Nuove modifiche (forse) del delitto di corruzione tra privati

Nuove modifiche (forse) del delitto di corruzione tra privati

Focus sull’art. 19 della Legge 170/2016 (Delega al Governo per l’attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio dell’UE).

Il momento tanto atteso è arrivato. Dal 16.09.2016, grazie all’entrata in vigore della legge 170/2016, il Governo ha tre mesi per emanare un decreto legislativo con cui attuare la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio in merito alla lotta contro la corruzione nel settore privato, norme che porteranno ad una modifica del già camaleontico reato di corruzione tra privati, previsto all’art. 2635 cod. civ., e delle sanzioni stabilite a carico dell’ente sulla base dello stesso delitto (art. 25-ter, lett. s-bis, D.Lgs. 231/2001).

Si ricorda, brevemente, che tale intervento è necessario in quanto le decisioni quadro, nonostante costituiscano importanti provvedimenti normativi emanati dal Consiglio dell’UE nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale al fine di ravvicinare gli ordinamenti giuridici europei, non godono di efficacia diretta nei vari Stati appartenenti l’Unione.

Avendo specifico riguardo alla decisione quadro sopra richiamata si osserva che la legge 170/2016 non rappresenta il primo tentativo di adeguamento dell’Italia a tale normativa (senza dimenticare che il termine originario fissato agli Stati per adempiere scadeva il 22.07.2005), ricordando come già la legge comunitaria 2007 mirava a raggiungere tale risultato (art. 29 L. 34/2008 prevedeva, infatti, di: “a) introdurre nel Libro II, Titolo VIII, Capo II, del codice penale (delitti contro l’industria e il commercio) una fattispecie criminosa la quale punisca con la reclusione da 1 a 5 anni la condotta di chi, nell’ambito di attività professionali, intenzionalmente sollecita o riceve, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggiodi qualsiasi natura, oppure accetta la promessa di tale vantaggio, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative non meramente esecutive per conto di una entità del settore privato, per compiere o omettere un atto, in violazione di un dovere, sempreché tale condotta comporti o possa comportare distorsioni di concorrenza riguardo all’acquisizione di beni o servizi commerciali; b) prevedere la punibilità con la stessa pena anche di colui che, intenzionalmente, nell’ambito di attività professionali, direttamente o tramite intermediario, dà, offre o promette il vantaggio di cui alla lettera a); c) introdurre fra i reati di cui alla sezione III del capo I del D. Lgs. 231/2001, le fattispecie criminose di cui alle lettere a) e b), con la previsione di adeguate sanzioni pecuniarie e interdittive nei confronti dell’entità nel cui interesse o vantaggio sia stato posto in essere il reato”).

La delega è rimasta inattuata per scadenza del termine.

Nella speranza che non si ripeta quanto accaduto e prima di esaminare le novità che deriveranno dall’introduzione della non recente normativa europea è interessante ripercorrere la storia, a dir poco travagliata, di questa fattispecie criminosa.

La corruzione tra privati, infatti, come prima forma di repressione in Italia del fenomeno corruttivo privato, vede la luce con la riforma societaria del 2002 (D.Lgs. 61/2002), a seguito degli impegni assunti dall’Italia a livello europeo con la Convenzione sulla lotta alla corruzione di Bruxelles e la convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione, entrambe del 1997, e l’Azione comune europea del 1998.

La prima formulazione della norma, in origine denominata “infedeltà a seguito della dazione o promessa di utilità”, rivela da subito la sua inadeguatezza rispetto alle intese assunte a livello europeo, raccogliendo numerose critiche da parte della dottrina (si allega, per completezza, il testo: “Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci, i liquidatori e i responsabili della revisione, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette utilità. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Si procede a querela della persona offesa.” .

La vecchia fattispecie, infatti, configurata come reato proprio, includeva tra i soggetti attivi solo coloro che appartenevano ai vertici aziendali, non facendo rientrare nel perimetro della fattispecie il fenomeno corruttivo con protagonisti i dipendenti delle aziende o comunque tutti i soggetti sottoposti alla direzione e alla vigilanza della governance societaria.

