Lecito il licenziamento del dipendente pubblico “cyber escort”
Un dipendente pubblico ha adito la Suprema Corte al fine di accertare la nullità del licenziamento, da lui considerato discriminatorio, perché fondato sul proprio orientamento sessuale.
A seguito di una segnalazione anonima pervenuta alla Pubblica Amministrazione ove il ricorrente ricopriva una mansione caratterizzata da visibilità esterna, si è accertato infatti, che lo stesso svolgeva, su alcuni siti internet, attività di prostituzione.
Nello specifico il dipendente, utilizzando anche un “user-name” strettamente collegato al proprio impiego, offriva prestazioni sessuali a pagamento mediante la pubblicazione di annunci corredati da tariffario, rimborso spese, supplemento per le riprese con telecamere o per fotografie che ne ritrassero il volto.
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Il lavoratore, contestando la sanzione disciplinare espulsiva irrogatagli, sosteneva che l’attività on line si era svolta nella sua sua vita privata e fuori dell’ambito lavorativo.
Inoltre, egli sosteneva che l’attività svolta, da lui ritenuta del tutto lecita e “socialmente rilevante”, riguardava solo siti riservati ad utenti prevalentemente omosessuali e bisessuali o community con accesso privato e non, quindi, alla generalità dei fruitori del web.
La Corte di Appello adita nell’instaurato giudizio, respingendo le doglianze del lavoratore, ha affermato, invece, che il licenziamento non è stato “intimato in ragione dell’orientamento sessuale del dipendente, bensì in ragione della pubblica e riconoscibile attività di prostituzione da egli esercitata su alcuni siti internet”.
Tale attività, a prescindere dall’orientamento sessuale, oltre ad essere chiaramente lesiva del prestigio e dell’immagine della Pubblica Amministrazione, è da considerarsi socialmente riprovevole.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12898 del 22/06/2016, confermando quanto pronunciato dal Giudice dell’Appello, ha stabilito che nella vicenda de qua “… si è trattato di un licenziamento per giusta causa che punisce comportamenti tenuti dal dipendente al di fuori dell’attività di lavoro ma ritenuti tali da influire sugli obblighi discendenti dal rapporto. Esso non ha alcuna connotazione discriminatoria, né diretta né indiretta; tanto meno con riferimento all’orientamento sessuale”.
Ne discende, pertanto, che non è possibile ancorare il licenziamento ad alcun riferimento, neppure remoto, di natura discriminatoria in quanto lo stesso ha sanzionato non l’orientamento sessuale del dipendente, professato in siti frequentati da persone omo e bisessuali, ma esclusivamente l’attività di prostituzione, esercitata su altri siti, con danno alla Pubblica Amministrazione.
Il provvedimento adottato nei confronti del dipendente trova fondamento, quindi, “solo nell’attività di prostituzione e non nell’orientamento sessuale e nelle scelte personali” del lavoratore.
Giuseppe Rossini
Avvocato in Potenza
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