L’obiezione di coscienza per motivi religiosi

L’obiezione di coscienza per motivi religiosi

a cura di Giuseppe Di Micco

Affrontare un discorso sull’obiezione di coscienza è, di sicuro, non facile; non facile perché implica il dover considerare il complesso rapporto tra coscienza e libertà, soprattutto quando il discorso è dettato da motivazioni religiose.

Che cos’è veramente la coscienza? Esiste un rapporto tra il diritto, la legge, la norma e la coscienza? Sono tutti interrogativi ai quali ancora non si può dare una risposta definitiva e stabile, perché la società, così come l’ordinamento giuridico sono in continua evoluzione; basti pensare al sorgere di nuovi diritti legati al progresso tecnologico e scientifico. In una società in cui convivono in regime di eguaglianza libertà, fedi, culture e tradizioni diverse, vi sono spazi in cui la discussione su temi particolarmente sensibili sollecitano, talvolta, l’intervento del legislatore.

L’obiezione di coscienza si sostanzia nel rifiuto di obbedire alla legge per motivi legati alla coscienza, un individuo rifiuta di assoggettarsi ad una condotta giuridicamente esigibile. Sembrerebbe trattarsi di una disobbedienza alla legge, e tale disobbedienza in alcuni casi è consentita dalla legge diventando così un’opzione di coscienza; infatti, l’obiettore non è un trasgressore della legge, non contesta la legge come tale, ne denuncia indirettamente l’immoralità, e nel momento in cui è la legge che ne riconosce la possibilità, egli finisce per comportarsi secundum legem. Essa diviene, dunque, espressione concreta della libertà di coscienza, permettendo la prevalenza di determinati valori su quanto la legge dispone. L’obiettore non è colui che evita la legge, ma vuole con il suo comportamento esprimere un valore o un principio quando la legge va ad incidere su questi ultimi. Attenzione  però: se la legge non può di certo vincolare la coscienza, quest’ultima non è il luogo dell’opinabile, il luogo di mere considerazioni soggettive, ma quello dove si ha la percezione di un valore oggettivo ed universale, che permette il non adempimento di quanto prescrive una norma di legge.

L’obiezione di coscienza ha ricevuto solo di recente un riconoscimento legislativo, poiché in passato non era per nulla consentita, anche se di fatto già praticata.

Nell’A.T. si trovano forme di obiezione di coscienza, quando i profeti denunciano i soprusi e le ingiustizie dei sovrani di Israele, emblematica a tal proposito è la vicenda dei Maccabei.  Anche i primi cristiani praticavano l’obiezione di coscienza, quando si ponevano in contrasto con l’ordinamento romano, proprio perché diversi erano i valori su cui essi si fondavano. Negli Atti degli Apostoli è narrato l’episodio in cui Pietro insieme agli apostoli dinanzi al Sinedrio che voleva proibirli di insegnare la dottrina di Cristo risposero: “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi più che a Lui giudicatelo voi stessi”  (Atti 4,19). Troviamo forme di obiezione nel mondo pagano come nella famosa tragedia Antigone di Sofocle, dove Antigone accetta di essere condannata dal tiranno di Tebe pur di non trasgredire le norme divine sulla sepoltura. Forme di obiezione di coscienza erano anche quelle dei dissidenti e degli eretici che contrastavano la religione dominante. Non a caso la libertà di coscienza è nata come risultato delle guerre di religione, quale modalità difensiva a tutela delle minoranze eterodosse di credenti, che a volte più che eretici erano liberi pensatori.

La Chiesa Cattolica ha avuto sul tema un atteggiamento molto aperto; già nella Populurum progressio Paolo VI si rallegrava che in alcune nazioni il servizio militare può essere sostituito con un servizio puro e semplice (PP 74), cosi come nella Gaudium et spes si dichiara che sono conformi ad equità le leggi che provvedono umanamente al servizio di coloro che per motivi di coscienza ricusano l’uso delle armi, accettando qualche altra forma di servizio alla comunità (GD 79).

Ancor più nell’Evangelium vitae di Giovanni Paolo II al n. 22 si afferma che le leggi ingiuste, in particolare quelle che rendono legale l’aborto o l’eutanasia, non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza. Rifiutarsi di partecipare a commettere un’ingiustizia è non solo un dovere morale, ma è un diritto umano basilare, e se così non fosse la persona umana sarebbe costretta a compiere un’azione intrinsecamente incompatibile con la sua dignità e libertà. E continua, si tratta di un diritto essenziale che dovrebbe essere previsto e protetto dalla stessa legge civile.

L’obiezione è l’unico momento in cui la coscienza viene ad essere giuridicamente tutelata in maniera esplicita. La dottrina giuridica si è interrogata sulle motivazioni che sono alla base di tali comportamenti, ed ha incluso tra queste anche le scelte di carattere religioso. Tutto ciò crea un conflitto tra i valori dell’ordinamento e quelli dei singoli. L’intervento del legislatore ha condotto a fondare il riconoscimento di alcune forme di obiezione di coscienza, configurando l’esistenza di un vero e proprio diritto all’obiezione di coscienza.

Ora il fatto che vi sia un conflitto fra due obbedienze, non implica l’automatico venir meno dei precetti normativi, ma comporta la ricerca di un equilibrio tra la necessità di assicurare i diritti della coscienza contemperandoli con quelli della democrazia, un equilibrato riassetto tra interessi del singolo e interessi della collettività. L’obiezione di coscienza rappresenta un tema di frontiera, essa non può ridursi ad un mero ed arbitrario rifiuto della legge, ma rappresenta un riconoscimento dell’identità che può spingersi fino alla denuncia di un’ingiustizia, senza che questa si traduca in un ostacolo al funzionamento di un pubblico servizio o leda un diritto fondamentale costituzionalmente garantito. Nel caso dell’aborto ad esempio sia che si voglia considerare tale diritto ricompreso nella sfera di autodeterminazione della donna, sia che voglia considerarsi legittimo il rifiuto del medico di intervenire, non deve di sicuro andare a scapito del diritto alla salute della donna, soprattutto quando vi è un imminente pericolo di vita. Ragion per cui, bisogna evitare che sotto la maschera del credo religioso si celi un’elusione dei valori costituzionali.

Infatti, l’o.b. va ricondotta nell’alveo dei doveri costituzionali ed in essi va riguardata, facendo sì che nelle dinamiche di confronto lo Stato deve essere garante ed arbitro delle diverse pretese pubbliche e private, fissando i giusti limiti.

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Giuseppe Di Micco

Laureato in Giurisprudenza con votazione di 110 e lode, tesi in diritto canonico, relatore prof. Mario Tedeschi. Ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, mediante una diretta attività di partecipazione alle udienze in tribunale, nonché nello studio dei casi pratici per la redazione di atti giudiziari e pareri. Praticante abilitato, collabora presso studi legali in materia di diritto civile e diritto del lavoro. Dottore di ricerca in diritto canonico ed ecclesiastico presso l’Università degli Studi di Milano, ha approfondito come tema di ricerca il problema della consumazione del matrimonio nei diritti religiosi (diritto ebraico, canonico, ed islamico). Collaboratore alle cattedre di diritto ecclesiastico, diritto canonico, diritti confessionali e storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli. Collabora attivamente anche presso le strutture ecclesiali, in particolare negli ambiti liturgici e della formazione giovanile.

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