Oneri di sicurezza aziendale: l’Adunanza Plenaria “risolve” i problemi di compatibilità comunitaria
La delicata questione dell’obbligo di indicazione degli “oneri di sicurezza” nelle offerte in sede di gara per gli appalti di lavori, servizi e forniture torna oggetto di una pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
La discussione in merito pareva essersi arrestata con la sentenza del 20 marzo 2015, n.3, laddove l’Adunanza Plenaria aveva chiarito come l’obbligo di indicare i costi della sicurezza nelle procedure d’appalto di servizi e forniture ex art.87, comma 4 del Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n.163/2006) dovesse estendersi agli appalti di lavori e che la sanzione dell’esclusione dalla gara dovesse essere comminata anche laddove l’obbligo di specificazione non fosse stato prescritto dal disciplinare, non essendo tale mancanza sanabile con il potere di soccorso istruttorio della stazione appaltante, altrimenti in tal modo comportando un’inammissibile integrazione postuma di un elemento essenziale dell’offerta.
Senonché, pochi mesi dopo, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato (con ordinanza di rimessione 3/6/2015, n.2707) ha chiesto all’Adunanza Plenaria di chiarire la legittimità (rectius: la doverosità) dell’uso dei poteri di soccorso istruttorio nei casi in cui la fase procedurale di presentazione delle offerte si fosse perfezionata prima della pubblicazione della decisione n.3/2015.
Il Supremo Consesso, con pronuncia n.9 del 2/11/2015, ha ritenuto di non rimeditare l’orientamento espresso, ribadendo, dunque, l’impossibilità di sanare con il soccorso istruttorio l’omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendale, precisando, inoltre, come tale principio si applicasse a tutte le procedure di gara, indipendentemente dal momento temporale di conclusione della fase di presentazione delle offerte.
Questo quadro giurisprudenziale ha posto in notevole difficoltà gli operatori del diritto, Giudici Amministrativi in primis, così aprendo la strada ad una lunghissima serie di rimessioni dei Tribunali Amministrativi Regionali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C.G.U.E.) in merito alla legittimità comunitaria dell’orientamento incardinatosi. Le singole Sezioni del Consiglio di Stato, a loro volta, hanno in diverse occasioni disposto la sospensione del giudizio in attesa della pronuncia del giudice comunitario.
Pur non essendo ancora giunta la decisione della Corte di Giustizia sul punto, il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con pronuncia n.19 del 27 luglio 2016 ha deciso di “mitigare” i precedenti principi di diritto espressi alla luce dei principi comunitari di affidamento, certezza del diritto e parità di trattamento.
La pronuncia in esame trae origine dal giudizio di revocazione della sentenza n.5348/2014 dinanzi la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, ove i ricorrenti hanno denunciato la presenza di un errore di fatto ex art. 395, n. 4) c.p.c. nella parte in cui il giudice di prime cure aveva affermato l’insussistenza del vizio di mancata esclusione di una società concorrente per omessa indicazione nell’offerta economica degli oneri di sicurezza.
Ebbene, la Quinta Sezione ha ritenuto di non condividere la posizione dell’Adunanza Plenaria, allorché l’operatività della sanzione espulsiva -senza la possibilità di ricorrere al soccorso istruttorio- si porrebbe in contrasto con i principi dell’Unione Europea laddove la lex specialis di gara non prevedesse l’obbligo di indicare gli oneri di sicurezza, né una correlata comminatoria di esclusione in caso di inadempimento del detto obbligo.
Alla luce di siffatte incertezze giurisprudenziali, i Giudici dell’Adunanza Plenaria hanno deciso di non operare un’ulteriore rimessione alla Corte di Giustizia, né tanto meno di sospendere il giudizio nell’attesa della decisione del Giudice Europeo, bensì di esaminare nel merito la controversia.
In primo luogo, i Giudici hanno precisato come la questione rimessa al loro vaglio non incida effettivamente sulla portata “in astratto” dei principi di diritto emanati nelle precedenti pronunce sul tema, in quanto, a ben vedere, la causa determinante la rimessione è stata circoscritta all’operatività “in concreto” dell’obbligo di indicazione dei costi aziendali nel particolare caso in cui siffatto onere non sia stato specificato né nella legge di gara né nell’allegato modello di compilazione per la presentazione delle offerte. Tanto purché, dal punto di vista sostanziale, l’offerta rispetti i costi minimi di sicurezza aziendale. Inoltre, la questione posta all’esame del Supremo Consesso involge in generale tutti gli appalti di servizi, lavori e forniture, così ampliando il thema delle precedenti pronunce, vertenti unicamente sugli appalti di lavori.
Dunque, onde poter individuare l’esatta portata precettiva del principio enunciato dalla sentenza n.9 del 2015, l’Adunanza ha preso le mosse dalle argomentazioni elaborate nella recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea, Sesta Sezione, 2 giugno 2016, C-27/15, Pippo Pizzo.
Con tale decisione, il Giudice Europeo ha asserito l’illegittimità dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di gara per il mancato rispetto di un obbligo non espressamente previsto né dal bando di gara né dal diritto nazionale vigente, bensì unicamente da un’interpretazione di tale diritto e del bando di gara, nonché dal meccanismo diretto a colmare (con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali) le lacune presenti nel bando. In tali circostanze, dunque, deve sempre ritenersi consentito per la stazione appaltante l’assegnazione di un termine al concorrente onde poter regolarizzare la propria posizione. Tanto in ragione della necessaria parità di trattamento dei partecipanti alle procedure ad evidenza pubblica e dell’obbligo di trasparenza della stazione appaltante, che verrebbero meno qualora un concorrente potesse essere escluso per non aver ottemperato ad un obbligo non definito in anticipo e non reso pubblico a tutti.
La regola della esclusione automatica del concorrente che non abbia specificato nell’offerta gli oneri di sicurezza, senza consentire il previo esercizio del soccorso istruttorio, risulta, dunque, a parere del Supremo Consesso, “sproporzionata e sostanzialmente iniqua” non soltanto per le procedure di gara la cui la fase di presentazione delle offerte si sia conclusa prima della pubblicazione della sentenza n.3/2015 (posto che al tempo l’interpretazione giurisprudenziale non forniva esiti certi), ma allo stesso modo per le procedure la cui fase di presentazione delle offerte si sia conclusa successivamente, in quanto, come sopranzi esposto, i principi comunitari impongono di ritenere che l’esclusione non sia legittima ove la “causa generatrice” sia individuabile solo tramite interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale.
Alla luce dell’iter motivazionale percorso nella sentenza in commento, può ritenersi che la mitigazione del precedente orientamento operata in tali termini abbia risolto “preventivamente” i dubbi di compatibilità comunitaria avanzati negli ultimi mesi dai T.A.R. ed altresì abbia superato la “causa ostativa” che ha comportato la sospensione di numerosi giudizi dinanzi il Consiglio di Stato.
Per completezza espositiva, si fa presente che il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50) ha espressamente sancito all’art.95, comma 10 l’onere di indicare nelle offerte di gara i “costi aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”. L’Adunanza Plenaria in tal sede, tuttavia, non ha chiarito se il soccorso istruttorio (azionabile, ai sensi dell’art.80 comma 9, con riferimento a “qualsiasi elemento formale della domanda”) risulti o meno esperibile nel caso di assenza formale dell’indicazione degli oneri di sicurezza nelle offerte. Si attendono sul punto nuove pronunce del Giudice Amministrativo.
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