Quando si realizza l’accettazione tacita dell’eredità? Il caso del Tribunale di Roma
La sentenza emessa dalla settima sezione del Tribunale di Roma nel febbraio 2014, oggi al nostro esame, benché non possa considerarsi particolarmente recente e innovativa apporta comunque nuovi elementi, soprattutto per i pratici del diritto, nel terreno insidioso e spesso poco frequentato delle successioni mortis causa e, nello specifico, rispetto agli elementi costitutivi dell’accettazione tacita di eredità ex art. 476 cc.
A tal proposito appaiono opportune alcune considerazioni di carattere giuridico sui riferimenti normativi in questione.
Ai sensi dell’art. 456 cc la morte di una persona fisica viene considerata dal nostro ordinamento come evento giuridicamente rilevante in quanto determina, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto, l’apertura della successione ereditaria. Quest’ultima può essere legittima o testamentaria a seconda che il complesso delle posizioni giuridiche attive e passive di cui il defunto era titolare al momento del decesso, si devolva per legge (sulla base delle quote stabilite espressamente dal legislatore a seconda del numero e della qualità degli eredi legittimi) ovvero per testamento. Contestualmente all’apertura della successione si determina la cosiddetta “delazione” in forza della quale i soggetti designati dalla legge acquistano la qualità di “chiamati” all’eredità ossia essi sono titolari del diritto di accettare quest’ultima. L’accettazione è pertanto atto fondamentale ai fini dell’acquisto della qualità di erede i cui effetti si producono a far data dall’apertura della successione. La rinuncia, al contrario, ex art. 519 ss.cc, è un atto unilaterale non recettizio, che deve essere effettuato con dichiarazione ricevuta da un notaio o da un cancelliere del Tribunale ed alla rinuncia ex art. 521 c.c., si attribuisce efficacia retroattiva con la conseguenza che il soggetto è considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità. Si evidenzi tra l’altro che benché la legge faccia riferimento alla “rinuncia all’eredità” , l’oggetto della stessa è, più tecnicamente, il diritto di accettazione dell’eredità stante il principio generale in materia di successioni del semel heres semper heres tale per cui una volta acquisita la qualità di erede questa non possa più essere abbandonata. Pertanto la dichiarazione di rinuncia all’eredità non può configurarsi come atto di rinuncia propriamente inteso, ma come un semplice rifiuto che non ha come scopo quello di eliminare i beni dal patrimonio del rinunziante, bensì quello di impedirne l’ingresso nell’asse ereditario.
È opportuno precisare che nel periodo che intercorre tra la delazione e l’accettazione/rinuncia il chiamato all’eredità può esercitare degli specifici poteri finalizzati alla conservazione del patrimonio nella logica per cui un bene economico non possa essere lasciato privo di una qualsiasi gestione.
Occorre distinguere anche l’ipotesi in cui il chiamato si trovi nel possesso dei beni ereditari da quella in cui invece tale situazione di fatto non si verifichi.
L’art. 460 cc prevede infatti che il chiamato all’eredità in possesso dei beni ereditari possa compiere azioni possessorie, atti conservativi di vigilanza e di amministrazione temporanea dei beni, da intendersi quali atti finalizzati a garantire l’integrità del patrimonio contro illegittime pretese di terzi, o farsi autorizzare dal giudice alla vendita dei beni qualora questi non si possano conservare o la cui conservazione sia eccessivamente dispendiosa. La norma ha lo scopo di regolamentare la gestione del patrimonio ereditario per il periodo che intercorre tra la morte del de cuius e l’accettazione da parte del successore. Il chiamato all’eredità (anche se sarebbe più opportuno parlare di delato in quanto egli è in grado di accettare concretamente e formalmente l’eredità) è pertanto il titolare di un’aspettativa di diritto consistente nel mantenere inalterata l’integrità del patrimonio accertata nella fase antecedente l’apertura della successione. Può tuttavia anche verificarsi l’ipotesi in cui il chiamato, che non ha ancora accettato l’eredità, non sia nel possesso dei beni ereditari e pertanto il tribunale, su istanza degli interessati o anche d’ufficio, dovrà nominare un curatore dell’eredità cd. Giacente ex art. 528 cc.
Ma l’art. 476 cc disciplina anche l’ipotesi dell’accettazione tacita, da contrapporsi a quella espressa che avviene con apposita dichiarazione in atto pubblico o scrittura privata, che determina la qualifica di erede senza necessità che venga portata a conoscenza di altri interessati. Il chiamato all’eredità pone in essere uno o più atti che presuppongono la sua volontà di accettare l’eredità che, diversamente, egli non avrebbe il diritto di compiere se non quale erede. A tal proposito gli atti da realizzarsi non possono avere natura meramente conservativa poiché in tale ipotesi ricorrerebbe l’ipotesi sopra menzionata dell’amministrazione temporanea ex art. 460 cc.
