Tutela penale degli animali: le “caratteristiche etologiche”, un elemento di straordinaria rilevanza

Tutela penale degli animali: le “caratteristiche etologiche”, un elemento di straordinaria rilevanza

Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso – 3. L’animale quale centro di interessi giuridici – 4. La fattispecie di maltrattamento di animali. Un reato a forma libera – 4.1. Le “caratteristiche etologiche”: un elemento da considerare – 5. Le fattispecie di cui agli artt. 544 ter e 727 bis c.p.: un’ipotesi residuale – 6. Conclusioni

 

1. Premessa

Recentemente, su ricorso depositato dalla difesa dell’imputato, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 15453/2023[1], è intervenuta in merito al reato di maltrattamento di animali, di cui all’art. 544 ter c.p.[2]

In particolare, il suddetto provvedimento, oltre a chiarire e specificare alcuni profili, oggettivi e soggettivi di tale delitto, si è concentrato sulla locuzione “caratteristiche etologiche” specificata al co. I del sopra indicato articolo, come elemento da prendere necessariamente in considerazione ai fini dell’integrazione della fattispecie. Inoltre, quale punto nevralgico del caso in suo esame, la Suprema Corte ha scandagliato i rapporti intercorrenti la tra delitto ex art. 544 ter c.p. (Maltrattamento di animali) e la contravvenzione prevista all’art. 727 bis c.p.[3] (Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette).

Così, la pronuncia in commento, oltre a definire il processo in occasione del quale è stata resa, si candida ad essere un punto fondamentale nel panorama giurisprudenziale riguardante la tutela degli animali.

 2. Il caso

La Sez. III della Corte di Cassazione si è pronunciata, a seguito di doppia conforme con cui il Tribunale[4] e la Corte d’appello di Brescia[5] condannarono l’imputato a mesi sette di reclusione, in merito al reato di cui all’art. 544 ter co. I e III c.p., oltreché alla fattispecie prevista agli artt. 2 e 30 lett. b) e h), l. 157/1992. In particolare, il soggetto era accusato di aver catturato e detenuto, per crudeltà e senza necessità, in piccole gabbie un esemplare di peppola e quattro esemplari di fringuelli, utilizzandoli come richiami (per la caccia di altri volatili), sottoponendoli a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, rendendoli incapaci al volo.

In altri termini, i giudici di prime cure hanno ritenuto che la condotta consistente nel trattenere animali, in particolare uccelli, in gabbie o recinti troppo piccoli per le loro esigenze e caratteristiche di specie configuri, qualora commessa per crudeltà o senza necessità, il delitto di maltrattamento di animali.

Sul punto, la difesa dell’imputato ha promosso ricorso sostenendo che il fatto in esame integri, invece, la più lieve contravvenzione ex art. 727 bis co. II c.p., in quanto, la semplice detenzione in gabbie non idonee, non configura sic et simpliciter la ben più grave ipotesi delittuosa.

Come anticipato nel precedente paragrafo (v. par. 1.), la Corte di Cassazione ne ha, dunque, approfittato per chiarire e analizzare la natura giuridica del delitto di maltrattamento di animali, oltreché per definire il rapporto tra le fattispecie criminose di cui agli artt. 544 ter e 727 bis c.p.

3. L’animale quale centro di interessi giuridici

Gli animali, in specie quelli domestici, oltre a divenire parte integrante della vita familiare, sia dal punto di vista logistico che affettivo, sono diventati col tempo oggetto (o soggetto) di norme, volte a riconoscere e disciplinare la loro tutela, sino a trasformarli in veri e propri centri d’interesse giuridico.

Sotto il profilo penalistico, ad eccezione di alcune ipotesi contravvenzionali ad essi dedicate, la disciplina organica volta alla loro protezione è stata introdotta nel 2004[6], allorché, apportando modifiche al codice penale, il Legislatore ha provveduto a inserire, nel Libro II, il Titolo IX-bis, rubricato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”. Tuttavia, come si evince dalla rubrica, sembrerebbe che, in un primo momento, si sia voluto tutelare il rapporto e l’affezione sviluppata e nutrita dall’uomo nei confronti dell’animale, e non quest’ultimo semplicemente come soggetto. Infatti, a ben vedere, il centro della tutela sarebbe il sentimento”, mentre “l’animale” costituirebbe solo l’oggetto su cui esso ricade.

