Le investigazioni difensive
La disciplina delle indagini difensive è dettata dalla l. 7 dicembre 2000 n. 397 che, aggiungendo il titolo VI bis al libro V del nostro codice di procedura penale, ha inteso conferire alle indagini svolte dal difensore pari dignità rispetto a quelle svolte dal pubblico ministero e dai suoi ausiliari. Una tale riforma era divenuta indifferibile, dopo la modifica dell’art. 111 della Cost., per assicurare la parità tra accusa e difesa.
Tale attività di indagine può essere svolta dal difensore dell’indagato o dell’imputato, ma anche della parte civile, del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, della persona offesa e del danneggiato del reato.
Il difensore acquista l’idoneità a svolgere le indagini in forza dell’atto di nomina dal quale risulti con certezza il soggetto che ha conferito l’incarico. Egli può, a sua volta, nominare un sostituto con un atto scritto dove si desume la volontà di farsi sostituire, può avvalersi, nel caso in cui si richiedano particolari competenze tecniche, scientifiche o artistiche, dell’ausilio di un consulente tecnico da esso stesso nominato, può infine conferire l’incarico, con atto scritto, ad un investigatore privato dotato di autorizzazione prefettizia.
Secondo il disposto dell’art. 327 bis del c.p.p. le indagini difensive possono essere svolte “in ogni stato e grado del procedimento.” Pertanto il difensore dotato di un mandato ad hoc, che oltre alla nomina indica i fatti cui l’incarico si riferisce, può svolgere un’indagine preventiva ancora prima dell’instaurazione del procedimento penale, se vi è motivo che questo possa instaurarsi. Può continuare la sua attività di indagine, detta in questo caso suppletiva, in sede di indagini preliminari e sino all’apertura della discussione innanzi al Giudice dell’Udienza Preliminare, per adottare innanzi a questo le opportune strategie difensive. Può infine, a seguito del rinvio a giudizio dell’imputato, svolgere un attività di indagine integrativa per formulare apposite richieste al giudice del dibattimento, per chiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio d’appello, per promuovere un eventuale giudizio di revisione, quindi, in ogni altro caso in cui si appalesi la necessità di nuovi elementi di prova per esercitare il proprio diritto di difendersi provando.
Il titolo VI bis individua con esattezza quali operazioni sono consentite al difensore in sede di indagini. Egli può in primis acquisire notizie da persone informate sui fatti. Tale acquisizione può avvenire mediante un colloquio non documentato che serve ad una prima presa di contatto con la persona in grado di riferire circostanze utili alla difesa, una richiesta di dichiarazioni scritte che può essere inoltrata esclusivamente dal difensore o dal suo sostituto e, infine, mediante una richiesta di informazioni che viene documentata attraverso un apposito verbale.
In ogni caso, il difensore e i suoi ausiliari, prima del compimento degli atti su elencati, debbono avvertire le persone con cui intendono conferire: a) della propria qualità e dello scopo dell’incontro; b) dell’attività che intendono svolgere; c) dell’obbligo di riferire se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, o in un procedimento connesso, o per un reato collegato (in tal caso, per procedere all’atto dell’indagine, è necessaria la presenza di un loro difensore); d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le notizie già fornite al PM e alla polizia giudiziaria; f) dell’obbligo di dire la verità, a norma dell’art. 371 ter c.p. che prevede il reato di “false dichiarazioni al difensore”.
Le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in violazione di tali adempimenti sono inutilizzabili e comportano l’applicazione di sanzioni disciplinari a carico del difensore responsabile.
Se la persona informata sui fatti si avvale del diritto di non rispondere, il difensore può chiedere al PM di disporne l’audizione scoprendo però, in anticipo, le proprie strategie di difesa. In alternativa, può chiedere l’incidente probatorio, assumendo la testimonianza della persona informata sui fatti nel contraddittorio tra le parti.
L’art. 391 quater c.p.p. riconosce al difensore la facoltà di prendere visione ed estrarre copia di documenti in possesso della pubblica amministrazione. Tale facoltà può essere limitata, a norma dell’art. 24 della l. 241/1990, nel caso di segreto di Stato, segreto investigativo e professionale, tutela dell’ordine pubblico, della riservatezza dei terzi, della repressione della criminalità. In caso di un eventuale diniego il difensore può rivolgersi al PM affinchè ordini la consegna del documento. Se quest’ultimo ritiene fondato il diniego trasmetterà gli atti, corredati di un suo parere, al giudice per le indagini preliminari.
Tra gli atti di indagine del difensore è previsto l’accesso ai luoghi per prenderne visione, descriverli ed effettuare rilievi tecnici, grafici, fotografici. In caso di luoghi privati l’accesso è subordinato al consenso di chi ne ha la disponibilità. Se manca il consenso, il difensore o i suoi ausiliari debbono munirsi di un’apposita autorizzazione del giudice.
Nello specifico, in caso di luoghi adibiti ad abitazione e loro pertinenze, l’accesso è consentito, previa autorizzazione del giudice, solo se si rende necessario per l’accertamento di tracce e di altri effetti materiali del reato. Durante l’accesso ai luoghi può ravvisarsi l’esigenza di compiere un accertamento tecnico non ripetibile. In tal caso, a pena di nullità, bisogna informare tempestivamente il PM che ha facoltà di assistervi, nominare propri consulenti tecnici o chiedere che la prova venga assunta come perizia in incidente probatorio. Il difensore può personalmente, o ad opera di un consulente tecnico, effettuare l’esame delle cose sequestrate. Tale esame può essere differito dal pm, per non più di trenta giorni, ove sussistono gravi motivi. Contro il decreto di differimento si può proporre opposizione al giudice per le indagini preliminari.
Le attività svolte dal difensore in sede di indagine debbono essere documentate. Ci si può servire della scrittura, riproduzione fonografica o audiovisiva. In ogni caso bisogna redigere un apposito verbale indicando il luogo, l’anno, il giorno e l’ora dell’esame o dell’accesso ai luoghi, le proprie generalità e quello delle persone intervenute, la sottoscrizione da parte di ognuno di questi, l’attestazione degli avvertimenti da fare al dichiarante, i fatti su cui verte l’esame e, solo in caso di accesso ai luoghi, i rilievi fotografici, audiovisivi, tecnici svolti. Gli elementi di prova raccolti dal difensore confluiscono nel suo fascicolo e, dopo la chiusura delle indagini nel fascicolo del PM. Essi sono equiparabili agli elementi raccolti da quest’ultimo. Il giudice al quale vengono presentati deve valutarli al pari di ogni altra risultanza del procedimento.
Nel dibattimento tali risultanze possono essere utilizzate ai fini delle contestazioni nell’esame testimoniale o per effettuarne la lettura quando si tratta di atti o dichiarazioni irripetibili. L’art. 391 octies c.p.p. riconosce al difensore la facoltà di presentare al giudice solo gli elementi che egli ritiene favorevoli alla difesa del suo assistito. Non può però nuocere alla corretta amministrazione della giustizia, dichiarare il falso, indurre altri a rendere false dichiarazioni al PM poiché in tal caso sono previste forti responsabilità penali.
Le tipiche fattispecie di reato cui potrebbe incorrere sono: favoreggiamento personale ex art. 378 c.p., subornazione ex art. 377 c.p., falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità ex art. 481 c.p.
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