Messa alla prova: per le Sezioni Unite rileva la pena massima della fattispecie base

Messa alla prova: per le Sezioni Unite rileva la pena massima della fattispecie base

PREMESSA

L’art. 168 bis c.p. statuisce che nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

Ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell’art. 168-bis c.p., alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie – base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. A stabilirlo sono state le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36272, del 1° settembre 2016.

La dottrina (si veda, F. PALAZZO, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture- A proposito della legge n. 67/2014, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 4/2014, pp. 1694- 1695) ha evidenziato che la messa alla prova è frutto di un delicato intervento di riforme del sistema sanzionatorio penale. Tali riforme (dirette ad alleggerire la risposta punitiva nei confronti dei reati cc.dd. bagatellari e degli imputati primari) sono state volute ed attuate proprio in ragione delle condanne subite dall’Italia per il sovraffollamento carcerario. Un riferimento, in tal senso, meritano la Dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotta dal D.lgs. n. 28 del 16.03.2015 e la nota sentenza nota sentenza Torreggiani e altri c/ Italia, pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo l’8 gennaio 2013, (con la quale l’Italia è stata condannata per la violazione dell’art. 3 della Convenzione E.d.u).

LA SENTENZA DELLE SS.UU.

Tornando al merito della questione, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza del 26 febbraio 2016, n. 80, rimetteva alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se, nella determinazione del limite edittale fissato dall’art. 168 bis c.p., ai fini dell’applicabilità della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova, debba tenersi conto delle circostanze aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale”.

Gli Ermellini, in pratica, sostengono che la norma in questione limita l’applicazione dell’istituto della messa alla prova. Ciò in quanto farebbe espresso riferimento alle figure delittuose indicate dal  primo comma dell’art. 550 c.p.p. ed ai soli reati puniti con la pena pecuniaria o con la pena detentiva, sia essa sola, congiunta o alternativa a quella pecuniaria, non superiore nel massimo a quattro anni, senza alcuna puntualizzazione in merito al fatto se, in tale calcolo, debbano essere considerate le circostanze aggravanti.

Un primo orientamento giurisprudenziale afferma che nell’ipotesi in cui si proceda per reati diversi da quelli indicati nel secondo comma dell’art. 550 c.p.p., il limite edittale si calcoli tenendo conto della aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (Cass. pen., Sez. VI, 30 giugno 2015, sent. n. 36687; Cass. pen., Sez. VI, 6 ottobre 2015, sent. n. 46795). Il Legislatore nel riferirsi al limite “edittale”, ha preso in considerazione le circostanze di cui all’art. 63, terzo comma, c.p., ai fini della determinazione della pena. Dunque, per quanto concerne la messa alla prova, in mancanza di un’espressa previsione normativa, la soluzione interpretativa dovrebbe convergere con tale soluzione.

La tesi contraria, ritiene che il parametro contenuto all’interno del già citato art. 168 bis c.p. si debba riferire unicamente alla pena massima prevista per la fattispecie – base, prescindendo dalla contestazione di qualsiasi aggravante, comprese quelle ad effetto speciale (Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 6483 del 9/12/14; Cass. pen., Sez. II, sent. n. 33461 del 14/7/15).

Quest’ultima impostazione è, appunto, quella accettata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 36272, dell’1/9/16. In sostanza, la normativa, non contiene alcun riferimento esplicito sulla possibile incidenza delle possibili aggravanti per identificare i reati che possono essere ricompresi nel novero di applicazione dell’istituto della probation. Pertanto, il principio secondo cui la fattispecie circostanziata è dotata di una sua autonoma cornice edittale è sicuramente corretto in quanto applicato alla struttura del reato, ma non se riferito all’articolo 168 bis c.p. (ciò perché non trova conferma nella lettera della legge).

 

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Maria Giovanna Bloise

Consulente Legale
Consegue la Laurea Magistrale in Giurisprudenza nel Marzo 2014 presso l’Università degli Studi della Calabria, discutendo una tesi in Diritto Civile, dal titolo: “I limiti temporali al Diritto di Proprietà: La Proprietà temporanea”. Concluso il percorso didattico, si iscrive al Registro dei Praticanti Avvocati dell’Ordine di Paola (CS), abilitandosi al patrocinio legale nel Maggio 2015 e completando la sua formazione giuridica nel diritto Civile e Penale, trattando tematiche tecniche di diritto Tributario, Bancario, Lavoro e Previdenza Sociale. Componente della redazione della rivista giuridica "Ratio Legis".

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