Tra un quotidiano ed un drink del conducente, il Freccia Argento corre “solo” a 250 Km orari…
Abbandonare la cabina di guida del treno lanciato alla velocità di 250 km orari, configura una giusta causa di licenziamento, ravvisandosi in concreto la fattispecie contrattuale collettiva ex-art.64 (CCNL di settore) sia sotto l’aspetto materiale della condotta che circa l’elemento psicologico-soggettivo; tanto la statuizione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza nr.20931 pubblicato lo scorso 22/08/2018 con cui corroborava il “decisum” della Corte di Appello di Napoli che in accoglimento del reclamo promosso da Trenitalia, sconfessava la precedente statuizione resa in primo grado dal Tribunale della stessa città e validava invece la legittimità del licenziamento del lavoratore.
Durante il “giudizio sul fatto”, il collegio di merito aveva avuto modo di rilevare la ricorrenza di circostanze idonee all’applicazione della predetta norma contrattuale-collettiva (art.64 CCNL di settore), sul presupposto di un accertato abbandono della postazione di guida: qualificabile come tale, ancorchè in mancanza di una durata minima dell’avvenuto allontanamento.
Gli elementi fattuali accertati e posti a base della responsabilità del lavoratore, foriera dell’irreversibile rottura del rapporto fiduciario che sottende al rapporto di lavoro subordinato, vanno dal reiterato allontanamento dell’unico conducente della postazione di guida, avvenuto in due distinte occasioni: una prima volta per richiedere un quotidiano e la seconda, per ordinare un drink, sempre con il treno Freccia Argento in corsa alla velocità di 250 km orari, con il sistema di rilevazione automatica degli ostacoli non funzionante e peraltro sotto lo sguardo attonito dei passeggeri del convoglio di prima classe, testimoni involontari del pericolo scampato perché seduti in posizione prospiciente la cabina guida del treno.
Il ferroviere ha promosso ricorso in Cassazione, avverso la sentenza dei giudici partenopei, argomentando dei vizi circa l’operato giudiziale concernenti la violazione del principio di non contestazione di fatti assunti a base della decisione, circa la portata interpretativa del concetto di “abbandono” di cui alla norma regolamentare aziendale, alla mancanza dell’elemento psicologico dell’agente inerente l’intenzionalità nel mettere a repentaglio l’incolumità dei passeggeri; il tutto nel contesto sistematico di una asserita erronea ricostruzione del fatto storico sostanziale censurata attraverso il vizio di “violazione e/o falsa applicazione di norme di legge”.
La Cassazione con la sentenza in commento ha disatteso e respinto ogni singola censura del lavoratore-ricorrente: sul rilievo se alla base della decisione di merito ci fosse stata l’acquisizione di “fatti” in dispregio del principio di non contestazione (quali proprio la velocità del treno) ha statuito l’inammissibilità della censura per violazione del principio di autosufficienza cui va informato il ricorso in cassazione; circa la giusta definizione del termine “abbandono” è scattata parimenti l’inammissibilità della censura per omessa allegazione della relativa fonte normativa e circa il vizio integrante il dolo richiesto in capo all’agente, per il configurarsi della responsabilità contestata al conducente del treno, la Cassazione ha spiegato come fosse risultata idonea a tal fine, la sussistenza del c.d. dolo generico consistente nella semplice consapevolezza di violare una norma di legge, regolamentare o aziendale: accertamento questo, condotto dai giudici di appello secondo un “modus operandi” non sindacabile in sede di giudizio di legittimità perché immanente al c.d. “giudizio sul fatto”.
All’uopo la sentenza in commento contiene una pregante chiosa circa il distinguo con conseguente autonomia funzionale del vizio di legittimità intitolato “violazione e/o falsa applicazione di norma di legge” e l’aspetto dell’erronea valutazione del materiale probatorio eventualmente devoluto alla Suprema Corte di Cassazione secondo la combinazione del vizio citato, unitamente a quello conosciuto come vizio logico della sentenza ovvero, quello riguardante la “motivazione” del provvedimento.
Stante l’impossibilità per il giudice di legittimità di procedere alla ricostruzione diretta del c.d. fatto storico sostanziale (potestà spettante unicamente al giudice del merito cui appunto è devoluto il “giudizio sul fatto”) salvo la possibilità di esperire un controllo c.d. indiretto: sindacando lo schema logico-giuridico seguito dal giudice del merito, parametrato sempre sulla giusta interpretazione del diritto sostanziale e processuale, l’erronea valutazione del materiale probatorio da parte del giudice del merito, può rilevare in sede di giudizio di Cassazione solamente attraverso paradigmi quali una valutazione discrezionale di una c.d. “prova legale” (che è tale proprio perché inibisce il principio di libera valutazione dei mezzi di prova) oppure di acquisizione di una prova non preventivamente allegata dalle parti o acquisizione di “prove libere” allegate ma non valutate sotto il profilo critico dal giudice ed infine, per errori in tema di riparto dell’onere probatorio tra le parti.
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Luigi Giuseppe Papaleo
Avvocato Cassazionista - Giornalista Pubblicista
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