L’estinzione del processo civile: cause ed effetti
Il bisogno di tutelare un proprio diritto e la comune volontà delle parti di ottenere un provvedimento che faccia chiarezza sui loro rapporti controversi costituiscono il motore del processo civile e della tutela giurisdizionale.
Nel momento in cui l’interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio viene meno, il processo civile non ha più ragion d’essere.
Non a caso, le tre ipotesi di estinzione del giudizio, disciplinate dal codice di rito, sono: la rinuncia agli atti del giudizio, l’inattività delle parti e la loro mancata comparizione.
La rinuncia agli atti del giudizio è disciplinata dall’art. 306 c.p.c. il quale esordisce affermando che “il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione.”
L’attore, in udienza o con atto notificato alle altre parti, può rendere una dichiarazione con la quale manifesta la volontà di rinunciare agli atti del giudizio.
Ai fini dell’efficacia della rinuncia, è necessaria l’accettazione della parte nei cui confronti la rinuncia è fatta soltanto quando questa abbia interesse alla prosecuzione del processo, interesse che deve concretarsi nella possibilità di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile che presuppone la proposizione, da parte sua, di richieste il cui integrale accoglimento le procurerebbe un’utilità maggiore di quella che conseguirebbe all’estinzione del processo.
Si ritiene che non siano interessate alla prosecuzione del giudizio le parti non costituite e le parti costituite che si siano difese in modo tale da dimostrare di non desiderare una pronuncia nel merito (ad es. perché hanno sollevato delle mere eccezioni processuali). L’accettazione deve essere pura e semplice ed è inefficace se contiene riserve o condizioni. La rinuncia e l’accettazione devono essere fatte dalle parti personalmente o a mezzo di procuratori speciali.
Il giudice, verificata la regolarità della rinuncia e dell’accettazione, dichiara l’estinzione del processo. L’art. 306 attribuisce al giudice la funzione di adottare due distinti provvedimenti aventi ad oggetto, rispettivamente, la dichiarazione dell’estinzione del giudizio, a seguito della rinuncia agli atti formulata da una parte ed accettata dall’altra, e la liquidazione delle spese che la prima deve ex lege rimborsare alla seconda, salvo diverso accordo tra le parti.
Il primo di detti provvedimenti, quando l’organo investito della decisione della causa abbia, per l’oggetto del giudizio, struttura monocratica, ha natura sostanziale di sentenza e, come tale, è appellabile anche se emesso in forma di ordinanza.
Diversamente, conserva la sua natura di ordinanza reclamabile ai sensi dell’art. 308 comma 1 c.p.c., se emanata dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e, quindi, non può essere altrimenti impugnato se non con reclamo.
Il provvedimento di liquidazione delle spese è, invece, dichiarato espressamente non impugnabile dallo stesso art. 306 comma 4 c.p.c., e, quindi, la parte che intenda dolersene può solo proporre ricorso straordinario per Cassazione, in virtù dell’art. 111 comma 7 cost. (Trib. Genova, sez. I, 26.01.2012).
La rinuncia agli atti del giudizio va tenuta distinta dalla rinuncia all’azione (o rinuncia all’impugnazione se interviene dopo il giudizio di primo grado) la quale è rinunzia di merito ed è immediatamente efficace anche senza l’accettazione della controparte, determinando il venir meno del potere – dovere del giudice di pronunciarsi sulla controversia (Cass. civ., sez. II, 03.08.1999, n. 8387). La rinuncia all’azione, ovvero all’intera pretesa azionata dall’attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede in capo al difensore un mandato ad hoc, senza che sia a tal fine sufficiente il mandato ad litem, in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell’originaria domanda, che rientra tra i poteri del difensore, in quanto espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate (Cass. civ., 17.12.2013, n. 28146). La rinuncia all’azione, che non richiede formule sacramentali e può essere anche tacita, presuppone l’incompatibilità assoluta tra il comportamento dell’attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta, il cui accertamento demandato al giudice del merito, risolvendosi in una valutazione di mero fatto, non è censurabile in sede di legittimità, ove sia logicamente e congruamente motivata (Cass. civ., 09.11.2005, n. 21685).
Ulteriore causa di estinzione del processo è l’inattività delle parti, disciplinata dall’art. 307 c.p.c. che elenca le circostanze al verificarsi delle quali si determina l’estinzione del giudizio. L’inattività delle parti si concreta in caso di mancata costituzione delle stesse dopo la notifica della citazione entro il termine previsto dall’art. 166 c.p.c. e di cancellazione della causa dal ruolo ordinata dal giudice dopo la costituzione delle parti.
In tutti questi casi, il processo deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di tre mesi, che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto ex art. 166 c.p.c. o dalla data del provvedimento di cancellazione. Scaduto inutilmente il termine, il processo si estingue. E’ nullo, in quanto privo dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo, l’atto di riassunzione che contenga l’invito a comparire davanti ad un giudice diverso da quello cui risultava assegnato il processo cancellato (Cass. civ., sez. lav., 28.07.2002, n. 9906).
Il processo si estingue, altresì, qualora le parti alle quali spetta rinnovare la citazione o proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto nel termine perentorio fissato dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a farlo. In quest’ultimo caso, il termine non può essere inferiore ad un mese e superiore a tre mesi.
L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore o con sentenza del collegio. Come già ribadito, quando l’organo investito della decisione ha struttura monocratica, la pronuncia di estinzione del processo ha natura sostanziale di sentenza e, come tale, è appellabile anche se emessa in forma di ordinanza. La pronuncia conserva, invece, la natura di ordinanza reclamabile davanti al collegio se emessa dal giudice istruttore nelle causa in cui il tribunale giudica in composizione collegiale (Cass. civ., 29.04.2004, n. 8092). Ai sensi dell’art. 308 c.p.c., il collegio provvede in camera di consiglio con sentenza, se respinge il reclamo, e con ordinanza non impugnabile se l’accoglie.
L’eccezione di estinzione del processo per mancata o tardiva riassunzione può essere dedotta da tutte le parti interessate e può essere dichiarata dal giudice solo se eccepita prima di ogni altra istanza o difesa (Cass. civ., 29.07.2005, n. 15948).
Infine, l’ultima causa di estinzione del processo si evince dal combinato disposto dell’art. 309 con l’art. 181 c.p.c.: se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice fissa un’udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo. Lo stesso accade nell’ipotesi in cui sia l’attore a non comparire alla prima udienza e il convenuto non chiede che si proceda in sua assenza: anche in questo caso, il giudice fissa una nuova udienza e, dato atto della mancata comparizione dell’attore, ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e che il processo si estingua.
A conclusione della disamina delle cause di estinzione del processo, giova il richiamo all’art. 310 c.p.c. che sinteticamente descrive gli effetti dell’estinzione: l’estinzione del processo non estingue l’azione; rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza.
Le prove raccolte sono valutate dal giudice ai sensi dell’art. 116 comma 2 c.p.c., ovvero come meri argomenti di prova e, infine, le spese del giudizio estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate.
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Martina Masciotra
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