L’attività internazionale della Santa Sede (Tesi di dottorato)
L’attività internazionale della Santa Sede
(clicca sul titolo per scaricare la tesi di dottorato)
a cura del dott. Michele Forte
Il tema affrontato nel presente percorso di ricerca, senza pretesa di esaustività, attesa la continua evoluzione delle logiche dell’ordinamento internazionale caratterizzato da una pregnante politicità, e attesa la singolarità dell’oggetto indagato, ovvero la Santa Sede, che si presta ad un’angolatura internazionalistica, canonistica ed ecclesiasticistica, italiana e comparata, manifesta una pluralità di conclusioni che si configurano non come punto di arrivo, bensì di partenza e di ulteriore approfondimento.
La prima delle conclusioni cui si può giungere, molto condivisibile, è proprio quella della trasversalità d’indagine del tema della Santa Sede che, trascurando anche la prospettiva storica dell’oggetto, emerge in tutta evidenza.
In altre parole, non si comprenderebbe appieno il fenomeno della Santa Sede sotto un profilo esclusivamente di tipo internazionalistico se non si effettuasse un ricorso ad altre discipline giuridiche, come il diritto canonico ed il diritto ecclesiastico italiano. Più precisamente, l’analisi, così aperta alle diverse angolature giuridiche, permette di evidenziare non tanto la rilevanza e la cogenza di norme canonistiche in ambito internazionale, quanto piuttosto la complessità del fenomeno Santa Sede che, de facto et de jure opera legittimamente come soggetto internazionale e con strumenti formalmente ineccepibili.
La Santa Sede, dunque, indipendentemente dalla concezione che ha di sé, ricavabile dal diritto canonico, è presente nell’ordinamento internazionale, con una soggettività formale che, dopo il 1870 e prima del 1929, si riteneva principalmente almeno sostanziale.
La soluzione internazionalistica della questione romana nel 1929, infatti, non era finalizzata a riconoscere o addirittura ad attribuire una soggettività formale alla Santa Sede per operare nell’ordinamento internazionale, ma era la conseguenza del suo status che già godeva e manifestava con gli strumenti tipici diplomatici. Ovviamente, la creazione dello Stato della Città del Vaticano, era il quid che avrebbe consentito di superare anche il gap formale rispetto all’ordinamento internazionale. Ciò ha provocato l’annosa questione della titolarità della soggettività che evidenzia l’approccio statico offerto dalla dottrina di ogni branca giuridica. Infatti, ogni ricerca ed ogni contributo dottrinario, sino ai più recenti si sforzava con argomenti suggestivi di mettere in evidenza la duplicità o l’unicità di soggettività nell’ordinamento internazionale, decontestualizzando il fenomeno dall’evoluzione storica, dalla prassi, e dalle finalità stesse perseguite dalla Santa Sede.
Questa appare una seconda conclusione, altrettanto condivisibile e più aderente alla realtà concreta.
Infatti, sia l’atteggiamento della Santa Sede tenuto proprio nel periodo della debellatio, sia il riconoscimento del principio di effettività, che è uno dei cardini dell’ordinamento internazionale che nel caso della soggettività sembra oggi avere una conferma, con enti come la CRI e lo SMOM, sia l’aumento vertiginoso della stipula di concordati che sono indubitabilmente atti internazionali, sia l’azione stessa realizzata dalla Santa Sede, che è espressione di una sua autonoma iniziativa, coincidente con l’ordine internazionale, mettono in luce una prospettiva dinamica del fenomeno.
In altre parole, l’azione della Santa Sede – formale e sostanziale- non è stata la conseguenza della tipologia di soggettività posseduta, ma è stata la conseguenza di un modo di essere che è optimo jure internazionalistico, anche al di là delle decisioni giurisprudenziali delle Supreme Corti, in questa ricerca limitate a quella italiana. La Santa Sede, quindi, non ha fatto null’altro che manifestare se stessa, così come è configurata nella sua struttura costituzionale canonica in omaggio al sistema ordinamentale di cui è la massima espressione.
Si badi bene, in questo percorso non si intende giungere al riconoscimento in ambito internazionale della soggettività della Chiesa cattolica, anche perché le conseguenze giuridiche, sarebbero rilevanti- forse disastrose-, poiché tutto il sistema cattolico potrebbe essere non sottoponibile alla giurisdizione di uno Stato, ma si vuole solo sottolineare che al di fuori della Chiesa cattolica, non sussisterebbe un fenomeno di soggettività internazionale della Santa Sede. Più precisamente, è l’ordinamento canonico, ordinamento giuridico finalistico che obbedisce alla salus animarum e non solo dei christifideles ad essere la causa remota dell’azione della Santa Sede, che assume le forme più consone alla sua missione. Di conseguenza, nell’ambito internazionale la Santa Sede rappresenterà formalmente quest’esigenza di presenza della Chiesa cattolica che si realizza anche con strumenti diversi di tipo sostanziale.
