Motivazione rafforzata in caso di mancata applicazione del “braccialetto elettronico”

Motivazione rafforzata in caso di mancata applicazione del “braccialetto elettronico”

Il caso

Il Tribunale della Libertà di Napoli rigettava la richiesta di riesame proposta avverso l’ordinanza di custodia in carcere emessa dal GIP partenopeo, nei confronti di un soggetto indagato per partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e per diversi reati fine.

La proposizione del riesame si era limitata al solo profilo delle esigenze cautelari e, a tale proposito, il Tribunale aveva confermato la misura, ritenendo elevato il pericolo di reiterazione delle condotte, in ragione della sistematicità delle stesse e del radicamento territoriale dell’indagato, percepito pubblicamente come dedito allo spaccio e pertanto soggetto a sollecitazioni esterne volte a fargli procurare le sostanze stupefacenti dallo stesso smerciate.

Ricorreva pertanto in Cassazione l’indagato, lamentando violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento alla valutazione del quadro cautelare, in particolare dolendosi del mancato apprezzamento, da parte del Giudice partenopeo, di una serie di circostanze fattuali incidenti sulla permanenza delle rilevate esigenze cautelari sotto il profilo del rischio di reiterazione del reato, prima fra tutte quella del trasferimento a Como – immediatamente successivo alle ultime captazioni del cautelato, risalenti a giugno 2014 – con conseguente venir meno di qualsivoglia legame con la propria “piazza” di spaccio, unitamente allo svolgimento di attività lavorativa con contratto a tempo indeterminato (con allegazione della relativa busta paga, tuttavia non valutata dal Tribunale della Libertà).

In secondo luogo il ricorrente rilevava come le modeste dimensioni del fenomeno associativo, lo scarso potenziale stupefacente della droga smerciata (limitata a “fumo” ed “erba”), il breve periodo di attività ed il luogo di elezione dello spaccio (dal quale l’indagato era ormai lontano) avrebbero dovuto orientare il Giudice nel senso della valutazione di non attualità delle esigenze cautelari.

La decisione

La Suprema Corte, pur condividendo la valutazione compiuta dal Giudice partenopeo in ordine alla concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, sulla base del grave compendio indiziario che lo riguardava e che ne tratteggiava il ruolo di promotore dell’associazione criminosa, ne censurava la mancata valutazione, a fronte delle deduzioni difensive relative all’allontanamento dell’indagato dal luogo di commissione delle condotte criminose, di effettiva idoneità della misura applicata dal GIP.

Il Tribunale della Libertà, ad avviso degli Ermellini, avrebbe invece dovuto spiegare – in primo luogo ­ perché mai l’allontanamento dell’indagato dal luogo di commissione degli illeciti non incidesse sul giudizio di idoneità di una misura disposta per fronteggiare esigenze di reiterazione di condotte criminose legate al radicamento territoriale del ricorrente nei luoghi costituenti il di lui “mercato” d’elezione. Ciò tanto più alla luce di allegazioni difensive dirette ad introdurre il thema decidendum della idoneità della misura prescelta in rapporto alle esigenze cautelari rilevate.

Un simile compendio indiziario avrebbe dovuto indurre il Giudice a compiere un più deciso sforzo motivazionale, in ordine altresì alla ritenuta adeguatezza – in relazione alle esigenze cautelari rilevate ­ delle ben più afflittiva custodia cautelare in carcere in luogo degli arresti domiciliari con procedure di controllo mediante mezzi elettronici, ex art. 275bis, co. 1, C.p.p.

I Giudici di Piazza Cavour giungono a queste conclusioni richiamando il significativo precedente delle Sezioni Unite del 28 aprile scorso (sent. n. 20769/2016) alla luce del quale la modifica del comma 1 dell’art. 275bis C.p.p. (apportate con d.l. 146/2013, convertito con l. 10/2014) sarebbe espressione di una vera e propria scelta legislativa di predilezione – a parità di esigenze cautelari – per la sorveglianza elettronica, in luogo della custodia cautelare in carcere, quest’ultima configurandosi ulteriormente quale extrema ratio. Tale preferenza si evince dal rovesciamento – frutto per l’appunto della novella legislativa ­ del rapporto tra custodia in carcere ed arresti domiciliari assistiti da “braccialetto elettronico”, tale per cui la prima costituisce l’eccezione e la seconda la regola, alla luce del principio del minimo sacrificio per la libertà personale.

Conseguenza inevitabile di tale inversione è la centralità della motivazione del Giudice, cristallizzata altresì dall’introduzione, con la recente riforma portata dalla l. 47/2015, del co. 3bis all’art. 275 C.p.p. (in virtù del quale il Giudice deve indicare, con il provvedimento che dispone la custodia in carcere, le ragioni per cui ritiene gli arresti domiciliari assistiti dalla procedura di controllo elettronico inidonei nel caso concreto).

Motivazione, quella dell’ordinanza impugnata nel caso di specie, che si appalesa carente secondo la Suprema Corte, con conseguente annullamento con rinvio del provvedimento, limitatamente alla scelta della misura applicata.

Considerazioni critiche

La pronuncia in commento, nel valorizzare l’onere di motivazione giudiziale, si inserisce in una complessiva tendenza legislativa e giurisprudenziale sviluppatasi negli ultimi anni, volta a restituire alla custodia cautelare in carcere il suo originario carattere di “extrema ratio”, con conseguente necessità di un apparato argomentativo rafforzato ogni qualvolta si scelga la misura più afflittiva. Tale tendenza è chiaramente ravvisabile non solo nelle novelle codicistiche sopra menzionate, ma anche in una ulteriore modifica apportata al codice di rito dalla l. 47/2015, quella di cui all’art. 292 c.p.p., in seno al cui comma 2 è stata inserita una nuova lettera c – bis). In esito a tale intervento novellatore, l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere deve recare, oltre a “l’esposizione e l’autonoma valutazione di motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa”, anche “l’esposizione e l’autonoma valutazione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure”. Pare, pertanto, che il legislatore abbia inteso conformarsi alle indicazioni provenienti non solo dalla Corte Costituzionale (relativamente al principio del minore sacrificio necessario della libertà personale, già affermato, ex multis, dalla sentenza C. Cost. 231/2011), bensì anche della Corte di Strasburgo (vedasi la nota sentenza Torregiani, che raccomandava al nostro Stato – tra le altre cose – anche di ridurre il ricorso alla custodia in carcere).

Certo, non si può negare che sinora la predilezione legislativa per il c.d. “braccialetto elettronico” sia stata frustrata dalla scarsa disponibilità dello strumento, testimoniata peraltro da numerosi casi di cronaca; tuttavia le Sezioni Unite, nella medesima pronuncia richiamata dall’ordinanza di annullamento con rinvio qui commentata, hanno dato una indicazione procedurale che – si auspica – potrà tornare utile anche al Tribunale del Riesame di Napoli quale giudice di rinvio: in caso di mancanza di disponibilità dello strumento elettronico, deve escludersi qualsivoglia automatismo – tanto nel senso della custodia in carcere, quanto nel senso degli arresti domiciliari – dovendo il giudice valutare la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna misura in relazione alle esigenze cautelari da valutare nel caso concreto.

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Angela Santinello

Angela Santinello è Praticante Avvocato Abilitato al Patrocinio nel Foro di Ferrara. Nell'esercizio dell'attività professionale è prevalentemente dedita alla trattazione di materie afferenti al Diritto Penale. Laureata in Giurisprudenza nel luglio 2013, nel luglio 2015 ha conseguito un Master Breve in Diritto Penale di Impresa.

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