto in ossequio al dettato normativo. È proprio dal dettato normativo occorre partire, concentrando l’attenzione su quegli elementi formali e strutturali di cui all’art. 2506 c.c., segnatamente: l’assegnazione di tutto o parte del patrimonio di una società a favore di una o più società beneficiarie, già esistenti o di nuova costituzione; l’assegnazione ai soci della società scissa delle azioni o quote emesse dalle società beneficiarie, secondo le modalità indicate nel progetto di scissione; alla luce di tali brevi considerazioni di carattere generale, nell’estremo tentativo di fornire delle indicazioni di natura definitoria, la scissione è descrivibile come un frazionamento del patrimonio aziendale e, eventualmente, della compagine sociale in più parti che saranno inglobate in una o più società esistenti o di nuova costituzione; tale frazionamento ha delle estrinsecazioni che incidono tanto sul patrimonio sociale (suddiviso in più parti), tanto sulla compagine sociale, riflettendosi sulle modalità di ripartizione tra i soci delle azioni/quote emesse dalla beneficiaria a fronte della quota di patrimonio proveniente dalla scissa. Discussa è poi la natura giuridica dell’istituto; due sono le teorie che si fronteggiano a riguardo: 1) la teoria estintiva- costitutiva secondo cui la scissione sostanzierebbe una successione delle nuove società nei rapporti giuridici già facenti capo alla società scissa; 2) la teoria estintiva – modificativa per cui la scissione avrebbe effetto estintivo laddove si verificasse in favore di società preesistenti, avrebbe invece effetto modificativo laddove operasse nei confronti di una nuova società. Tra quelle proposte, la teoria che ha avuto maggiormente seguito è sicuramente la estintiva – modificativa avallata, tra l’altro, dalla riforma del diritto societario del 2003. La scissione, dunque, (cosi come fusione e trasformazione), non avrebbe alcun effetto costitutivo – traslativo, trattandosi, piuttosto, di una mera riorganizzazione dell’assetto aziendale. Venendo alla scissione “asimmetrica” – nomenclatura coniata dalla professoressa Giuliana Scognamiglio nel suo studio sul tema nel Trattato Colombo-Portale nella monografia sulla scissione – il primo passo da compiere è l’analisi del testo normativo, l’art. 2506 al secondo comma; è asimmetrica la scissione in cui, per consenso unanime dei soci, le assegnazioni di quote – azioni risultano essere non proporzionali e, segnatamente, ad alcuni soci non vengono distribuite azioni o quote di una delle società beneficiarie ma azioni o quote della società scissa, laddove nella scissione proporzionale tutti i soci della scissa devono ottenere quote o azioni di tutte le società beneficiarie in proporzione alla loro partecipazione societaria. Volendo semplificare, nella scissione asimmetrica sono enucleabili due tipologie di soci: i soci la cui partecipazione sociale nella scissa aumenterà con l’assegnazione di ulteriori quote-azioni e soci che riceveranno azioni o quote delle società beneficiarie, a fronte del depauperamento del patrimonio della scissa e della diminuzione della loro partecipazione sociale nella medesima. Da quanto appena esposto, si evince il carattere eversivo di tale operazione di cui è sintomatico il richiesto consenso unanime in luogo della maggioranza, criterio che caratterizza invece tutte le altre operazioni straordinarie (trasformazione, fusione e scissione proporzionale), rispetto alle quali si evidenzia il favor del legislatore verso i fenomeni di riorganizzazione dell’assetto sociale, e nelle società di capitali e nelle società di persone. Tale scelta legislativa non sembra avere una ratio ben precisa; richiedere l’unanimità e non la maggioranza, denota come tale operazione sia stata considerata particolarmente pericolosa dal legislatore da non ritenere sufficiente il principio maggioritario; a ben vedere, taluni commentatori hanno evidenziato come tale pretesa pericolosità sia ben maggiore nella scissione non proporzionale estrema che si distingue dalla prima unicamente per ricaratura delle azioni – quote e non già non per una distonica attribuzione delle azioni nelle beneficiarie ai diversi soci; il motivo per il quale il legislatore abbia ritenuto la scissione asimmetrica più pericolosa per gli interessi dei soci rispetto ad altre scissioni non proporzionali, rimane ancora oggi (a 13 anni dall’entrata in vigore della riforma), non del tutto chiaro; ci si limita, pertanto, al rispetto del dato normativo. A ben vedere, nella scissione asimmetrica, il socio di minoranza, il socio titolare anche in una sola azione, ha lo straordinario potere di bloccare una riorganizzazione dell’assetto societario, scostandosi da tutte quelle norme che presiedono la scissione, fusione e la trasformazione, parendo, a buon ragione, di maggiore opportunità garantire agli stessi un diritto exit ovvero il diritto di optare per una scissione proporzionale; offrire, in sostanza, una qualche tutela ai soci di minoranza /dissenzienti che non sia un diritto di veto come, invece, nei dati normativi. Alcuni quesiti si pongono circa l’ambito applicativo dell’art. 2506, secondo comma, che a prima lettura, sembrerebbe limitarlo alle ipotesi in cui la scissione asimmetrica coinvolge più società beneficiarie; sul punto si discute in dottrina. Taluni autori, atteso la peculiarità dell’operazione de qua e la eccezionalità del consenso unanime rispetto alle altre forme di scissione, ritengono che le ipotesi di scissione asimmetrica sono solo quelle tassativamente previste dal legislatore; da qui l’impossibilità di ravvisare una scissione asimmetrica laddove i soci della scissa, cui non siano pervenute attribuzioni in una o più beneficiarie, siano soddisfatti egualmente, mediante – non aumento – ma ridistribuzione delle azioni/quote. In sostanza, non si ci discosta dal tenore letterale della norma: il riferimento è alle sole ipotesi di distribuzione di nuove azioni o quote della scissa.
