Se il prete sbaglia la scelta del regime patrimoniale, deve intervenire il giudice

Se il prete sbaglia la scelta del regime patrimoniale, deve intervenire il giudice

a cura di Giuseppe Di Micco

E’ quanto accaduto ad una coppia veneta, che dopo aver manifestato in buona fede in diversi atti notarili di compravendita stipulati dopo il matrimonio di essere in separazione di beni, ha scoperto che in realtà non era affatto così e che per lo Stato il suo regime patrimoniale era quello della comunione, a causa di un errore del sacerdote nell’atto di matrimonio, che non aveva indicato la scelta da parte dei nubendi di volersi avvalere del regime di separazione.

Ai sensi dell’art. 8 del vigente Concordato, è previsto che subito dopo la celebrazione, il celebrante dia agli sposi lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e doveri dei coniugi (artt.143,144 e 147 c.c.), e rediga in doppio originale l’atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile. Infatti, la redazione in doppio originale dell’atto di matrimonio, serve a far sì che una copia dell’atto venga inviata all’ufficiale dello stato civile affinché proceda alla trascrizione, di modo che la celebrazione del matrimonio religioso acquisisca anche effetti civili. Nell’atto di matrimonio, dunque, gli sposi possono indicare il regime patrimoniale di separazione, in quanto atto pubblico

Quando si è in prossimità del matrimonio arriva il momento di scegliere il regime patrimoniale che caratterizzerà il vincolo coniugale, occorre far capire bene al parroco celebrante quali sono le proprie intenzioni.

Il sacerdote che aveva sposato i due coniugi, infatti, aveva dimenticato di annotare la scelta del regime di separazione e nel frattempo era anche deceduto.

Così i due sposi si sono trovati costretti a rivolgersi dapprima alla Curia diocesana per capire cosa fare e, fortunatamente, si sono visti riconosciuta la possibilità di correggere la svista del parroco. Ma solo per l’atto conservato in Chiesa.

Per quelli del Comune, invece, la situazione si è complicata un po’, visto che l’ufficiale dello Stato civile non ha creduto che la mancata opzione per la separazione dei beni fosse frutto di un errore materiale. E’ stato, quindi, necessario l’intervento del Tribunale.

Il tribunale di Belluno si è pronunciato con decreto immediatamente efficace ed ha ordinato all’ufficiale dello stato civile la trascrizione dell’opzione che i coniugi avevano in realtà prescelto, confermata dalle dichiarazioni dei testimoni di nozze.

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Giuseppe Di Micco

Laureato in Giurisprudenza con votazione di 110 e lode, tesi in diritto canonico, relatore prof. Mario Tedeschi. Ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, mediante una diretta attività di partecipazione alle udienze in tribunale, nonché nello studio dei casi pratici per la redazione di atti giudiziari e pareri. Praticante abilitato, collabora presso studi legali in materia di diritto civile e diritto del lavoro. Dottore di ricerca in diritto canonico ed ecclesiastico presso l’Università degli Studi di Milano, ha approfondito come tema di ricerca il problema della consumazione del matrimonio nei diritti religiosi (diritto ebraico, canonico, ed islamico). Collaboratore alle cattedre di diritto ecclesiastico, diritto canonico, diritti confessionali e storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli. Collabora attivamente anche presso le strutture ecclesiali, in particolare negli ambiti liturgici e della formazione giovanile.

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