Registrare una telefonata. Violazione della privacy o prova nel processo?

Registrare una telefonata. Violazione della privacy o prova nel processo?

Il tema qui oggetto di disamina interessa aspetti giuridici rilevanti sull’utilizzo delle registrazioni telefoniche di conversazioni con un’altra persona e senza che quest’ultima ne sia a conoscenza.

In primo luogo occorre verificare se possono dirsi violate le norme del Codice della privacy, in particolare art. 13, comma 5, lett. b, il quale consente le registrazioni occulte di conversazioni a presenti, al fine di ”far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”. Si addiviene alle stesse conclusioni in caso di colloquio telefonico, o nell’ipotesi di memorizzazione di contenuti di una videochiamata su Skype, benché la persona che venga registrata non sia stata informata  della registrazione.

Invero, come sostenuto da una giurisprudenza di merito, “non è configurabile l’ipotesi di reato di cui all’art. 615 bis c.p. qualora venga registrata una conversazione da parte di un partecipante alla stessa e, la registrazione può essere utilizzata in un processo civile. In ogni caso, ai sensi dell’art 24 codice della privacy, il consenso al trattamento dei dati personali non è richiesto qualora debba farsi valere un diritto in sede giudiziaria, sempreché i suddetti dati siano trattati per tali finalità e per i periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale o industriale; quando siano in gioco dati ordinari, il diritto alla privacy deve soggiacere rispetto al diritto alla difesa”. (Trib. Torino, 02/05/2013).

A ben vedere, il diritto alla privacy trova piena esplicazione nelle norme costituzionali che tutelano i diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.) e nell’art 15 Cost., che garantisce la libertà e la segretezza delle comunicazioni, come diritti inerenti la sfera privata del soggetto e, quindi alla sua personalità. Per siffatto motivo, la limitazione di tali diritti, può avvenire per atto motivato dell’autorità giudiziaria (art. 267 c.p.p.) con modalità e garanzie restrittivamente indicate dalla legge.

Sull’argomento, le Sezioni Unite della Cassazione hanno sottolineato come difetti “la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso solo da chi palesemente vi partecipi o assista e la terzietà del captante”, nel caso di conversazioni registrate tra presenti (Cass., SS.UU., n. 36747/2003).

Occorre precisare come, per la tutela di cui all’art. 15 Cost. sia sufficiente “un livello minimo di garanzia” costituito dalla previsione del provvedimento emesso dal pubblico ministero, in materia di intercettazioni telefoniche. Così si è espressa la Corte Costituzionale in due importanti pronunce (Corte Cost. n. 81/1993 e n. 281/1998).

Successivamente, la prevalente giurisprudenza di legittimità, ha stabilito che, deve ritenersi sussistente “un minor grado di intrusione nella sfera privata”, nelle registrazioni eseguite da persona che partecipi o comunque assista alla conversazione de qua (cfr. sentenze n. 23742/2010, n. 42939/2012, n. 7035/2014).

A tal fine, occorre precisare che, nel rigoroso bilanciamento di interessi tra diritto alla segretezza e libertà di comunicazione (connaturati ai diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost.) e interesse alla prevenzione e repressione dei reati (anch’essi di rango costituzionale), la legge dispone precisi limiti di utilizzo dell’intercettazione telefonica quale strumento investigativo e d’indagine finalizzato all’interesse primario della giustizia.

Ma cosa è l’intercettazione telefonica? Quali differenze ci sono con la semplice captazione registrata di un colloquio tra presenti alla stessa?

L’intercettazione telefonica è un’attività che permette di captare e carpire comunicazioni e conversazioni a mezzo telefono o scambio dati prodotti in forma telematica o informatica.

Con una sentenza autorevole della Corte Costituzionale n. 34/1973, sono stati delineati i contorni ben marcati di tale istituto. Essa può essere consentita solo con provvedimento motivato del magistrato, il quale deve altresì stabilire l’effettiva esigenza di repressione dell’illecito penale, la durata ed eventuale proroga della misura.

Diverse considerazioni vanno fatte invece sulle registrazioni su supporti telefonici o informatici. Come affermato da una recentissima giurisprudenza, le registrazioni di comunicazioni intercorse tra presenti, eseguite da parte di persona coinvolta nella conversazione, “non necessitano di autorizzazione del giudice per le indagini preliminari ex art. 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione che non è sottoposta alle limitazioni e formalità proprie delle intercettazioni”. (Cass. n. 24288/2016).

Quindi, a parere della Suprema Corte, la registrazione di conversazioni tra presenti o avvenuta per telefono, non rappresenta illecito penale, ma può perfino essere utilizzata come prova documentale nel processo civile o penale.

A sostegno della sopraesposta tesi, diverse pronunce della Cassazione delle corti di merito ( cfr. Cass. n. 27424/14; Cass. n. 428772015; Cass. n. 24288/16; C. App. Catanzaro n. 849/2008).

A tal riguardo, occorre ribadire quanto affermato dalle Sezioni Unite, sull’argomento: “l’acquisizione al processo delle registrazioni di un colloquio, può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all’art. 234, comma 1, c.p.p., che qualifica come documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, fonografia, cinematografia o qualsiasi altro mezzo; siffatta documentazione fonografica può rappresentare una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale” (Cass. SS.UU., n. 36747/2003).

Lo stesso principio è stato riaffermato da una recente pronunzia della Cassazione: “le registrazioni audio di dialoghi poste in essere da persona partecipante alla discussione possono essere utilizzate a fini processuali sebbene catturate di nascosto (Cass. n. 29320/2012).

In ultimo, può certamente affermarsi la liceità delle registrazioni de qua, poiché chi dialoga “accetta il rischio” di essere registrato (Cass. n. 18908/2001).

E’ bene adesso delineare i limiti che la legge prevede per l’effettuazione di registrazioni di conversazioni tra presenti.

Innanzitutto, prevale l’interesse alla privacy, quando i files dove è contenuta la registrazione, vengano diffusi a terzi.

La pubblicazione o divulgazione (tramite social network o Watsapp) rappresenta violazione del Codice della privacy, qualora sia stata fatta per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui.

Quindi, per non incorrere nel reato di cui all’art. 167 del D.lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice della privacy), che disciplina il trattamento illecito di dati personali, è bene non diffondere contenuti registrati di conversazioni, senza il consenso dell’interlocutore, tranne l’ipotesi in cui ciò serva per la difesa di diritti dinanzi l’autorità giudiziaria o amministrativa.

In secondo luogo, non è lecito registrare un colloquio quando la persona che effettua questa operazione sia assente, lasciando il dispositivo audio acceso e, captando quindi, le conversazioni alle quali non era presente.

Quest’ipotesi può ritenersi lecita, solo seguendo tutti gli obblighi procedimentali prescritti per l’intercettazione in senso tecnico.

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