Sospensione del procedimento con messa alla prova: per le Sezioni Unite rileva la pena edittale prevista per la fattispecie base

Sospensione del procedimento con messa alla prova: per le Sezioni Unite rileva la pena edittale prevista per la fattispecie base

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 36272, ud. 31.3.2016, dep. 1.9.2016 – Est. G. Fidelbo – Pres. G. Canzio

Ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell’art. 168-bis cod. pen. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato“.

Con la sentenza in epigrafe, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione compongono il contrasto giurisprudenziale relativo alla rilevanza o meno delle circostanze aggravanti cd. ad efficacia speciale (che, cioè, comportano l’applicazione di una pena di specie diversa rispetto a quella prevista per il reato base) e delle circostanze aggravanti cd. ad effetto speciale (che comportano un aumento di pena superiore ad un terzo) ai fini dell’applicabilità della disciplina della sospensione con messa alla prova.

Tale istituto, introdotto dalla L. 67/2014 e disciplinato dagli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater cod. pen., rappresenta una causa di estinzione del reato posto che il co. 2 dell’art. 168 statuisce che “l’esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede” e si applica ai reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni “sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria” ovvero per i delitti previsti all’art. 550 cod. proc. pen.

La nuova causa estintiva del reato si ispira a quella prevista nel giudizio minorile “sospensione del processo e messa alla prova“, contemplata all’art. 28 D.P.R. 448/1988 anche se per quest’ultima non sono previsti limiti edittali per la sua applicazione poichè il giudice potrà avvalersene “quando ritiene di dover valutare la personalità del minore“. Inoltre, la sospensione di cui agli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater cod. pen. può essere concessa solo una volta e non può essere applicata ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza; limiti che, invece, non sono previsti nella messa alla prova minorile.

Ulteriore differenza è data dalla necessità del consenso dell’imputato, non richiesto dall’art. 28 D.P.R. 448/1988, il quale dovrà essere prestato anche laddove l’autorità giudicante decida di modificare le prescrizioni del trattamento previamente concesso.

La ratio di tale istituto è quella di deflazionare il carico di processi pendenti presso i tribunali e di circoscrivere la sanzione penale della detenzione ai casi maggiormente gravi, nel pieno recupero sia del principio della sanzione penale quale extrema ratio cui l’ordinamento deve attingere per punire comportamenti antigiuridici sia della finalità rieducativa della pena, come prevista dall’art. 27 co. 3 Cost.

Una volta autorizzata dal giudice, la messa alla prova comporta, in primis, la prestazione di condotte volte ad elidere le conseguenze dannose o pericolose della propria condotta delittuosa nonchè il risarcimento del danno se possibile; inoltre, l’imputato deve essere affidato a servizio sociale per lo svolgimento di attività di volontariato di rilievo sociale e dovrà svolgere un lavoro di pubblica utilità, per un periodo di almeno 10 giorni, non retribuito ed adeguato alle attitudini lavorative ed alle capacità dell’imputato.

Ciò premesso, una delle questioni maggiormente dibattute ha riguardato la determinabilità del limite edittale fissato dall’art. 168 bis cod. pen. ed, in particolare, la rilevanza delle circostanze aggravanti ad effetto speciale e ad efficacia speciale.

Sul punto, si registrano due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Secondo un primo orientamento (ex multis, Cass. Pen., VI, 30.6.2015 n. 36687), quando si procede per reati differenti da quelli contemplati nell’art. 550 co. 2 cod. proc. pen., il limite edittale si determina tenendo conto delle aggravanti per cui la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria e delle aggravanti che comportano un aumento di pena superiore ad un terzo.

Tale orientamento fa leva sulle disposizioni previste in materia di competenza (art. 4 cod. proc. pen.), sulla determinazione della pena agli effetti delle misure cautelari (art. 278 cod. proc. pen.), dell’arresto in flagranza (art. 379 cod. proc. pen.), sull’individuazione dei casi di citazione diretta a giudizio (art. 550 co. 1 cod. proc. pen.), sulle norme previste dal codice penale per la determinazione della prescrizione (art. 157 co. 2 cod. pen.) e sull’applicazione dell’art. 131 bis, dove il legislatore ha sempre preso in considerazione le circostanze previste dall’art. 63 co. 3 cod. pen. per determinare la pena.

