Licenziamento illegittimo per mancata audizione personale del lavoratore
Obbligatorietà dell’audizione del dipendente nella procedura di licenziamento disciplinare ovvero per giusta causa , Corte di Cassazione n. 17166 , 18 agosto 2016.
Con sent. N. 17166 del 18 agosto 2016, la Suprema Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore a a seguito della mancata audizione personale dello stesso in fase di procedimento disciplinare ex art. 7 L. 300/1970 .
Il fatto vedeva un dipendente essere stato licenziato in tronco a seguito dell’arresto per detenzione e spaccio di ingente quantità di sostanza stupefacente (eroina nel caso di specie).
Impugnato il provvedimento espulsivo, il procedimento di primo grado svoltosi nei modi e termini di cui alla L. 92/2012 vedeva respinto il ricorso del lavoratore; decisione successivamente confermata dalla Corte d’Appello Territoriale dell’Aquila in data 11 dicembre 2014 che , a seguito della doglianza mossa dal ricorrente circa la mancata audizione personale in fase di procedura ex art. 7 L. 300 /1970, riteneva la stessa “ meramente dilatoria” dei tempi procedurali , non violandosi così alcun principio di difesa.
Proponeva ricorso per Cassazione in sei motivi il lavoratore, mentre la società datrice resisteva con controricorso.
I motivi proposti dal ricorrente potevano riassumersi nell’ordine:
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“violazione ed errata applicazione dell’art. 7 della I. n. 300 del 1970 e dell’art. 32 del Contratto Collettivo specifico di lavoro di primo livello del 29 dicembre 2010 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Si eccepiva infatti, con le giustificazioni scritte, il lavoratore non aveva “consumato” il suo diritto di difesa, avendo lo stesso chiesto di essere sentito oralmente;
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“violazione ed errata applicazione dell’art. 115 c.p.c.” in quanto la Corte territoriale avrebbe ritenuto legittimo il licenziamento “sulla base di sue congetture non fondate su alcun elemento rinvenibile negli atti del processo”, sia in ordine alla frequentazione del dipendente “di ambienti malavitosi dediti al traffico di stupefacenti”, sia circa la sussistenza di un danno all’immagine dell’azienda “;
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“ violazione ed errata applicazione di norme di legge e di contratto collettivo perché in quest’ultimo l’ipotesi contestata non risulterebbe presente tra quelle legittimanti il licenziamento;
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“violazione del contratto collettivo nonché dell’art. 2119 c.c. reputando che “il comportamento extralavorativo del dipendente è di regola irrilevante ai fini della lesione del vincolo fiduciario”;.
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“Violazione ed errata applicazione dell’art. 2119 c.c. per avere la Corte d’Appello formulato un giudizio prognostico in merito il futuro adempimento del lavoratore non su elementi di fatto chiaramente riscontrabili, stante lo status di incensurato del ricorrente, e senza aver in concreto valutato le mansioni operaie dello stesso”;
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“ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dallo svolgimento da parte del T. di mansioni di operaio addetto alla catena di montaggio”;
La Suprema Corte riteneva fondato solamente il primo dei motivi sopra indicati, ritenendo infondati tutti gli altri.
Per chiarezza espositiva, attesa anche la gravità dei fatti posti a fondamento del licenziamento, ribadiva, in particolar modo alle censure mosse in violazione dell’art. 2119 c.c., come “anche condotte concernenti la vita privata del lavoratore possono in concreto risultare idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, allorquando abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative d’un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività”, e come comportamenti extralavorativi imputabili al lavoratore possono colpire interessi del datore di lavoro, violando obblighi di protezione; il lavoratore è tenuto, infatti, non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario (cfr. Cass. n. 776 del 2015; Cass. n. 16268 del 2015).
Nondimeno, si ritiene necessario che si tratti di comportamenti che, per la loro gravità, siano suscettibili di scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro perché idonei, per le concrete modalità con cui si manifestano, ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali (cfr. Cass. n. 15654 del 2012).
In riferimento alla fondatezza del primo motivo, la Corte ha precisato che tale garanzia (la previa audizione a difesa) opera solamente nel caso in cui , il lavoratore abbia espressamente chiesto di essere sentito (v. Cass. n. 4435 del 2004).
Però, una volta che l’espressa richiesta sia stata formulata in modo univoco dallo stesso (cfr. Cass. n. 12268 del 2000), la sua previa audizione costituisce in ogni caso indefettibile presupposto procedurale (Cass. n. 1661 del 2008; Cass. n. 7848 del 2006; Cass. n. 9066 del 2005), anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, contestualmente alla richiesta di audizione a difesa, abbia reso al datore di lavoro giustificazioni scritte; le quali, per il solo fatto che si accompagnino alla richiesta di audizione, sono ritenute dal lavoratore stesso non esaustive e destinate ad integrarsi con le giustificazioni che il lavoratore stesso eventualmente aggiunga o precisi in sede di audizione.
Da qui, discerne il principio secondo cui “il datore di lavoro, il quale intenda adottare una sanzione disciplinare, non può omettere l’audizione del lavoratore incolpato ove quest’ultimo ne abbia fatto richiesta espressa contestualmente alla comunicazione, nel termine di cui alla I. n. 300 del 1970, art. 7, comma 5, di giustificazioni scritte, anche se queste siano ampie e potenzialmente esaustive” (cfr. Cass. n. 6845 del 2010; conf. a Cass. n. 7006 del 1999).
Stante dunque le modifiche apportate all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori dalla L. 92/2012 ( Legge Fornero), il licenziamento illegittimo per violazione delle procedure disciplinari comporterà egualmente la risoluzione del rapporto di lavoro con l’applicazione della tutela graduata la quale riconoscerà al lavoratore un’indennità omnicomprensiva variabile da un minimo di sei ed un massimo di dodici mensilità dell’ultime retribuzione globale di fatto.
Giova ricordare che tali garanzie sussistono in quanto la sentenza in oggetto riguarda un rapporto di lavoro istaurato antecedentemente all’entrata in vigore del Jobs Act; per tutti i lavoratori assunti a partire dal 07 marzo 2015, infatti, in caso di mancata audizione del dipendente, prevista come vizio formale, il sistema delle tutele crescenti prevede un risarcimento nella misura ridotta di un minimo di 1 mensilità ( una per ogni anno di anzianità ) da un minimo di 2 ad un massimo di 12 mensilità.
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Andrea Pagnotta
Praticante e collaboratore presso studio legale in Roma
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