Usura in conto corrente: debenza degli interessi e buona fede
Corte di Cassazione – sezione prima, 22 giugno 2016, n. 12965
I giudici di piazza Cavour analizzano la legittimità delle clausole di salvaguardia nei contratti bancari, in relazione all’usurarietà dei saggi di interesse, rilevandone la nullità perché elusive del divieto di cui all’art. 1815 co. II c.c. allorquando le medesime si manifestino come astratta affermazione del diritto alla restituzione in capo al correntista.
Sommario. 1. Introduzione. – 2. La sinossi fattuale e processuale. – 3. La motivazione della Corte di Cassazione. – 4. L’origine dell’iter motivazionale. – 5. Considerazioni finali.
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Introduzione.
La dinamicità e l’eterogeneità della realtà sociale continua a rendere fondamentale l’attività interpretativa della Suprema Corte, nel segno di un’ascesa – sempre più prorompente – del ruolo rivestito dal c.d. diritto vivente, a dispetto di una produzione normativa quantitativamente importante, ma qualitativamente apatica.
Il Supremo Collegio è stato investito del compito di pronunciarsi in ordine alla legittimità del decreto del Tribunale di Venezia di rigettato del reclamo proposto dalla, ricorrente in Cassazione, Banca I.S.P. s.p.a. avverso la decisione del Giudice Delegato del Fallimento S. di S.C. & C. s.a.s. e S.C. di diniego alla richiesta di ammissione al passivo del credito dell’Istituto Bancario.
L’arresto giurisprudenziale si segnala per la particolare rilevanza in materia di usura e tutela del correntista (aspetti sui quali ci si soffermerà) nonché di commissione di massimo scoperto (istituto meritevole di autonoma trattazione, e perciò solo accennato in questa sede).
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La sinossi fattuale e processuale.
In estrema sintesi, il Collegio veneziano ha riscontrato la bontà dell’impianto motivazionale del Giudice Delegato il quale, puntualmente, non ha ammesso il credito, asserito dalla Banca, al passivo per l’omessa produzione dei documenti idonei a dimostrare che il saldo di conto corrente non è inficiato da illegittimità afferenti l’usura, contestata, appunto, dal fallito. Parimenti, è stata rigettata la domanda riconvenzionale proposta dal correntista. Tuttavia, il Tribunale ha condiviso le argomentazioni difensive della curatela sostenendo che la commissione di massimo scoperto (CMS) contribuisca alla determinazione del tasso unitario. La CTU espletata ha, quindi, offerto contezza al Tribunale che, nel caso in esame, il superamento del tasso soglia ha consentito alla Banca di percepire somme superiori al credito insinuato, da non ammettere al passivo. In particolare, la verificata usura originaria ha integrato la violazione dell’art. 1815 co. II c.c. e l’inapplicabilità del principio di conservazione contrattuale.
Avverso la decisione del Giudice del Reclamo, la Banca ha proposto ricorso per Cassazione, affidando le proprie ragioni a tre motivi di ricorso riguardanti violazioni di legge e segnatamente: 1- gli artt. 1372, 1322, 1418 e 2033 c.c. perché il Collegio non ha riconosciuto l’operatività della clausola contrattuale che riconduce le condizioni economiche del rapporto ai limiti sanciti dalla disciplina anti usura al momento della chiusura del conto; 2- gli artt. 1815 c.c., 14 delle preleggi e 1418 c.c., in quanto il Tribunale ha esteso la disciplina dettata per i mutui al diverso contratto di conto corrente; 3- la violazione della disciplina anti usura, tra cui la L. 108/1996, avendo, il giudice di seconde cure, considerato anche la CMS, oltre che altri elementi estranei ai parametri offerti da Banca d’Italia, nel calcolo del TAEG.
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La motivazione della Corte di Cassazione.
In sentenza, la Corte di Cassazione, dopo le rituali sinossi fattuali e processuali, ha ritenuto meritevoli di trattazione unitaria i primi due motivi di ricorso, giudicati infondati.
Gli ermellini, in particolare, affermano, in sede di enunciazione di principi generali, la nullità della clausola nei contratti di conto corrente che preveda l’applicazione di un dato tasso di interesse con fluttuazione aperta e da correggere automaticamente, ma solo mediante astratta affermazione del diritto alla restituzione in capo al correntista. Ciò per violazione dell’art. 1344 ed elusione del divieto di cui all’art. 1815 c.c., dettato per il mutuo, ma applicabile a tutti i contratti con cui vengono messe a disposizioni somme di denaro.
