Niente casa alla figlia se era stata concessa dai nonni in comodato

Niente casa alla figlia se era stata concessa dai nonni in comodato

Cass. Civ., sez. I, 26 novembre 2015, n. 23978

a cura di Giuseppe Di Micco

La casa data in comodato solo per le esigenze familiari, deve essere restituita ai proprietari, se queste vengono meno. È quanto ha stabilito la prima sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 23978/2015 depositata il 26 novembre scorso, respingendo il ricorso di una ragazza che aveva non solo portato in giudizio il padre chiedendogli i danni morali per violazione dei doveri degli obblighi di assistenza morale e materiale, ma aveva proposto anche domanda di assegnazione dell’ex casa coniugale, di proprietà dei nonni paterni, concessa in comodato ai genitori, atteso che tale comodato si era risolto dopo la separazione del padre dalla propria consorte.

Infatti, secondo i giudici della Suprema Corte, si tratta di doglianze del tutto inammissibili.  Il rapporto di comodato, “riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c., che si instaura tra il comodante e uno dei coniugi, perché l’immobile venga adibito a casa coniugale, sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile “per relationem“, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale. Tale rapporto è destinato, pertanto, a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile”.

Nel caso in esame, la stessa ricorrente afferma che la casa era di proprietà della nonna paterna, che l’aveva data in comodato al figlio affinché la utilizzasse come abitazione coniugale e che tale comodato era stato risolto dopo la separazione del medesimo dalla moglie.

Per cui, il padre, “non potrebbe comunque assegnare la casa – alla figlia – attesa la risoluzione del comodato e la restituzione del bene alla legittima proprietaria”, trattandosi di un bene, appunto, del quale il genitore non può disporre”. La doglianza esposta non ha trovato accoglimento per difetto di interesse, in quanto lo stesso bene non è più nella disponibilità del padre.

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Giuseppe Di Micco

Laureato in Giurisprudenza con votazione di 110 e lode, tesi in diritto canonico, relatore prof. Mario Tedeschi. Ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, mediante una diretta attività di partecipazione alle udienze in tribunale, nonché nello studio dei casi pratici per la redazione di atti giudiziari e pareri. Praticante abilitato, collabora presso studi legali in materia di diritto civile e diritto del lavoro. Dottore di ricerca in diritto canonico ed ecclesiastico presso l’Università degli Studi di Milano, ha approfondito come tema di ricerca il problema della consumazione del matrimonio nei diritti religiosi (diritto ebraico, canonico, ed islamico). Collaboratore alle cattedre di diritto ecclesiastico, diritto canonico, diritti confessionali e storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli. Collabora attivamente anche presso le strutture ecclesiali, in particolare negli ambiti liturgici e della formazione giovanile.

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