Valida la divisione ereditaria anche se una delle parti non è erede
La Corte di Cassazione, II sez. civ, con la sentenza del 4 maggio 2016 n. 8919 ha affermato che la mancanza della qualità di coerede, al momento dell’apertura della successione, perché sussistente per una delle parti un rapporto di sola affiliazione con il de cuius, non impedisce agli altri coeredi, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire lo scioglimento della comunione ereditaria, avendo con ciò dato luogo non ad una vera e propria divisione ereditaria, ma ad un contratto plurilaterale, comunque vincolante ed efficace fra i contraenti.
Nel caso preso in esame dalla sentenza in commento era stato stipulato un atto di divisione ereditaria fra i figli del genitore deceduto, sul presupposto che, fra gli stessi, si fosse instaurata una situazione di comunione sui beni del de cuius, essendo, invece, emerso, successivamente, che una delle parti fosse legata in realtà allo stesso da un rapporto di affiliazione e non di adozione, e che pertanto, fosse priva di diritti successori.
La Corte di Cassazione, confermando la sentenza del giudice di merito, ha precisato che, aldilà di quanto statuito dall’art. 1966 c.c., la nullità di un negozio che abbia ad oggetto diritti indisponibili deriva dalla circostanza che tali diritti sono privi del carattere della patrimonialità, e che, pertanto, non possono in alcun modo costituire oggetto di atti che sono espressione dell’autonomia privata.
Su tale linea, la Corte ha chiarito che certamente non sono negoziabili gli status, inerendo alla qualificazione giuridica che l’individuo assume nella collettività, ma ha ritenuto, invece, come negoziabili le situazioni soggettive patrimoniali che da tali status derivano e che in essi trovano la loro fonte.
La Corte ha, quindi, proseguito affermando che, nel caso in esame, la mancanza della qualità di coerede di una delle parti, al momento dell’apertura della successione, essendo la stessa legata al de cuius da un rapporto di filiazione, e non già di adozione, non impediva agli altri coeredi, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire lo scioglimento della comunione ereditaria, attribuendogli comunque una quota della stessa.
Gli ermellini hanno ritenuto che i contraenti abbiano in tal modo dato luogo non una vera e propria divisione ereditaria, per la cui validità è necessaria soltanto la sottoscrizione degli eredi, ma piuttosto ad un contratto plurilaterale, comunque vincolante ed efficace tra i contraenti.
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Alessandra Cautela
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