Responsabilità precontrattuale: secondo la Cassazione ha natura contrattuale
Cass., I sez. civ., 14.7.2016 n. 14188, Pres. Salvato – Rel. Valitutti
Nei contratti conclusi con la pubblica amministrazione, il dispiegamento degli effetti vincolanti per le parti, al di là della formale stipula di un accordo negoziale, è subordinata all’approvazione ministeriale ai sensi dell’art. 19 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, da effettuarsi con un provvedimento espresso adottato dall’organo competente nella forma solenne prescritta dalla legge, la cui esistenza non può desumersi implicitamente dalla condotta tenuta dall’amministrazione, sicché, ai fini del perfezionamento effettivo del vincolo contrattuale, pur se formalmente esistente, non è sufficiente la mera aggiudicazione pronunciata in favore del contraente, come pure la formale stipula del contratto ad evidenza pubblica nelle forme prescritte dalla legge (artt. 16 e 17 del decreto cit.); l’eventuale responsabilità dell’amministrazione, in pendenza dell’approvazione ministeriale, deve essere, di conseguenza, configurata come responsabilità precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e 1338 cod. civ., inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 cod. civ. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 cod. civ., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 cod. civ.
Il fatto.
La questione sottoposta alla Corte di Cassazione riguardava la richiesta di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata approvazione, ex art. 19 R.D. 18.11.1923 n. 2440, di un contratto stipulato – in data 1.2.1993 – tra la Società ricorrente e la Pubblica Amministrazione.
Il giudice di prime cure rigettava la domanda proposta in quanto prescritta ai sensi dell’art. 2947 c.c.; esito confermato anche in secondo grado in quanto la Corte d’Appello di Roma aderiva alla tesi della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, dichiarando così prescritto il diritto al risarcimento dei ricorrenti.
La Società ricorrente proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che l’approvazione di un contratto stipulato con un’amministrazione pubblica sia una conditio iuris sospensiva dell’efficacia del contratto già concluso derivando da ciò la natura contrattuale della responsabilità dell’amministrazione, con applicazione del termine prescrizionale previsto all’art. 2946 c.c., pari a dieci anni. Inoltre, secondo i ricorrenti, tra privato e pubblica amministrazione si instaura un contatto sociale qualificato, dal quale derivano specifici obblighi di protezione della seconda in favore del primo.
La decisione.
La Corte di Cassazione accoglie tale motivo di doglianza, affermando che la responsabilità precontrattuale ha natura contrattuale, da contatto sociale qualificato che si instaura tra il cittadino e la pubblica amministrazione.
Prima di analizzare la pronuncia della Suprema Corte occorre evidenziare che la responsabilità precontrattuale è la responsabilità derivante dalla lesione dell’altrui libertà negoziale, mediante un comportamento doloso o colposo ovvero mediante l’inosservanza della regola della buona fede (da intendersi come buona fede oggettiva e, dunque, come canone di correttezza cui devono attenersi le parti durante la fase delle trattative).
Tre sono le fattispecie che rientrano in essa: ingiustificato recesso dalle trattative (derivante dalla violazione della buona fede nella fase delle trattative e di formazione del contratto, art. 1337 c.c.), conclusione di un contratto invalido o inefficace (a seguito della mancata comunicazione delle cause di invalidità conosciute o conoscibili da parte di un contraente, art. 1338 c.c.) e conclusione di un contratto valido ma sconveniente (trattasi di elaborazione della giurisprudenza che, partendo dal dolo incidente ex art. 1440 c.c., ha aderito alla cd. teoria dei vizi incompleti, ossia quei vizi che – pur difettando delle caratteristiche per la richiesta di annullamento o rescissione de contratto – sono sufficienti per la richiesta di risarcimento).
Controversa è, da sempre, la sua natura giuridica.
L’orientamento tradizionale ha sostenuto la natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, asserendo che la violazione della regola di buona fede durante la fase delle trattative rappresenta un fatto illecito rientrante nel novero dell’art. 2043 c.c., in quanto tale meritevole di risarcimento.