Il terzo motivo di ricorso è, viceversa, giudicato fondato. La Suprema Corte, dopo una importante ricostruzione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di CMS, sostiene che non è affatto pacifico che la L. 2/2009 (che dà, o dovrebbe dare, ordine alla materia delle commissioni bancarie) integri una disposizione di interpretazione autentica. La questione è determinante in quanto, se si propende per la soluzione affermativa, allora la disposizione, di interpretazione, è applicabile ai rapporti pregressi. Viceversa, se la Legge citata ha portata innovatrice non può che applicarsi ai soli rapporti sorti successivamente. L’indagine teleologica, fa affermare alla Suprema Corte che nessun dato letterale è utile a riscontrare una intenzione del legislatore di attività meramente chiarificatrice di concetti già positivizzati. La Legge in esame, infatti, da un alto introduce la commissione sull’affidamento (CA) che per il suo carattere innovatrice non necessita di periodo di transizione. Viceversa, la previsione del periodo di transizione per le c.d. vecchie commissioni è sintomatico di una totale assenza di una funzione meramente chiarificatrice della Legge. Proprio tale elemento, invece, legittima a ritenere innovatore l’intervento legislativo. Sicché i Giudici di legittimità sostengono che la commissione di massimo scoperto non può rilevare ai fini del calcolo del TEGM fino al termine del periodo di transizione individuato dalla L. 2/2009 nel 31 dicembre 2009. Ciò in quanto, la legge 2/2009 non è disposizione di interpretazione autentica: conformemente a ciò, per altro, i decreti ministeriali emessi tra il 1997 e il 2009 non hanno tenuto conto, nel rilevamento del tasso soglia, della CMS.
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L’origine dell’iter motivazionale.
La statuizione – assolutamente ragionevole – è conforme ai dettami dell’attuale assetto normativo, sebbene sul punto non vi sia un’unanime visione dottrinale e giurisprudenziale. Specie con riferimento alle valutazioni afferenti le clausole di salvaguardia e la portata applicativa dell’art. 1815 co. II c.c.. Per coglierne la bontà è indispensabile un’indagine che investa da un lato l’analisi delle disposizioni afferenti l’usura e dell’altro di due fondamentali clausole generali: buona fede e correttezza.
4.1- Con riguardo alla disciplina anti usura, l’art. 2 L. 108/1996 investe il Ministro del tesoro (sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi), del dovere di rilevare trimestralmente il tasso effettivo globale medio (TEG), il quale per espressa volontà del Legislatore è comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese (così testualmente l’art. 2 L. 108/1996). Il D.L. 29 dicembre 2000 n. 394 (convertito con L. 28 febbraio 2001 n. 24) ha offerto l’interpretazione autentica della L. 108/1996, stabilendo che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 c.p. e dell’articolo 1815 co. II c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla Legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti.
Il superamento del tasso soglia antiusura integra una nullità contrattuale, rilevabile d’ufficio dal Giudice ex art. 1421 c.c. ed imprescrittibile ex art. 1422 c.c.. Se ne deve per forza dedurre che, nell’ipotesi di tasso usurario, quindi, non è presente alcuna valida pattuizione scritta degli interessi, proprio in ragione della dedotta nullità.
Orbene, quando il tasso di interesse è usurario ab origine (usura originaria) la relativa clausola è nulla e, non sussistendo alcuna disposizione o clausola suppletiva alla volontà dei contraenti nell’ipotesi di usura originaria nei conti correnti bancari, nessun interesse parrebbe poter essere pre-determinato e perciò preteso dalla Banca. Sul punto la tesi è la più estrema posto che vi è invece chi, più moderatamente, tende ad applicare il saggio di interesse pari al tasso soglia.
Utili sono gli insegnamenti della più recente giurisprudenza di merito, la quale ha rilevato innanzitutto che l’art. 1815 c.c. stabilisce, con riferimento al contratto di mutuo, che se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. Ciò posto, è stato osservato che la disposizione, pur dettata con specifico riferimento al contratto di mutuo, è in realtà espressione di un principio generale, per cui la violazione della norma imperativa, dettata a tutela di un pubblico interesse, che vieta e punisce penalmente la pattuizione di interessi usurari determina la nullità della clausola, con la conseguenza che nessun interesse è dovuto dal debitore (Trib. Catanzaro, sez. II civ., 7 febbraio 2013 – est. dott.F. Tallaro). Il suddetto orientamento di merito poggia sulla giurisprudenza della Suprema Corte che ha applicato l’art. 1815 c.c. a rapporti di conto corrente affidati (v. per tutte fin da Cass, civ. sez. I, 22 aprile 2000, n. 5286 rel. dott. G. Verucci).