A tale argomento, inoltre, si aggiunge che il richiamo all’art. 550 co. 2 cod. proc. pen. paleserebbe la voluntas legis di tenere conto della regola del comma 1 del medesimo articolo il quale fa espresso rinvio all’art. 4 cod. proc. pen. ove si stabilisce che ai fini edittali si considerano le aggravanti speciali e ad effetto speciale.

Il contrapposto indirizzo interpretativo, invece, ritiene che l’art. 168 bis cod. pen. si riferisce esclusivamente alla pena massima prevista per la fattispecie base, indipendentemente dalla incidenza o meno delle aggravanti.

Difatti, si afferma che la disciplina della messa alla prova non opera alcun riferimento alla rilevanza delle aggravanti per l’individuazione dei reati che possono essere annoverati per la sua applicazione.

Inoltre, si evidenzia che le norme relative alla determinazione della competenza nonchè per la determinazione della pena agli effetti delle misure cautelari sono norme speciali che, dunque, non possono essere applicate estensivamente.

Chiamate a dirimere il contrasto, le Sezioni Unite aderiscono a questo secondo orientamento.

Invero, il Supremo Consesso di Legittimità afferma che “i criteri per la selezione dei reati attraverso il riferimento alla quantità della pena sono influenzati dagli istituti a cui si riferiscono e sono utilizzati, di volta in volta, in base a valutazioni discrezionali del legislatore. Anche a voler ammettere che la maggior parte delle disposizioni del codice tengano conto, per la determinazione della pena ai più diversi fini, delle circostanze aggravanti per le quali è stabilita una pena di specie diversa e di quelle ad effetto speciale, non per questo deve ritenersi che da esse emerga una regola generale e, soprattutto, che tale regola non sia derogabile dal legislatore. in realtà, si tratta semplicemente di una “linea di tendenza” che non assurge a criterio generale“. A riprova di ciò, si evidenzia come la medesima L. 67/2014 contempla sia disposizioni che richiamano espressamente l’art. 278 cod. proc. pen. sia disposizioni in cui non si fa alcuna menzione delle circostanze aggravanti.

Pertanto, il richiamo all’art. 550 co. 2 cod. proc. pen. non comporti un’automatica estensione anche al comma 1 dello stesso articolo ed all’art. 4 del codice di rito in quanto con questo circoscritto rinvio il legislatore ha voluto estende lo spettro applicativo della messa alla prova a selezionate figure criminose.

Trattasi di una scelta maturata durante i lavori parlamentari che hanno avuto quale obiettivo quello di allargare la portata applicativa di tale istituto caratterizzato da finalità deflattive e di recupero del soggetto indagato.

Ancora, le Sezioni Unite sottolineano che anche l’intentio del legislatore è quella di escludere dal computo del limite edittale le circostanze aggravanti.

Infatti, il disegno di legge originario prevedeva espressamente la rilevanza delle circostanze aggravanti ad efficacia speciale e delle circostanze aggravanti ad effetto speciale; la successiva elisione dal testo definitivo conferma che il legislatore ne ha escluso l’incidenza ai fini dell’irrogazione della messa alla prova.

Inoltre, le Sezioni Unite evidenziano che anticipare la valutazione circa la gravità del reato, l’entità del danno o del pericolo cagionato al momento del giudizio di ammissibilità della misura di cui all’art. 168 bis cod. pen. significa ridurre il suo spazio applicativo, irrigidendone gli scopi specialpreventivi.

Dunque, non assumono “alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato” ai fini della determinazione dei reati cui è applicabile l’istituto della sospensione con messa alla prova.

In conclusione, le Sezioni Unite richiamano quanto già disposto da alla sentenza del medesimo Collegio (Cass. Pen., Sez. Un., 31.3.2016, n. 33216) affermando che “le ordinanze di rigetto della richiesta di messa alla prova, comprese quelle emesse dal giudice dell’udienza preliminare, non sono autonomamente impugnabili per cassazione, ma sono appellabili unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen.

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