Non è diffamazione insultare, per difesa, l’ex marito dinanzi al giudice
Cass. Pen., sez. V, 10 agosto 2016 n.34793
Il caso
La sig.ra D. veniva assolta dal Tribunale in appello per il reato di diffamazione con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, in relazione alle frasi offensive pronunciate durante una pubblica udienza nei confronti dell’ex marito, durante una causa che vedeva le parti coinvolte. Il Tribunale aveva ritenuto che il contesto in cui erano state pronunciate le frasi offensive (inserite riassuntivamente nel verbale d’udienza,) portava a ritenere che l’imputata avesse comunque utilizzato gli epiteti offensivi in un’ottica prettamente difensiva, al fine di giustificare le condotte a lei ascritte nell’ambito del procedimento allora in corso.
Avverso la sentenza assolutoria ricorreva in Cassazione la parte civile, evidenziando come la lettura del verbale di udienza consentisse di ritenere non giustificata la condotta processuale dell’imputata, posto che il Giudice fu costretto ad invitarla ad uscire dall’aula, non riuscendo evidentemente a contenerla.
La decisione
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha confermato l’assoluzione della donna imputata del reato di diffamazione per aver in udienza più volte ingiuriato il marito con appellativi chiaramente offensivi. A giudizio degli Ermellini, in determinate circostanze,insultare il proprio ex marito davanti al giudice di pace non costituisce condotta diffamatoria e quindi, il giudice di merito ha correttamente assolto la donna poiché il fatto non costituisce reato.
Per i giudici, infatti, nel caso in esame deve ritenersi sussistente l’esimente di cui all’articolo 598 del c.p., che esclude la punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie e amministrative quando funzionali al libero esercizio del diritto di difesa
Era altresì emerso, nel corso del processo, era emerso pacificamente che trai coniugi persisteva uno stato di forte conflittualità e che la donna aveva pronunciato le frasi in questione nel corso del suo esame dibattimentale nel momento in cui risultava aver perso il controllo nel rispondere alle domande sui fatti oggetto del processo penale, riguardanti sempre i rapporti problematici con l’ex marito. In quel processo, oltretutto, la donna era imputata e l’ex coniuge persona offesa: la propensione con la quale era stata posta in essere la condotta diffamatoria era, evidentemente, quella difensiva.
I giudici di legittimità, hanno inoltre richiamato la propria giurisprudenza in merito ricordando che l’esimente di cui all’articolo 598 c.p. rappresenta un’applicazione estensiva del principio posto dall’articolo 51 del c.p., relativamente all’esercizio di un diritto o all’adempimento di un dovere e può essere applicata solo nel caso in cui le offese riguardino l’oggetto della causa in maniera diretta e immediata.
Non è anche richiesto, invece, che le offese abbiano un contenuto minimo di verità o che questa possa essere in qualche modo dedotta dal contesto: l’interesse tutelato, infatti, è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa.
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