Costituisce oramai orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo cui l’accettazione tacita dell’eredità può essere desunta dal compimento di atti che vengano posti in essere dal chiamato e che risultino complessivamente incompatibili con la sua volontà di rinunciare o siano da considerarsi concludenti e significativi della volontà di accettare. L’accettazione ex art. 476 cc viene quindi desunta dal comportamento del chiamato all’eredità che si esplichi in atti non di natura meramente fiscale, come potrebbe essere la denuncia di successione che di per sé è inidonea a provare l’avvenuta accettazione tacita, ma anche atti che siano al contempo sia fiscali che civili quale la voltura catastale che assume rilevanza sia da un punto di vista tributario sia civile per quanto attiene all’accertamento della proprietà immobiliare (così Cass. N. 7075/1999, rv 528409). Ma non solo. Si ritiene che il pagamento transattivo di un debito del de cuius effettuato dal chiamato all’eredità configuri accettazione tacita, non potendosi transigere un debito ereditario se non da colui che agisce quale erede. È pertanto necessario, ai fini dell’accertamento della qualità di erede, che il pagamento sia stato fatto con denaro proveniente dall’asse ereditario e non con denaro proprio del chiamato poiché, in quest’ultima ipotesi, non può ritenersi che lo stesso abbia accettato l’eredità (Cass. N. 1634/2014). Si aggiunga inoltre che la riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario, da intendersi quale atto dispositivo e non meramente conservativo, integra l’ipotesi dell’accettazione tacita dell’eredità ex art. 476 cc. (Cass. N. 2743/2014).
Ma tornando al caso al nostro esame il magistrato romano si è trovato ad affrontare una questione piuttosto complessa, ma al tempo stesso piuttosto interessante soprattutto ai fini dell’individuazione di tutti quegli atti che consentano di parlare di accettazione tacita dell’eredità da parte di chi sia nel possesso dei beni ereditari e di conseguenza saranno differenti le considerazioni da effettuarsi in merito alla condizione di colui che, benché coerede, non sia nel possesso di beni ereditari.
L’istituto bancario Alfa ritualmente conveniva in giudizio i figli del de cuius Tizio e Caia e nelle proprie conclusioni chiedeva che venisse accertata e dichiarata, previa apertura della successione del genitore defunto, l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità da parte della sola Caia. Parte attrice affermava che il de cuius avesse acquistato un immobile sito in Roma, che diveniva parte del patrimonio ereditario e di cui la figlia Caia poi si accollava la relativa quota del mutuo gravante sullo stesso. Conseguentemente alla morte del proprietario, la Banca Alfa notificava relativo atto di precetto per rate di mutuo non pagate alla sola Caia poiché la stessa, a parere dell’istituto di credito, appariva quale unica erede in quanto con la sola Caia si erano intrattenuti rapporti economico-finanziari sia per la definizione di un piano di rientro, poi non rispettato, sia il versamento di un acconto da parte della stessa Caia alla Banca a garanzia della buona esecuzione degli accordi sottoscritti. Alla luce dell’inadempimento della debitrice, l’istituto di credito Alfa incardinava una procedura esecutiva immobiliare poi sospesa dal giudice dell’esecuzione in quanto non risultava trascritta la successione del defunto padre in capo al figlio Tizio.
Ritualmente notificato l’atto introduttivo del giudizio entrambe le parti non si costituivano e pertanto venivano dichiarate contumaci. Interveniva nella causa anche il Condominio Beta per ottenere il pagamento da parte di Caia delle rate condominiali maturate e non pagate relative all’immobile de quo che risultava concesso in locazione a terzi e di cui la stessa riscuoteva i relativi canoni.