Ciò è del tutto logico e consequenziale, poiché nell’ordinamento canonico vi è una reductio ad unum verso Colui che esercita il munus petrinum e che quindi va oltre il problema della soggettività. La soggettività, insomma, è un problema inesistente per lo stesso ordinamento internazionale. Infatti, a proposito dei nunzi apostolici la Convenzione di Vienna del 1969, attribuisce loro tutte le immunità diplomatiche degli ambasciatori, formulando in tal modo una ricezione dell’ordinamento canonico. Inoltre, si ha conferma di quanto detto rilevando che sia come SCV che ha stipulato trattati internazionali, sia come Santa Sede che stipula i classici concordati, anche se trattasi di convenzioni internazionali bilaterali chiuse, non si può disconoscere una soggettività internazionale. Aggiungasi, la molteplice presenza di relazioni diplomatiche con ogni tipologia di Stati, nonché la titolarità di un proprio Osservatore Permanente all’ONU che confermano quanto sopra formulato.
In altre parole, per l’ordinamento e la prassi internazionale non ci si pone più il problema della soggettività, anche se fosse sui generis, perché è sull’effettiva azione svolta che si sposta il fenomeno.
E questa sembra essere la terza conclusione, altrettanto legata al fatto che la Santa Sede, opera in ambito internazionale a favore della pace, adoperandosi in ogni modo, a favore delle emergenze umanitarie, e delle migrazioni in genere, insomma opera per la creazione di un mondo maggiormente caratterizzato da fratellanza e universalità dei diritti umani.
Questi obiettivi che sono alla base della convivenza tra i popoli creano una sovrapposizione di obiettivi tra ONU, nonché altri organismi intergovernativi che direttamente o indirettamente perseguono, e Santa Sede, spinta a ciò dalla sua missione universale di carattere non prettamente politico.
In definitiva, nell’ambito internazionale la Santa Sede si manifesta per “ciò che fa, non per chi è” da cui si deduce che sono altrettanto irrilevanti i motivi di quest’azione planetaria. Il semplice fatto di operare in maniera effettiva, ma soprattutto sulla stessa lunghezza d’onda dei soggetti internazionali all’uopo preposti, con strumenti giuridico-politici, stratificati ed efficaci, con un’organizzazione piramidale e capillare su scala planetaria, riconferma la priorità del fare sull’essere, rendendo il problema dell’oggetto del presente lavoro un non problema. Più precisamente, la scelta della presente ricerca relativa all’attività internazionale della Santa Sede non si palesa come la conseguenza della sua soggettività, ma la precede, e senza il rischio di esagerare, la surroga.
Insomma, essendo molteplice e variegato lo spazio di azione della Santa Sede, che è l’ente di governo della Chiesa cattolica, una Confessione religiosa, nata nell’alveo del cristianesimo, ed al pari di ogni Confessione religiosa ha la pretesa di essere regolatrice della vita individuale e associata di ogni suo adepto nelle varie direzioni, con l’Essere Trascendente, con se stesso, con i correligionari e con tutti gli uomini, Essa non potrà essere descritta se non nella dimensione giuridica dell’effettività, da cui discendono l’accomunamento agli Stati che si avvalgono di procedure non istituzionalizzate per la soluzione dei problemi emergenti nell’ordinamento internazionale.
Non solo, poiché la sovranità è esercitata su un territorio solo dagli Stati, mentre il suo esercizio su base non territoriale ha il suo prototipo nella Santa Sede, tale considerazione potrebbe rivelarsi efficace anche per le altre Confessioni religiose.
In definitiva, al pari di quanto rilevato nel diritto interno dagli ecclesiasticisti che sulla base del combinato disposto dell’art.7 e 8 della Costituzione relativo alla sussistenza di una bilaterale tutela di un ordine proprio, nell’ordinamento internazionale, e ancor una volta con l’esperienza di apripista della Santa Sede in nome e per conto della Chiesa cattolica, si fa strada l’esigenza di riconoscere un ruolo e quindi una soggettività alle Confessioni religiose che adempiendo al principio di effettività, perseguono alcuni obiettivi, fondamentali, della comunità degli Stati.
Più precisamente, l’adempimento fattuale-effettivo, più che formale della Santa Sede agli oneri nascenti dall’ordinamento internazionale potrà comportare la necessità di riconoscere un ruolo giuridico a tutte le Confessioni religiose, in omaggio al brocardo romanistico, valevole in ogni ambito del diritto: ex facto oritur jus.
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