Le vicende della casa coniugale in comodato a seguito della separazione
Accade spesso che, per favorire una giovane coppia, i genitori (o i parenti) concedono in comodato agli sposi un immobile da adibire a casa coniugale. A tal riguardo, giova ricordare che il nostro codice civile prevede due tipi di comodato: con e senza determinazione di durata.
Il primo si ha quando le parti hanno espressamente convenuto il tempo in cui il comodatario potrà utilizzare la cosa o comunque quando il termine, entro cui restituirla, risulti dall’uso a cui la stessa deve essere destinata. In questo caso, il comodante potrà chiedere la restituzione della cosa, prima dello spirare del termine stabilito o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, solo laddove sia sopravvenuto un suo urgente e imprevedibile bisogno (art. 1809 c.c.).
Se invece i contraenti non hanno convenuto un temine, né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodante potrà richiedere in ogni momento la restituzione del bene (art.1810 c.c.). Premesso ciò, è importante sottolineare che notevoli problemi possono sorgere laddove gli sposi decidano di separarsi con assegnazione dell’immobile al coniuge a cui vengono affidati i figli; non è chiaro infatti se in questo caso il comodante possa chiedere in qualsiasi momento la restituzione dell’immobile.
Il problema in esame è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare, sin dal 2004 i giudici di piazza Cavour (Cass. a sez. Unite n. 13603/2004 – cd. orientamento “Familiarista”) avevano affermato che con il contratto di comodato stipulato in favore di un nucleo familiare, ove le parti avevano inteso destinare l’immobile alle esigenze abitative della famiglia e conseguentemente conferire a tale uso il carattere implicito della durata del rapporto, legittimava la richiesta di restituzione solo per un grave ed impreveduto bisogno del comodante. Nel 2010 però la Corte di Cassazione (sentenza n.15986/2010 – cd. orientamento “Contrattualista”) si era espressa in senso diametralmente opposto, affermando che il contratto con cui viene concesso un immobile a una coppia di sposi, affinché gli stessi lo adibiscano a casa familiare, è un comodato senza determinazione di durata (si ritorna al “comodato precario” previsto dall’art. 1810 c.c.) e quindi il comodante può chiedere in ogni momento la restituzione della cosa, non assumendo, per tale indirizzo, alcun rilievo il fatto che l’immobile sia stato adibito a uso familiare e sia stato assegnato in sede di separazione. Dopo dieci anni, finalmente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 20448, depositata il 29 settembre 2014, hanno chiarito e risolto meglio l’empasse degli orientamenti contrastanti. Per meglio dire, secondo gli ermellini mentre nel comodato precario ex art. 1810 c.c., è consentito il rilascio al comodatario ad nutum, invece l’art. 1809 c.c., con termine di durata, il contratto è caratterizzato dalla facoltà del comodante di richiedere la restituzione immediata dell’immobile solo in caso di sopravvenienza di un urgente e sopravvenuto bisogno; sicché, a quest’ultima forma contrattuale, deve essere ricondotto quel comodato di immobile destinato a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario (contratto sorto per uno scopo determinato, quindi per un tempo determinabile per relationem, in considerazione della destinazione della casa familiare ed indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale). Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite del 2014 hanno confermato la prevalenza dell’orientamento Familiarista su quello Contrattualista: “la risposta è nel segno di rispettare il potere di disposizione del bene, quale esercitato al sorgere del contratto. Se il contratto ancorava la durata del comodato alla famiglia del comodatario, corrisponde al diritto che esso perduri fino al venir meno dell’esigenza della famiglia.” (In tal senso Cass., Sez. Un. Sentenza 29 settembre 2014, n. 20448).
Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, si evidenzia che il proprietario dell’immobile, in sede processuale, potrà chiedere la restituzione dell’immobile solo “in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno” inteso come imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione che consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare; in tal caso è importante che il giudice eserciti con la massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante.
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