SOCIETA’ IN HOUSE: la Corte di Giustizia si pronuncerà sul concetto di “attività prevalente”
Cons. di Stato, Sez. V, Ord., 20 ottobre 2015, n. 4793
a cura della redazione di Salvis Juribus
Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 1746/2015, al fine di risolvere una controversia in materia di affidamento in house, ha ritenuto obbligatorio un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE.
L’istituto delle società in house, la cui ratio può rinvenirsi nel principio di auto-organizzazione amministrativa, non risulta essere stato disciplinato in maniera certa dal legislatore nazionale [1] ed europeo, se non nella definizione dei requisiti essenziali quali il c.d. controllo analogo, la destinazione prevalente e la totale partecipazione pubblica, circoscritti per la prima volta dalla ormai nota sentenza Teckal [2].
Proprio il requisito dell’attività prevalente, oggetto di attenzione ed interpretazione dei giudici di Palazzo Spada nella suddetta ordinanza, può essere chiarito secondo quanto previsto dalla sentenza Caboterno [3], con la quale i giudici della Corte di Giustizia ebbero modo di precisare che si potesse parlare di attività prevalente quando una impresa svolga la parte più importante della sua attività con l’ente locale che la detiene e sia principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo carattere marginale.
Come è noto, la materia è oggetto di attenzione della c.d. Direttiva Appalti 2014, in modo particolare all’articolo 12 grazie al quale il legislatore comunitario intende ampliare il campo applicativo dell’ in house attraverso una rivalutazione dei requisiti di cui sopra, cristallizzati ormai in numerose decisioni giurisprudenziali nazionali [4] e sovra nazionali, idonei alla legittimazione dell’affidamento diretto del servizio previsto per queste attività.
Le società in house negli enti locali e nella sanità. Dal quadro normativo al caso pratico
Alla luce della suddetta [5], i giudici del Supremo Collegio amministrativo, al fine di ricevere una definizione qualitativa e quantitativa del requisito dell’attività prevalente, necessaria ai fine della risoluzione del giudizio pervenuto alla loro attenzione, hanno ritenuto sussistente l’obbligo di sospendere lo stesso giudizio ed adire in via pregiudiziale la Corte di Giustizia al fine di definire se, nel definire l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, sia necessario un riferimento all’attività imposta da un’amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci ed agli affidamenti effettuati nei confronti dei soci prima che risulti effettivo il requisito del controllo analogo, così come definito dalla sovracitata sentenza Teckal.
[1] Si ricorda come il diritto nazionale non contenga una norma che disciplini in modo preciso i requisiti dell’in house, ma che tale istituto sia stato oggetto di attenzione del legislatore nei numerosi interventi normativi che si sono susseguiti negli ultimi anni volti alla definizione della modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici.
[2] Sentenza Teckal, 18 novembre 1999, in C- 107/98
[3] Sentenza Carbotermo, 11 maggio 2006, in C- 304/04
[4] Si ricorda ad esempio, Consiglio di Stato, 30 agosto 2006, n° 5972, in Finanza locale 2007,2, 112; Consiglio di Stato, 8 gennaio 2007 n. 5, in Giur. It, 2007, 7, 1798; Consiglio di Stato, 3 aprile 2007 n. 1514, in Riv. Corte dei Conti, 2008,1,188
[5] Trattandosi di una direttiva non self-executing e non essendo ancora scaduto il termine per il recepimento, la stessa non può essere applicata rationae temporis alla fattispecie in esame.
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