Si sostiene, invero, che la regola della buona fede costituisce un dovere generico della vita di relazione, imponendosi a tutti i consociati, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto obbligatorio tra di essi.
Altro orientamento (cui aderisce, con uno storico revirement, la sentenza ivi in commento) sostiene che la responsabilità precontrattuale abbia natura contrattuale.
Specificamente, si sostiene che tra le parti, con il sorgere delle trattative, si instauri un contatto sociale, dal quale discende l’obbligo di improntare il proprio comportamento a buona fede nonché obblighi specifici di protezione (cd. obbligo di protezione senza prestazione).
L’adesione all’una o all’altra impostazione ha notevoli implicazioni.
Difatti, l’accoglimento della teoria della natura aquiliana comporta l’applicazione del termine di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. e la distribuzione dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. (“chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”).
Inoltre, la quantificazione del danno contemplerà sia i danni prevedibili che i danni non prevedibili; la mora sarà automatica (cd. mora ex re) e sarà rilevante la capacità di intendere e di volere in quanto, ai sensi dell’art. 2046 c.c., l’incapacità naturale esonera da responsabilità.
Al contrario, laddove si aderisse alla teoria della natura contrattuale, il termine di prescrizione sarà quello decennale previsto all’art. 2946 c.c.; l’onere della prova sarà invertito in quanto chi agisce dovrà solo provare l’esistenza di un rapporto contrattuale ed allegare l’inadempimento, spettando alla controparte la prova dell’impossibilità sopravvenuta per cause ad essa non imputabili (art. 1218 c.c.).
Aggiungasi che ex art. 1225 c.c. i danni risarcibili sono solo quelli prevedibili, salvi i casi di inadempimento doloso; la mora non sarà automatica ma occorrerà la costituzione del debitore (mediante intimazione o richiesta per iscritto, ai sensi dell’art. 1219 c.c.) e, infine, l’incapacità naturale non esclude la responsabilità.
Tanto premesso, la sentenza della Corte di Cassazione, qui riportata, sottolinea come l’elaborazione giurisprudenziale abbia allargato le maglie della responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato.
Infatti, nota è la sua applicazione nell’ambito della responsabilità professionale dei sanitari nell’ambito della quale il Supremo Consesso di Legittimità, a più riprese, ha sostenuto la natura contrattuale della responsabilità del medico, operante in una struttra sanitaria, in ragione del rapporto che si instaura con il paziente sin dalla sua presa in carico.
Da tale rapporto qualificato discendono specifici obblighi informativi e di protezione del sanitario nei confronti del paziente (la responsabilità della struttura sanitaria è contrattuale, fondata sul cd. contratto di spedalità, un contratto atipico con il quale l’ente offre prestazioni sanitarie ed alberghiere al paziente, una volta accolto).
Inoltre, tale assetto è stato esteso anche alla responsabilità dell’insegnante per il danno autocagionato dall’alunno, in ragione del contratto sociale che si instaura tra le parti con il docente che assume l’obbligo di istruire, educare, proteggere e vigilare gli allievi (la responsabilità dell’istituto scolastico è di tipo contrattuale, fondata sull’accoglimento dell’alunno).
Ancora, la prima sezione della Cassazione richiama le Sezioni Unite n. 14712/2007 che sanciscono la natura contrattuale della responsabilità della banca che ha ceduto un assegno munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo: la banca, infatti, “assume un obbligo professionale di protezione, operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso”.
Infine, altra ipotesi di responsabilità da contatto sociale è quella derivante dalla violazione degli obblighi procedimentali della Pubblica Amministrazione.
Sia la Corte di Cassazione che il Consiglio di Stato, infatti, hanno sottolineato che la violazione delle regole procedimentali ha carattere autonomo rispetto al pregiudizio derivante dal mancato riconoscimento o dalla perdita del bene della vita al quale un privato aspira.
Si ricava che il diritto al risarcimento del cittadino presenta “una fisionomia sui generis, non riconducibile al mero modello aquiliano ex art. 2043 cod. civ., essendo connotata dal rilievo di alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, con conseguente applicabilità delle norme in materia di responsabilità contrattuale, concernenti la prescrizione del diritto, l’onere della prova e l’area del danno risarcibile”.