La ratio decidendi dell’orientamento citato è ben comprensibile, avuto, per altro, riguardo alla considerazione che la causa del mutuo (ossia l’erogazione del credito in cambio della restituzione del capitale maggiorato degli interessi) è assolutamente identica a quella dell’apertura di credito (ossia, di nuovo, l’erogazione del credito in cambio della restituzione del capitale maggiorato degli interessi). La conseguenza è ovvia: le disposizioni dettate per il mutuo possono trovare piena applicazione analogica (rectius diretta) a tutti i rapporti aventi la medesima causa.
Ne consegue che, riscontrata ed ovviamente provata l’usura, il correntista non sarà tenuto al pagamento di interessi nei confronti dell’Istituto di Credito. Posto, altresì, che in ragione dell’asserita nullità, la Banca ha certamente annotato in conto corrente somme a debito sine titulo. Ed allora, è pertinente, sotto il profilo qualificatorio dell’azione, evocare l’art. 2033 c.c. secondo cui chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato, oltre interessi.
Laddove, poi, si opinasse diversamente, si dovrebbe motivare la scelta di non dichiarare la non debenza degli interessi, applicando un tasso sostitutivo previa indicazione di quale disposizione di Legge pre-determini il saggio surrogatorio di quello nullo per usura.
Il pericolo di gratuità del credito è perciò reale per le Banche, le quali, per proteggersi dalle oscillazioni dei tassi soglia, hanno fatto sempre più ricorso a clausole che prevedono l’automatica modifica dei saggi di interesse. Si discorre spesso di clausole di salvaguardia. Circa la legittimità di quest’ultime, nei contratti bancari, in relazione all’usurarietà dei saggi di interesse non dovrebbe destare particolare scalpore la declaratoria di nullità laddove la clausola medesima si presenti meramente priva di effetti reali e quindi elusiva del divieto di cui all’art. 1815 co. II c.c.. Ciò avviene allorquando la regola contrattuale si manifesti come astratta affermazione del diritto alla restituzione in capo al correntista. Innanzitutto sarebbe assolutamente avulso da ogni canone di ragionevolezza un ordinamento in cui si consenta l’inserzione di clausole nulle ab origine nei contratti per poi sanarle (sic!) a rapporto in corso ovvero esaurito. In secondo luogo, non è il concetto assoluto di clausola di salvaguardia ad esser respinto dalla Suprema Corte. Tale tipo di clausola diviene illegittimo solo laddove consenta il manifestarsi della nullità, per poi sanarla in un secondo periodo. Non è la sostituzione automatica ad esser punita, ma quella postuma al consumarsi dell’illiceità. Invero, la possibilità di riduzione automatica, concreta ed immediata del saggio di interesse al variare dei tassi soglia è un elemento di profonda civiltà giuridica, in grado di bilanciare le esigenze di onerosità del credito, per le attività a scopo di lucro, con quelle di ordine pubblico.
4.2- L’interpretazione della Suprema Corte è assolutamente conforme, poi, alle clausole generali di buona fede e correttezza, le quali certamente hanno avuto un ruolo essenziale nell’attività degli ermellini. Non dimentichiamo infatti l’interessante orientamento[1] tendente a riconoscere nell’applicazione di saggi usurari un comportamento contrario alla buona fede (v. per tutte ABF, Coll. Di Roma, 29 febbraio 2012 n. 620).
Con riguardo alla buona fede (richiamata in numerose disposizioni e, per quel che qui ci interessa, dall’art. 1375 c.c.), occorre precisare che questa è una presenza ferma e costante dell’ordinamento giuridico italiano, come ricorda l’esegetica tradizionale[2], capace di suscitare dibattito tra chi propende per una visione restrittiva – considerando la buona fede quale criterio di valutazione a posteriori del comportamento[3] – e chi invece preferisce una visione estensiva della clausola generale (ritenendola parte integrante del precetto negoziale, la cui violazione genera responsabilità contrattuale[4]). Da segnalare il pregiatissimo orientamento ermeneutico tendente a considerare la buona fede come elemento preesistente al contratto[5].
Parte della dottrina tende a distinguere l’accezione soggettiva della buona fede, quale ignoranza di ledere l’altrui situazione giuridica soggettiva, dal profilo oggettivo della stessa, riconducibile al concetto di correttezza e positivizzata nel nostro diritto comune all’art. 1175 c.c.. Tuttavia, la correttezza ha un significato più ampio della buona fede in senso oggettivo[6], giacché si riferisce – ad avviso dello scrivente – all’esatta corrispondenza tra la condotta dell’obbligato e l’astratta previsione convenzionale. Non di meno, tale concetto, così come tutte le clausole generali, è influenzato dal contesto sociale di riferimento[7] e si presenta come espressione ellittica volta ad individuare un criterio di valutazione della condotta[8].
