Le Sezioni Unite sulla messa alla prova: inammissibile l’impugnabilità dell’ordinanza di rigetto in via autonoma
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 33216, depositata il 29 luglio 2016, si sono pronunciate in merito all’autonoma impugnabilità o meno dell’ordinanza emanata dal giudice del dibattimento con cui rigetta la richiesta dell’imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova.
Come è noto, l’istituto della messa alla prova o “probation” di tradizione anglosassone, quale causa di estinzione del reato, già previsto all’interno della disciplina speciale dei minori dall’art. 28 del D.P.R. n. 488/1988, è stato introdotto, anche per gli adulti, da una recente riforma dell’ordinamento penale italiano con L. del 28 aprile 2014 n. 67. Tale istituto costituisce un percorso di risocializzazione e reinserimento sociale alternativo per gli autori di reati di minore gravità e, in particolare, funge da importante strumento deflattivo del processo penale. La disciplina consente infatti la sospensione del processo penale con messa alla prova all’esito del quale, se positiva, estingue il reato.
Il giudizio a quo riguarda l’accusa di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990, per la quale l’imputato, in ossequio all’art. 168 bis del c.p., ha formulato richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dichiarata successivamente inammissibile dal Tribunale procedente. L’imputato ha, di seguito, proposto ricorso per Cassazione contro l’ordinanza di rigetto deducendo l’erronea applicazione della legge e la mancanza di motivazione, chiedendone, quindi, l’annullamento.
Con ordinanza del 19 novembre 2015, la Sesta Sezione Penale, rilevata l’esistenza di un ampio contrasto giurisprudenziale ne ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite.
Invero, dubbi interpretativi sono sorti in merito alla possibilità di impugnare o meno in via autonoma l’ordinanza di rigetto che statuisce sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 464 quater, comma 7, del c.p.p., ovvero congiuntamente all’impugnazione della sentenza, così come previsto dall’art. 586 del c.p.p.
La Corte Suprema ha difatti evidenziato l’esistenza di più indirizzi interpretativi in merito alla questione.
Secondo un primo orientamento, l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato è autonomamente ed immediatamente impugnabile mediante ricorso in Cassazione. Ciò sarebbe direttamente desumibile dal tenore letterale dell’art. 464 quater, comma 7, del c.p.p., secondo cui sussisterebbe la ricorribilità per Cassazione di qualsiasi provvedimento decisorio – sia esso di accoglimento che di rigetto – così sollevandolo dal novero dell’art. 586 c.p.p. (Cfr. Cass., Sez. V, n. 4586/2015 e n. 24011/2015).
Un opposto orientamento ritiene che, in base al principio di tassatività delle impugnazioni, il provvedimento di rigetto dell’istanza di messa alla prova debba soggiacere alla previsione di cui all’art. 586 c.p.p. secondo cui, le ordinanze dibattimentali, salvo nei casi diversamente stabiliti dalla legge, sono impugnabili unitamente alla sentenza.
Invero, secondo le Sezioni Unite occorre distinguere a seconda che il provvedimento del giudice dibattimentale sia di accoglimento o di rigetto.
Difatti dubbi non vi sono in merito alla diretta e autonoma impugnabilità del provvedimento con in quale, in accoglimento dell’istanza dell’imputato, il giudice abbia disposto la sospensione del procedimento. Tale assunto è direttamente desumibile dall’art. 464 quater, comma 7, del c.p.p., il quale disciplina il regime delle impugnazioni.
Dubbi interpretativi riguardano, pertanto, l’ipotesi in cui il provvedimento sia reiettivo.
Le Sezioni Unite escludendo l’autonoma impugnabilità del provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione con messa alla prova ritengono che la tesi affermativa non colga la diversità di disciplina tra il comma 7 ed il comma 9 dell’art. 464 quater del c.p.p.
Invero è evidente, secondo i giudici, che il comma 7, dell’art. 464 quater del c.p.p., si riferisca al solo provvedimento di accoglimento dell’istanza e, che, di contro, il successivo comma 9 del medesimo articolo, concerne la sola ipotesi di rigetto dello stesso.
Proprio in riferimento al comma 9, dell’art. 464 quater in combinato disposto con l’art. 464 ter, comma 4, emerge la possibilità per l’interessato di riproporre l’istanza di sospensione con messa alla prova sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Ebbene, il recupero della richiesta mediante la sua riproposizione escluderebbe l’impugnabilità del provvedimento di rigetto. Difatti, la possibilità di reiterare l’istanza di sospensione sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento consente all’interessato di illustrare, anche e soprattutto nel merito, la richiesta di sospensione con messa alla prova ed al giudice di effettuare una piena rivalutazione nel merito della questione e non solo di legittimità.
Un’altra argomentazione a sostegno della tesi delle Sezioni Unite è direttamente desumibile dall’ultima parte del comma 7, dell’art. 464 quater del c.p.p, secondo cui “l’impugnazione non sospende il procedimento”. La mancata sospensione del procedimento in caso di impugnazione del provvedimento di rigetto sarebbe difatti irragionevole in quanto causerebbe effetti dirompenti nel caso in cui la Cassazione dovesse annullare con rinvio l’ordinanza negativa.
Non vi sono dubbi, quindi, circa la portata del comma 7, dell’art. 464 quater del c.p.p., il quale disciplina esclusivamente l’impugnazione della sola ordinanza ammissiva della messa alla prova, sicchè, l’impugnazione della stessa mediante ricorso in Cassazione non sospende neppure il procedimento.
Anche mediante l’analisi comparata della disciplina in oggetto con quella dei minori di cui all’art. 28, comma 3, del D.P.R. n. 488 del 1988, conferma la tesi giurisprudenziale delle Sezioni Unite in quanto, anche in questa ipotesi, l’impugnabilità in via diretta e autonoma è circoscritta al solo provvedimento ammissivo, mentre l’ordinanza di rigetto è impugnabile solo congiuntamente alla sentenza.
In conclusione, secondo i giudici, l’unico rimedio che consente di rimuovere il contenuto decisorio attraverso una revisio prioris instantiae ovvero un novum iudicium è l’appello quale mezzo di gravame di tipo devolutivo che consente alle parti di ottenere un nuovo esame nel merito della controversia qualora il giudice del dibattimento emani, come nel caso di specie, un provvedimento di rigetto.
E’ quindi possibile sintetizzare la decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite in tal senso:
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è possibile il ricorso in Cassazione in via autonoma e immediata del solo provvedimento di accoglimento;
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in merito al provvedimento negativo l’unico rimedio consentito dalle norme è la riproposizione dell’istanza di sospensione sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento;
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è possibile l’impugnabilità del provvedimento prima dell’apertura del dibattimento ma solo congiuntamente alla sentenza di primo grado così come disposto dall’art. 586 del c.p.p..
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