Recentemente, però, la protezione, e quindi la rilevanza giuridica, degli animali e della loro salute ha visto una nuova evoluzione, che ha portato a riconoscere la specie e il singolo esemplare come centro di interesse giuridico autonomo, indipendentemente dal legame e dal rapporto istaurato con l’uomo. In tal senso, nel 2022, è stato introdotto, all’art. 9 Cost., il co. III[7] che, al secondo periodo, stabilisce che “la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Dunque, a seguito di tale modifica, all’animale è stata riconosciuta rilevanza costituzionale quale soggetto ex se.

Infine, anche a livello europeo, la Corte di Giustizia UE[8] ha ritenuto, pur se incidentalmente, la protezione degli animali domestici un autonomo interesse giuridico, meritevole di tutela.

4. La fattispecie di maltrattamento di animali. Un reato a forma libera

L’art. 544 ter c.p. punisce, alternativamente, le condotte di lesione o di sottoposizione a sevizie o fatiche (o lavori) insopportabili perpetrate ai danni di un animale. Dunque, tale reato è previsto e regolato da una norma a più fattispecie.

Secondo giurisprudenza costante, alla quale la sentenza in commento si è conformata, il delitto in esame integra un reato a forma libera, per cui “…è sufficiente che l’azione sia causale rispetto l’evento, cioè idonea a cagionarlo[9], indipendentemente dai modi e dai mezzi con cui viene perpetrata.

Nello specifico, posto che per la nozione di “lesione” si fa rinvio all’art. 582 c.p., nel caso di specie all’imputato è stato contestato il “comportamento insopportabile”, consistente nell’aver detenuto alcuni esemplari di peppole e di fringuelli in gabbie troppo piccole rispetto le loro caratteristiche, rendendoli inabili al volo. Specificamente, secondo la dottrina maggioritaria, per “comportamenti insopportabili” si intende ogni azione od omissione che sia tale da non poter essere sopportata dall’animale in considerazione delle caratteristiche etologiche proprie della specie[10].

4.1 Le “caratteristiche etologiche”: un elemento da considerare

Ai fini della rilevanza penale, tuttavia, sul piano materiale non è sufficiente la mera lesione o la condotta di sottoposizione a sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili, ma è necessario che queste azioni od omissioni siano inappropriate in relazione alle “caratteristiche etologiche” della singola fattispecie faunistica. In altri termini, si dovrà provare che, nel singolo caso, siano state adottate misure o atteggiamenti incompatibili con le peculiarità proprie della specie di appartenenza dell’animale maltrattato.

Orbene, secondo autoritaria dottrina, le “caratteristiche etologiche” sono a indicare “le peculiarità comportamentali dell’animale, in relazione al suo ambiente di vita[11].

Dunque, perché ci sia responsabilità penale, è necessario verificare la sussistenza concreta di un duplice elemento: da un lato, infatti, si deve costatare che le azioni od omissioni indicate dall’art. 544 ter c.p. siano insopportabili per l’animale e, dall’altro, che tale non sopportazione sia dovuta e raffrontata in relazione ai caratteri etologici di ciascuna specie. Al contrario, invece, un comportamento non consono alle caratteristiche dell’animale ma comunque da lui tollerato o tollerabile, non vale a integrare il delitto in esame, per il generale principio che la sanzione penale deve costituire l’extrema ratio.

5. Le fattispecie di cui agli artt. 544 ter e 727 bis c.p.: un’ipotesi residuale

Nel caso in analisi, la difesa dell’imputato ha sostenuto la tesi, seppur non accolta, che i fatti contestati all’assistito dovessero essere inquadrati, anziché nel delitto di cui all’art. 544 ter c.p., nella meno grave fattispecie contravvenzionale prevista all’art. 727 bis co. I c.p., rubricato “Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette[12].

