L’ammissibilità del diritto di accesso nei confronti di Poste Italiane
Cons. Stato, Ad. Plen., 28 giugno 2016 n.13
Con la sentenza in esame, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla problematica dell’accesso agli atti di Poste Italiane s.p.a.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato aveva chiesto al Supremo Collegio, con ordinanza n. 4230 del 10 settembre 2015, di esprimersi sulla questione dell’applicabilità della la disciplina dell’accesso anche ai rapporti fra Poste italiane e i suoi dipendenti, indipendentemente dal livello e il ramo di servizio cui sono addetti, non sussistendo un rapporto di connessione tra gli atti oggetto di ostensione e il servizio pubblico svolto.
La Terza Sezione aveva posto in dubbio l’indirizzo giurisprudenziale, da tempo costantemente ribadito dai giudici amministrativi circa la proponibilità dell’accesso nei confronti di soggetti privati affidatari di pubblici servizi.
In tale circostanza era stato sottolineato come la natura di diritto privato dell’Ente Poste e del rapporto di lavoro dei relativi dipendenti potesse far ritenere che non tutta l’attività svolta e i rapporti in essere fossero connessi in modo funzionale alla gestione del servizio, dovendosi pertanto ritenere precluso l’accesso per i rapporti privatistici diversi da quelli in cui il richiedente si presenti e si qualifichi come utente o come portatore di un interesse (anche diffuso) al servizio pubblico. In pratica, quindi, le garanzie offerte dalla l. n. 241 del 1990, riservate originariamente al cittadino/amministrato, destinatario dell’attività autoritativa della p.a., sarebbero estese al cittadino/utente in quanto fruitore del servizio.
Questa estensione, però, non opererebbe nel caso in cui il rapporto tra colui che richiede accesso e il privato gestore del pubblico servizio fosse di tipo diverso, senza alcuna incidenza di profili pubblicistici e con la possibilità di ottenere una piena tutela innanzi al giudice ordinario.
Sarebbe tuttavia ingiustificato il diverso trattamento dei lavoratori dipendenti di un soggetto privato a seconda che quest’ultimo sia o meno, occasionalmente, gestore di un pubblico servizio. A giudizio dell’Adunanza plenaria, infatti, il superamento del precedente orientamento andrebbe ricollegato alla nuova formulazione dell’art. 22, l. 7 agosto 1990, n. 241 che, nel testo antecedente la novella introdotta dall’art. 15, comma 1, l. 11 febbraio 2005, n. 15, non faceva riferimento ai limiti che ora circoscrivono l’accesso relativamente all’attività dei soggetti privati chiamati a svolgere funzioni di interesse pubblico.
I giudici amministrativi hanno affermato, inoltre, che è possibile qualificare la società Poste Italiane “organismo di diritto pubblico” e, a parere dei giudici, questo tipo di qualificazione rende pacifica l’estensione a detta società delle norme in tema di accesso, non chiarendo, tuttavia, i limiti entro cui l’attività societaria deve ritenersi di pubblico interesse.
Infine, il Collegio ha stabilito che il diritto di accesso potrà essere esercitato dai dipendenti di Poste Italiane s.p.a. limitatamente alle prove selettive di accesso, alla progressione di carriera ed ai provvedimenti di auto-organizzazione degli uffici, incidenti in modo diretto sulla disciplina, di rilevanza pubblicistica, del rapporto di lavoro.
Sulla base di tali principi, l’Adunanza plenaria ha statuito che nel caso di specie l’accesso agli atti richiesti è ammissibile, poiché attiene a una procedura selettiva di avanzamento, soggetta alle già menzionate regole di imparzialità e trasparenza.
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