“Sta zitto o ti squarcio”: quando lo scherzo diventa reato
Il contesto ed il tono in cui una frase è pronunciata possono fare la differenza tra una condanna ed un’assoluzione.
Lo sa bene un insegnante di scuola media, il quale, infastidito dalle continue interruzioni di uno studente, gli rivolgeva le parole: “Sta zitto o ti squarcio”. Da qui parte la vicenda processuale, tesa a scovare la natura del contesto, minaccioso o scherzoso, in cui sono state emesse le infelici parole.
I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, hanno avvalorato la tesi dell’alunno: si trattava di una vera e propria minaccia.
A sostegno di questa impostazione ruota infatti la ricostruzione storica della vicenda. L’insegnante, infastidito dalle continue interruzioni dello studente, gli aveva rivolto la famosa frase; il ragazzo gli rispondeva: “Se ha il coltello lo faccia”, al che il primo estraeva l’arma e la mostrava al ragazzo.
Ad ulteriore sostegno si pongono da un lato la testimonianza del giovane, il quale, spaventato dalla minaccia di morte, si era recato immediatamente dalla Preside; dall’altro sono le stesse parole della dirigente scolastica, la quale descriveva l’insegnante come particolarmente “seccato” dal comportamento dello studente.
A nulla vale la versione fornita dal professore: da un lato la frase non “ti squarcio”, ma “ti sguincio”; dall’altro la non contemporaneità tra il dialogo e l’estrazione del coltello, quest’ultima intervenuta in un momento successivo; infine, le risate dell’intera classe al termine dello scambio di battute.
I giudici di merito non ritengono provato il contesto ludico e scherzoso, ritenendo l’uomo colpevole del reato di minaccia di morte, ex art. 612 c.p.
Il legale rappresentante di quest’ultimo ricorreva infine in Cassazione, dolendosi della carenza ed illogicità della decisione di secondo grado.
La Suprema Corte, con sentenza n. 35018, depositata il 18/08/2016, dichiara inammissibile il ricorso e ritiene esente da vizi l’iter logico e motivazionale seguito dai giudici di merito.
Il clima ludico e scherzoso nel quale si è svolto lo scambio di battute infatti non risulta provato, contrastando le dichiarazioni dell’insegnante sia con quelle dell’alunno che della Preside.
In virtù di ciò, non può che essere confermata la condanna per minaccia comminata dai giudici di primo e secondo grado.
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Serena Coscione
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