Ciò ha costituito occasione affinchè la Corte di Cassazione, riprendendo altre pronunce sul tema, delineasse le differenze e il rapporto intercorrenti tra i due reati sopra citati.

Innanzitutto, come è evidente, le due ipotesi criminose differiscono sotto il profilo psicologico, poiché, se per la configurazione della fattispecie di maltrattamento, costituendo essa un delitto, è necessario che il soggetto attivo abbia agito con dolo, quindi intenzionalmente, per la diversa contravvenzione di cui all’art. 727 bis c.p. è sufficiente provare la mera colpa.

Ancora. Dal punto di vista materiale l’appena citato articolo, diversamente dall’art. 544 ter c.p., ai fini dell’integrazione del reato, non richiede gli elementi dell’aver agito “per crudeltà o senza necessità”, potendo il giudice omettere tale valutazione empirica che restringe il campo del penalmente rilevante.

In ultimo, il reato ex art. 727 bis co. I è riferito solo ad alcune specie di animali, ossia quelle selvatiche protette. Viceversa, il delitto di maltrattamenti non fa alcuna distinzione tra gli esemplari faunistici.

Da quanto emerge, dunque, come anche avvalorato dalla c.d. clausola di riserva in apertura all’art. 727 bis c.p., tale contravvenzione costituisce ipotesi residuale rispetto al delitto di maltrattamento. Ciò è stato, altresì, affermato dalla Suprema Corte, secondo cui: “ne consegue che non vi è alcuna possibile identità fra le due fattispecie, perché la seconda, di portata più ampia, rappresenta un’ipotesi residuale rispetto alla prima; e ciò giustifica sul piano costituzionale la previsione di due ipotesi di reato distinte, nonché di sanzioni proporzionate alla loro diversa gravità[13].

6. Conclusioni

Alla luce di quanto riportato e analizzato, emerge come la tutela per e verso gli animali sia un tema molto sentito e attualmente sempre in evoluzione, anche in relazione alla rilevante modifica apportata all’art. 9 Cost. (v. par. 3).

Anche sotto il profilo penale, con l’introduzione, nel 2004, degli artt. 544 bis e seguenti nel codice penale, si è voluto implementare gli strumenti giuridici a garanzia della fauna, selvatica e domestica, prima di allora limitata a qualche ipotesi contravvenzionale. Tuttavia, passi in avanti devono ancora essere compiuti poiché, nonostante la riforma codicistica, ancora oggi la tutela degli animali è parametrata quasi esclusivamente al rapporto di affezione o lavoro che lega loro all’uomo, e non come soggetti giuridici ex se.

 

 

 

 

 

[1] Cass. Pen., Sez. III, sent. 13 aprile 2023, n. 15453.
[2] Art. 544 ter c.p.: «I. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. II. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. III. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale».
[3] Art. 727 bis c.p.: «I. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta è punito con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a 4.000 euro, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie. II. Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta è punito con l’ammenda fino a 4.000 euro, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie».
[4] Trib. di Brescia, sent. 7 ottobre 2021.
[5] Corte app. di Brescia, sent. 28 giugno 2022.
[6] L. 20 luglio 2004, n. 189, art. 1.
[7] L. cost. 11 febbraio 2022, n. 1, art. 1.
[8] Cfr., Corte Giust. UE, Sez. VIII, sent. 23 marzo 2023, n. 653.
[9] Così, F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Wolters-Kluwer, Milanofiori Assago (MI), 2017, p. 126.
[10]G. L. GATTA, Codice penale commentato. Tomo II, E. DOLCINI – G. L. GATTA (fondato e diretto da), Wolters-Kluwer, Milano, 2021, ed. V, p. 610.
[11] G. L. GATTA, Codice penale commentato. Tomo II, E. DOLCINI – G. L. GATTA (fondato e diretto da), Wolters-Kluwer, cit., pp. 610 e ss.
[12] Art. 727 bis c.p.: v. sopra.
[13] Cass. Pen., Sez. III, sent. 3 ottobre 2017, n. 10163.

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