Seconda altro filone di autori, l’ipotesi sopra descritta – l’incremento del valore proporzionale delle azioni o delle quote dei soci della scissa – rientrerebbe a pieno titolo nella categoria della scissione asimmetrica, non venendo meno gli elementi caratterizzanti la scissione asimmetrica : l’eversività e la pericolosità dell’operazione de qua che non sarebbe minore laddove i diritti dei soci esclusi dalla beneficiaria venissero soddisfatti mediante un aumento in percentuali delle loro partecipazioni piuttosto che con l’attribuzione di nuove azioni – quote; pur non avvenendo “fisicamente” una assegnazione, si rimarrebbe comunque nell’ambito dell’art. 2506, comma 2, seconda parte. Vi sono, a seguire, altri orientamenti che divergono sulla riconducibilità o meno della scissione asimmetrica al perimetro dell’art. 2506,comma secondo; ad esempio, vi è chi sostiene la necessaria pluralità di beneficiarie per aversi scissione asimmetrica, rientrando, in caso contrario, nell’alveo della scissione non proporzionale; le ragioni di tale posizione sono chiare: se alcuno dei soci della scissa non dovesse conseguire partecipazioni nell’unica società beneficiaria, costoro non potrebbero che essere soddisfatti che attraverso una rimodulazione delle quote o azioni della scissa. Altra tesi, avallata dal CNN, ribadisce come tratto comune a tutti gli orientamenti sull’istituto de quo, sebbene divergenti, si rinviene nell’assunto per cui ogniqualvolta manchi una attribuzione di azioni o quote nell’unica o nelle beneficiarie in favore di alcuni soci, laddove costoro siano soddisfatti attraverso una ricaratura – rimodulazione delle loro partecipazioni nella scissa, allora si rientrerà nella scissione asimmetrica.
Ma non è finita qui; difatti, altro filone di autori, avvallato, di recente, dal comitato Triveneto dei notai, sostiene che anche quando non vi sia una ricaratura delle partecipazioni nella scissa, si permane comunque nell’ambito della scissione asimmetrica e non proporzionale; esaminiamo la ratio di un simile assunto: nella scissione non proporzionale i soci ottengono, in ogni caso, azioni-quote in tutte le beneficiarie, soltanto in misura non proporzionale a quelle di cui sono titolari nella scissa, mentre, nell’asimmetrica alcuni soci non conseguono nessuna attribuzione di azioni – quote nelle beneficiarie; secondo tale posizione, ogniqualvolta alcuni soci non ricevono partecipazioni in una o più delle beneficiarie, si avrà scissione asimmetrica. Quindi, secondo il Triveneto, in tutti i casi in cui ad alcuni soci non venga attribuita alcuna partecipazione in una o più delle beneficiarie, si rientra nel perimetro applicativo della scissione asimmetrica. Aderire ad una piuttosto che ad un’altra di tali teorie, ha delle precise conseguenze sul piano operativo: se si ritiene che l’operazione ricada nell’alveo della scissione asimmetrica, sarà necessario il consenso unanime di tutti i soci, viceversa sarà sufficiente il criterio maggioritario. Si comprende, allora, l’importanza di stabilire se una data operazione sia riconducibile o meno alla scissione asimmetrica. La scissione asimmetrica per la sua eversività e peculiarità, comporta dei problemi di coordinazione con la scissione in senso proprio; per tali ragioni, taluni autori preferiscono ravvisare nella scissione asimmetrica, non tanto un’operazione straordinaria sul capitale, quanto piuttosto, un’assegnazione di azienda o ramo di azienda o un conferimento di azienda o ramo di azienda; pertanto, non rientrando nella disciplina delle scissioni, a tale operazione non si applicano i relativi corollari: iscrizione e deposito del progetto di scissione, delibera di approvazione del progetto di scissione e atto di scissione ma si ridurrebbe al momento contrattuale; ciò ha delle ripercussioni sulle modalità di adozione di tale atto: richiedendosi il consenso unanime, non potrà essere adottato dagli organi amministrativi ma da tutti i soci chiamati ad esprimere il loro consenso.
Si tratta di una tesi minoritaria, surclassata dalla tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza: la scissione asimmetrica rientra, con tutti i profili di pericolosità e di eversione che le sono propri nella categoria delle scissioni con tutti corollari della relativa disciplina, e nella scansione in atti tipica di tale operazione: deposito – iscrizione del progetto, delibera approvazione del progetto, atto di scissione. Pur tuttavia, nemmeno tale posizione risulta di agevole strutturazione dovendosi ricercare un punto di intesa tra il favor legislativo verso le la riorganizzazione dell’assetto societario e il principio maggioritario e la necessità del consenso unanime statuito dall’art. 2506 c.c.
Sul punto, si rende necessaria una breve digressione circa il diritto di exit del socio di minoranza; diversamente dalla trasformazione, in cui gli artt. 2437 e 2473 c.c. statuiscono il diritto di recesso del socio che non intende prestare il proprio consenso all’operazione, nella scissione asimmetrica non è contemplato alcun diritto di exit; nella scissione asimmetrica, il socio potrà prestare il proprio consenso a favore o contro la scissione, esercitando un vero e proprio diritto di veto considerato che, in caso di parere contrario, avrà la potestà di paralizzare un’operazione di riorganizzazione dell’assetto sociale, una riorganizzazione che non differisce per sostanza dalle altre operazioni sul capitale per le quali è pur sempre richiesta la meno incisiva maggioranza.
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