Sulla base della documentazione prodotta in atti sia dalla Banca Alfa che dal Condominio Beta, il giudice romano accoglieva la domanda attorea ritenendo che Caia avesse “compiuto una serie di atti che presuppongono necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”. Si riportava infatti in sentenza, per una corretta e completa analisi della questione, gli atti da cui il giudicante aveva dedotto l’accettazione tacita dell’eredità che qui si riportano: 1) gestione ed occupazione dell’immobile in oggetto con relativo pagamento delle rate del mutuo successivamente alla morte del padre; 2) locazione dell’appartamento a terzi e riscossione del relativo canone; 3) transazione con la Banca per il piano di rientro poi non rispettato; 4) corresponsione degli oneri condominiali e partecipazione attiva alle assemblee (di cui Caia aveva contestato anche i capitoli di spesa e aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal Condominio Beta per la riscossione di detti oneri). È evidente che secondo il Giudice tali atti posti in essere dalla sig.ra Caia “non possano considerarsi come soli atti gestori di natura meramente conservativa che il chiamato all’eredità è abilitato a compiere anche prima dell’accettazione, espressa o tacita che sia, ai sensi dell’art. 460 c.c..”. Come sopra richiamato infatti gli atti di amministrazione temporanea sono da considerarsi quelli che consentono al chiamato all’eredità di impedire il depauperamento del patrimonio e che pertanto hanno natura conservativa. Nel caso al nostro esame è evidente che la condotta di Caia, che si è manifestata anche nella riscossione dei canoni di locazione e nell’autonoma attività gestoria dell’immobile nonché nella sottoscrizione degli accordi transattivi con la Banca, non possa che indurre a ritenere che la stessa si sia comportata come erede in quanto diversamente non avrebbe certo potuto tenere quei comportamenti.
Aggiunge il giudicante che la contumace nella sua opposizione a decreto ingiuntivo, emesso su richiesta del Condominio, non ha mai negato la propria qualità di erede, a conferma della circostanza che Caia si considerasse tale e che pertanto ella ponesse in essere condotte che da un lato escludevano il fratello Tizio e che dall’altro ne incrementavano il controllo sull’intera eredità, limitandosi a contestare l’importo delle sole spese non dovute.
Secondo il Tribunale di Roma si configura l’accettazione tacita dell’eredità il comportamento dell’erede che, essendo nel possesso dei beni del defunto, compia atti che presuppongano la sua volontà di accettare l’eredità e che non avrebbe il diritto di compiere qualora egli stesso non si considerasse tale. Il Tribunale di Roma si è infatti uniformato ad un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, come sopra riportato, che ha individuato in maniera esemplificativa ma non esaustiva, quali possano considerarsi i comportamenti che implichino un’accettazione tacita dell’eredità ( Cass., civ., 17 novembre 1999, n.12753; Cass. 7 giugno 2005, n. 13738) e alla luce di tali indicazioni ha dedotto che il comportamento di Caia non potesse che essere considerato come accettazione tacita dell’eredità ex art. 476 cc. Infatti la convenuta avrebbe certamente dovuto comportarsi diversamente per sottrarsi alla pretesa creditoria sia della Banca Alfa che del Condominio Beta giacché nell’opposizione a precetto ella avrebbe dovuto agire nella sola rappresentanza dell’eredità e poiché non era succeduta al de cuius , avrebbe potuto evitare il pagamento del debito (Cass. 3 settembre 2007, n. 18537) che invece sarà costretta a corrispondere alla luce del suo comportamento concludente quale erede.
Dalla sentenza in commento si evince chiaramente che l’istituto di credito Alfa legittimamente potrà agire per il pagamento dell’intero nei confronti della sola convenuta pur essendo la stessa coobbligata con il fratello. Infatti negli atti precedenti non solo Caia non ha precisato di essere coobbligata passiva nei limiti della propria quota, ma si è anche comportata come erede inducendo la Banca Alfa a ritenere che la stessa fosse l’unica obbligata nei confronti dell’istituto di credito che non era tenuto a conoscere le intere vicende dell’eredità. Ella rimane pertanto l’unica debitrice (Cass. 24 ottobre 2008, n. 25764; Cass. Civ., 12 luglio 2007, n. 15592) considerato inoltre che il giudice capitolino ha ritenuto non provati quei comportamenti dai quali fosse possibile dedurre che Tizio avesse tacitamente accettato l’eredità tali da renderlo così erede a tutti gli effetti e coobbligato con la sorella Caia.
La decisione in commento evidenzia in conclusione non solo la legittimità della pretesa dell’istituto di credito, ma anche che la convenuta a seguito dell’accettazione tacita dell’eredità è divenuta titolare a tutti gli effetti dell’immobile de quo e che pertanto anche il Condominio potrà agire nei suoi confronti per ottenere il pagamento degli oneri condominiali non corrisposti.
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Elisabetta Natali
Dottore in Giurisprudenza presso l'Università di Macerata nell' A.A. 2012/2013 con la tesi di Laurea in Diritto Civile dal titolo "CESL: un passo verso il codice civile europeo". Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Università di Macerata e si è diplomata nel 2015 con tesi in Diritto Amministrativo dal titolo " Il trattamento giuridico dello straniero irregolare affetto da grave patologia" con votazione 70/70. Ha intrapreso l'attività di pratica forense presso il Foro di Fermo ultimata nel 2015. Ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel settembre 2016. Sta frequentando il "Corso Biennale di formazione tecnica e deontologica dell'avvocato penalista per l'abilitazione alla difesa d'ufficio" per l'anno 2015-2017.
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