Licenziamento a mezzo raccomandata rifiutata dal destinatario: da quando decorre il termine per impugnarlo?
Con la sentenza n. 17062 dell’11 agosto 2016, la Corte Suprema di Cassazione si è soffermata sulla decorrenza del termine di sessanta giorni per l’impugnativa stragiudiziale di un licenziamento avvenuto per mezzo di una raccomandata con ricevuta di ritorno rifiutata dal destinatario.
I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano respinto le domande del lavoratore ritenendo che l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, effettuata il 2 agosto 2012, era andata oltre il termine di sessanta giorni disposto dall’art. 6, comma 1, L. n. 604/1966 (così come modificato con L. n. 183/2010). In particolare, la Corte di Appello aveva statuito che il recesso del datore di lavoro poteva considerarsi conosciuto nella stessa data in cui la raccomandata, con avviso di ricevimento, era pervenuta al domicilio del dipendente ed era stata rifiutata, ossia il 24 maggio 2012. A sostegno di questa tesi osservava che, avendo l’agente postale annotato sull’avviso di ricevimento solo ed esclusivamente il rifiuto del plico senza indicare il soggetto che lo aveva espresso, poteva legittimamente presumersi che il rifiuto sia stato effettuato dal destinatario o dalla diversa persona abilitata a ricevere. Conseguentemente l’avviso poteva dirsi completo e legittimo e la notificazione valida.
Il lavoratore, con ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, denunciava la “[…] violazione o falsa applicazione degli artt. 138, 139, commi 2 e 3, 140 c.p.c. nonché dell’art. 8, co. 1, della L. n. 890 del 1982”, sostenendo la tesi secondo la quale l’agente postale, che dà atto del rifiuto del destinatario di ricevere il plico raccomandato, deve indicare sull’avviso di ricevimento anche il soggetto rifiutante, perché nel caso in cui il rifiuto venga espresso da altra persona questo non potrebbe equivalere ad accettazione.
I giudici di legittimità partono dall’analisi della norma applicabile al caso concreto e premettono che l’art. 6, comma 1, L. n. 604/1966 (come sostituito con L. n. 183/2010) prescrive solamente che il licenziamento venga comunicato per iscritto. Non sono,quindi, ritenute necessarie particolari modalità di comunicazione o formule sacramentali, in quanto la volontà di licenziare può essere manifestata al lavoratore anche in forma indiretta purché sia chiara (cfr. Cass. n. 17652/2007).
Sulla base di queste premesse, ritengono che sia un atto di recesso a tutti gli effetti la “[…] dichiarazione di conclusione del rapporto contenuta nel libretto di lavoro consegnato al dipendente da parte del datore accompagnata da lettera di trasmissione indicante il recesso datoriale […]”, per cui il termine per l’impugnazione stragiudiziale inizia a decorrere dalla data di consegna. Allo stesso modo, nel caso del telegramma, il requisito della forma scritta sussiste quando risulta l’effettiva provenienza del telegramma dall’autore della dichiarazione e il termine per l’impugnazione decorre dalla consegna del telegramma all’ufficio postale, da parte del mittente o per suo incarico, oppure dalla sottoscrizione da parte del mittente (cfr. Cass. n. 10291/2005).
Pertanto, posto che:
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la comunicazione del recesso a mezzo di raccomandata (avendo forma scritta) rispetta la normativa di legge, ancorché l’agente postale in questo caso deve ritenersi sprovvisto dei requisiti soggettivi per procedere a una vera propria notifica;
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il lavoratore ricorrente denuncia la violazione di norme attinenti alla notificazione degli atti giudiziari e non applicabili alla fattispecie;
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nel caso di specie si tratta di un’ordinaria raccomandata inviata a mezzo del servizio postale, che si presume conosciuta ex art. 1335 c.c. nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, circostanza quest’ultima pacifica tra le parti (cfr. Cass. n. 26390 del 2008);
La Cassazione respinge il motivo di doglianza del lavoratore, confermando in ultima analisi la tardività dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento.
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Gabriele Aprile
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