Trust: il problema della individuazione del titolare effettivo
Il trust, originario dei paesi di Common Law, è un istituto ab initio sconosciuto nel nostro ordinamento giuridico, e che ha goduto di positivizzazione a livello internazionale con la Convenzione dell’Aja, ed ora previsto anche a livello interno dal D.Lgs. 231/07, come destinatario dei relativi obblighi antiriciclaggio.
Esso si sostanzia in un rapporto giuridico che comporta il trasferimento di un bene, o una serie di beni, dal proprietario (denominato settlor) ad un altro soggetto (trustee, che può coincidere anche con una società fiduciaria), il quale dovrà amministrare tale patrimonio a vantaggio di un terzo (il beneficiario).
Carattere peculiare del trust, in conseguenza della segregazione di alcuni beni dal patrimonio del settlor, è lo sdoppiamento che subisce la proprietà: il trustee diviene proprietario legale, sottoposto alle direttive del settlor, mentre il beneficiario detiene la proprietà equitativa.
Sotto il profilo fiscale invero, il trust prevede l’obbligo, laddove persegua una finalità strictu sensu “commerciale”, di dotarsi di P.IVA, essendo altresì il beneficiario (o il trustee) soggetto a tassazione IRES.
Dubbi si pongono sulla possibilità di riconoscere un trust tout court interno, con beni e soggetti siti esclusivamente in Italia; ciò perché nel nostro ordinamento, rispetto ai negozi giuridici, vige il principio causale, secondo cui ogni contratto deve essere sorretto da una idonea causa giustificatrice (causa secondo alcuni da concepirsi in “abstracto”, per altri in “concreto”) e fondante, pena la sua nullità. Negli ordinamenti di Common Law invece, ben possono concepirsi negozi “astratti”, privi di causa, quali il trust, essendo richiesto lo specifico requisito della causa solo per alcune categorie di contratti solenni.
Secondo parte della dottrina un trust di tal guisa sarebbe ammissibile, rinvenendo quale addentellato normativo l’art. 2645-ter c.c., che prevede la possibilità di apporre vincoli di destinazione per non più di novanta anni a determinati beni, e configurandosi come negozio “neutro”, avente sì una propria causa, ma cangiante di volta in volta, a seconda della specifica destinazione dei beni.
Ciò posto, esistono due tipologie di trust: opachi o chiari, a seconda che l’identità del beneficiario sia nota o meno; in quest’ultima ipotesi il trust costituisce istituto che ben può pestarsi ad abusi e fenomeni di riciclaggio, con oggetto proventi derivanti da illeciti penali. Pertanto acquista sempre più importanza individuare il c.d. “titolare effettivo” dell’operazione, secondo l’ottica dell’approccio basato sul rischio, di cui al D.Lgs. 231/07 (così come modificato dal D.Lgs 90/17), corollario del principio di proporzionalità.
Orbene, nel caso di trust opachi, titolare effettivo, si rimanda ai criteri postulati dalla nuova novella legislativa di cui al menzionato D.Lgs 90/17.
Tuttavia la normativa esistente non sembra, allo stato, suscettibile di fugare tutti i dubbi e portare sempre con facilità all’individuazione del titolare effettivo, sia con riferimento ad un istituto di base già complesso come il trustt, che anche rispetto ad altre ipotesi, come ad esempio le società fiduciarie. Si auspica che le modifiche normative oramai prossime siano in grado, quantomeno, di rendere la disciplina di più sicura applicabilità per gli operatori.
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Avv. Claudio Tarulli
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