Continuando, si rinveniva una difficile applicazione della norma a causa del connubio degli elementi “nocumento della società e procedibilità a querela”. Tale struttura, di fatto, portava alla risoluzione di qualunque fenomeno corruttivo aziendale attraverso l’azionamento di meccanismi di autotutela (ad es. licenziamento del soggetto) che non solo facevano risparmiare i costi di un processo penale, ma soprattutto evitavano che la società subisse danni all’immagine.

Sulla base di queste premesse e di ulteriori impegni assunti a livello europeo (Convenzione di Merida del 2003, la Convenzione di Strasburgo del 1999 e la decisione quadro 2003/568/GAI), interviene la L. 190/2012, introducendo delle modifiche sostanziali alla fattispecie (si allega, quindi, il testo del reato oggi vigente: “Corruzione tra privati: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni 6. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.”.

Da notarsi che, non solo il reato assume una diversa denominazione, mettendo a tacere le critiche sull’assenza nel testo di qualsivoglia riferimento al fenomeno corruttivo, ma viene esteso il novero dei soggetti attivi, così come auspicato dalla dottrina, punendo, quindi, anche “chi è sottoposto alla direzione o vigilanza” degli organi di vertice.

Infine, è prevista la procedibilità d’ufficio, sempre, però, che dal fatto derivi “una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”.

A riguardo, intorno alla derivazione causale di tale ulteriore evento rilevano tre orientamenti: chi sostiene che esso si leghi causalmente con l’intero fatto, dipendendo dal nocumento della società, chi, invece, sostiene persino che questo sia un mero elemento descrittivo e, infine, chi lo considera legato causalmente alla condotta corruttiva.

Ultima novità è costituita dall’inserimento di tale fattispecie all’interno del D.Lgs. 231/2001, divenendo reato presupposto ai fini dell’applicazione della responsabilità amministrativa degli enti, anche se si prevede la punibilità solo nei confronti della società corruttrice (art. 25-ter, lett. s-bis, D.Lgs. 231/2001 che recita: “per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell’articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote”).

Malgrado i progressi non mancano i rilievi critici anche rispetto alla formulazione vigente: ad es. gli “obblighi di fedeltà”, sebbene potrebbero ricondursi all’art. 2105 cod. civ., peccano comunque di indeterminatezza, come anche la permanente impunità dell’istigazione, nonché, infine, l’attuazione in minima parte di quanto prescritto dalla decisione quadro 2003/568/GAI. Sono queste le ragioni di fondo che giustificano le ulteriori modifiche della fattispecie in esame, sulla base dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla recente legge 170/2016 (che riproducono quasi fedelmente quanto statuito nella decisione quadro), di seguito esaminati.

Essi, infatti, provvedono a rendere punibile la condotta di“chiunque promette, offre o dà, per sé o per altri, anche per interposta persona, denaro o altra utilità non dovuti a un soggetto che svolge funzioni dirigenziali o di controllo o che comunque presta attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati, affinché esso compia o ometto un atto in violazione degli obblighi del proprio ufficio” (art. 19 L. 170/2016 lettera a).

Continuando, si prevede la punibilità di “chiunque, nell’esercizio di funzioni dirigenziali o di controllo ovvero nello svolgimento di un’attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive, presso società o enti privati, sollecita o riceve, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, ovvero ne accetta la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio” (art. 19 L. 170/2016 lettera b).

Fondamentale è l’espressa previsione della punibilità dell’istigazione alle condotte, così come modificate (art. 19 L. 170/2016 lettera c).

Infine, oltre alla fissazione del minimo edittale (sei mesi di reclusione) e l’applicazione di pene accessorie (“interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività nei confronti di colui che esercita funzioni direttive o di controllo presso società o enti privati, ove già condannato per le condotte di cui al capo b) e c)”), si prevede l’aumento anche della sanzione pecuniaria in caso di responsabilità delle persone giuridiche, che dovrà essere non inferiore a duecento quote e non superiore a seicento quote, oltre alle sanzioni amministrative interdittive.

Occorre attendere certamente lo sviluppo di tale importante modifica normativa, sperando che questa volta non finisca nel dimenticatoio.

Nel mentre, ci si accontenta di rilevare le indubbie novità (a partire dal mancato riferimento ai controversi obblighi di fedeltà, come anche della rilevanza della condotta di “sollecito”, della fissazione di un minimo edittale per l’intera fattispecie) e le differenze sostanziali con il precedente tentativo di attuazione.

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