Per di più le citate fonti di diritto comune sono collocate nel Libro IV (delle obbligazioni), Titolo I (delle obbligazioni in generale) Capo I (disposizioni generali). Ed allora è lo stesso legislatore a dirci, ponendo tali disposizioni nella parte generale delle obbligazioni, che la volontà sovrana è quella di delineare un ordinamento in cui correttezza e buona fede trovino applicazione nella generalità delle vicende giuridicamente rilevanti.
A questo punto è possibile, ricordando che correttezza e buona fede sono richiamate, rispettivamente, dagli artt. 1175 e 1375 c.c., ritenere che tali clausole generali siano, per loro natura, suscettibili di applicazione alla totalità dei rapporti giuridici. A tale conclusione si giunge in ragione di un’interpretazione che tenga conto tanto del positivismo linguistico, imposto dall’art. 12 disp. prel. c.c., quanto dei profili sistematici e teleologici[9]. In tal senso non rappresenta un ostacolo, la disciplina dei contratti bancari. Indubbiamente, non si può evocare la specialità del TUB come barriera insormontabile all’applicazione dei precetti generali delineati dal diritto comune. Invero, il testo unico ha il merito di dare ordine e meritata specialità ad una materia particolare, contribuendo all’individuazione degli obblighi accessori alla corretta esecuzione del contratto da parte della Banca (si pensi agli obblighi comunicativi), ma non può certo arrogarsi il titolo unica fonte in materia. Il catalogo degli obblighi gravanti sulla Banca e presenti nel TUB non ha certo un tenore tassativo. Ed allora, gli obblighi degli Istituti di credito trovano ulteriore fonte ed elencazione nei principi generali dell’ordinamento nonché nel regolamento negoziale.
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Considerazioni finali.
Infine, si noti come la materia sia rilevante anche sotto il profilo della solidarietà nei rapporti sociali, in considerazione dell’art. 2 Cost., il quale è il sintomo di quella stretta correlazione – ricordata dai costituzionalisti – tra diritti e doveri[10], peraltro condivisa dalla giurisprudenza di Palazzo della Consulta[11]. Orbene, sarebbe inimmaginabile una lettura asettica del diritto comune che non tenga conto della sopraggiunta Legge Fondamentale.
Infatti, la dottrina tradizionale rileva, nell’ordinamento vigente, uno specifico criterio di solidarietà in ragione della Relazione che ha condotto alla stesura del codice[12].
Sicché nell’adempimento si svolge un’attività complessa sottesa, per un verso, alla realizzazione di un proprio fine egoistico (qual è il recupero di un credito), e dall’altro a influenzare la sfera giuridica altrui (qual è la condotta di chi deve informare di un peggioramento delle condizioni contrattuali ovvero ridurre le proprie pretese autonomamente per farle rimanere nei limiti della legalità). Ed è con questa legittima interferenza che assume rilevanza il dovere di interagire con il consociato tramite un comportamento che non può essere finalizzato a ledere, ma deve essere orientato a preservare l’ambiente sociale.
avv. Antonio Carlei
[1] Dolmetta, La Cass. 892 (?) e l’usurarietà sopravvenuta in www.ilcaso.it; F. Civale, Usura Sopravvenuta: la Cassazione riapre il contenzioso banca – cliente in Riv. Trim. Dir. Bac. 7, 2013.
[2]L. Bigliazzi Geri, voce “Buona fede nel diritto civile” in Digesto delle discipline privatistiche, UTET 2006, pag. 154 ss”,.
[3]Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, II, UTET, 1988, 170
[4] C. M. Bianca, Diritto civile, III, Giuffrè, 2000, 501 ss.
[5] L. Mengoni. Scritti II – Obbligazioni e Negozio, Giuffrè 2011, pag. 274 ss.
[6]C. M. Bianca, Diritto civile, II, Giuffrè, 1993, pag. 86 ss, Di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Comm. Scialoja, Branca, artt. 1173-1176, Zanichelli – Il foro italiano, 1988, 290
[7] V. Carbone, Delle obbligazioni in generale in Comm. E. Gabrielli, sub. art. 1175, UTET, 2012, pag. 76 ss.
[8]L. Rovelli, voce“Correttezza” in Digesto delle discipline privatistiche, UTET 2006, pag 423 ss.
[9]Sui vari profili e sui canoni interpretativi v. P. Perlingeri, Diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo – comunitario delle fonti, Tomo II,pag. 563 ss.. ESI 2006.
[10]In tal senso, Crisafulli – Paladin – Bartole – Bin – con coll. di AA.VV., Commentario breve alla Costituzione italiana, pag. 14 ss. II ed., CEDAM, 2008
[11] Corte cost. 18 maggio 1999, n. 172
[12]Santoro – Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Jovane, 1962, 76 ss.
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