Fatta questa disamina, la Corte di Cassazione mette in luce che la responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato muove dalla considerazione di situazioni in cui, dal rapporto instauratosi tra le parti e il conseguente affidamento circa il rispetto dei canoni di lealtà, correttezza e buona fede che ne deriva, nascono obblighi di protezione, diversi ed ulteriori rispetto all’obbligo di prestazione derivanti.
La clausola generale della buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., oltre che a trovare il suo fondamento nel più generale dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost, assume rilevanza quando la sua violazione incide sulla condotta sostanziale che le parti si sono impegnate a tenere per preservare il reciproco interesse all’esatto adempimento delle rispettive prestazioni e producendo effetti negativi sull’intesa negoziale.
Tale impostazione – sostiene la Cassazione – si ravvisa nel riconoscimento dell’ammissibilità del contratto preliminare di preliminare (Sezioni Unite n. 4628/2015) in relazione alle cd. puntazioni vincolanti la cui violazione, in una fase successiva della contrattazione, dà luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione sorta nella fase di formazione del contratto, riconducibile alla categoria di cui all’art. 1173 c.c. “ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità all’ordinamento giuridico”.
In tal senso, si è espressa anche la giurisprudenza comunitaria secondo la quale appartiene alla materia contrattuale ogni relazione giuridicamente rilevante tra le due parti, pure in assenza di un formale atto negoziale.
Pertanto, alla luce di tali considerazioni, secondo la Cassazione, la responsabilità precontrattuale ha natura contrattuale posto che la culpa in contrahendo è colpa solo nominalmente rappresentando, ormai, “la violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti. Ne discende che la responsabilità per il danno cagionato da una parte all’altra, in quanto ha la sua derivazione nella violazione di specifici obblighi (buona fede, protezione, informazione) precedenti quelli che deriveranno dal contratto, se ed allorquando verrà concluso, e non del generico dovere del neminem laedere, non può che essere qualificata come responsabilità contrattuale”.
Sorge, infatti, tra le parti una relazione qualificata che porta un contraente ad affidare i propri beni della vita alla correttezza, all’influenza ed alla professionalità di un’altra persona: trattasi, dunque, di un vero e proprio contatto sociale pregnante che genera responsabilità in ragione del reciproco affidamento delle parti e della contestuale nascita di obblighi specifici di lealtà, buona fede, protezione ed informazione.
La nascita di questi obblighi è il discrimen con la responsabilità aquiliana (o extracontrattuale), la quale è caratterizzata dal generico dovere di alterum non laedere e, quindi, dalla sussistenza del solo diritto all’integrità della propria sfera giuridica.
“Il significativo ampliamento dell’area di applicazione della responsabilità precontrattuale che ne è derivato è certamente frutto di un’evoluzione del modo di intendere la responsabilità civile che dottrina e giurisprudenza hanno operato, nella prospettiva di assicurare a coloro che instaurano con altri soggetti relazioni significative e rilevanti, poiché involgenti i loro beni ed interessi – sempre più numerose e diffuse nell’evolversi della società, dei bisogni e delle esigenze dei cittadini – una tutela più incisiva ed efficace rispetto a quella garantita dalla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ.”.
Con riguardo al caso di specie sottoposto alla sua attenzione, la Corte di Cassazione ha sottolineato che l’erronea scelta del contraente di un contratto di appalto, divenuto inefficace e tamquam non esset a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, espone l’amministrazione al risarcimento del danno subito dall’aggiudicatario.
E’ una responsabilità che non può qualificarsi né aquiliana né contrattuale in senso proprio ma consegue al “contatto sociale qualificato tra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto ed ha origine nella violazione del dovere di buona fede e correttezza, per avere l’amministrazione indetto la gara e dato esecuzione ad un’aggiudicazione apparentemente legittima, in tal modo provocando la lesione dell’interesse del privato, assimilabile a un diritto soggettivo avente ad oggetto l’affidamento incolpevole nella regolarità e legittimità dell’aggiudicazione”.
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