Umanesimo giuridico. L’inizio di un lento processo di cambiamento
L’Umanesimo è un fenomeno culturale che si sviluppò a partire dall’Italia tra il XV ed il XVI secolo. L’elemento centrale di questo periodo è raffigurato dall’esaltazione dell’Uomo e la rinnovata fiducia nelle sue capacità. La riscoperta delle opere classiche greche e latine rappresenta uno dei capisaldi di questo movimento in ambito letterario.
Tuttavia, benché vi furono numerose innovazioni e nuove scoperte tecniche e scientifiche, la religione continuava a mantenere un ruolo incisivo nei contesti sociali.
Tra le grandi invenzioni è doveroso ricordare la stampa, alla quale si deve, tra l’altro, una diffusa conoscenza dei testi giuridici e delle loro interpretazioni.
L’Umanesimo giuridico inizia a svilupparsi in Italia tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500, ed il massimo esponente è Andrea Alciato, il quale proseguirà i suoi studi in Francia.
I “nuovi” esperti del diritto iniziano a voler riportare alla luce gli antichi testi giuridici del periodo romano ma, a differenza del lavoro svolto dai loro predecessori, costoro hanno l’intento di ritrovare il reale pensiero della giurisprudenza classica, sviscerata dalle interpretazioni operate nel Medioevo.
Vi è quindi un forte disappunto verso le interpretazioni effettuate ai testi giustinianei e conseguentemente, verso i Commentatori e ancor prima al lavoro dei Glossatori.
Tuttavia, il movimento culturale avrà notevoli difficoltà ad essere accettato in Spagna, in Germania ed anche in Italia (benché proprio qua pone le sue radici). La motivazione è facilmente riscontrabile nel fatto che in questi territori le Università e gli studiosi della materia, erano particolarmente restii ad abbandonare il metodo dei Commentatori.
Differente invece è l’approccio francese, il quale aderisce pienamente alle innovazioni offerte dalle soluzioni proposte dall’Umanesimo giuridico.
L’adesione della Francia a questo nuovo metodo di concepire il diritto è strettamente collegato al fatto che la gran parte degli studiosi (e non solo) era favorevole alla riforma operata da Calvino e quindi contro l’impostazione della Chiesa di Roma, la quale si dimostrava contraria innanzitutto a riconoscere all’uomo quella superiorità intellettiva cui stava iniziando a rivendicare e allo stesso tempo a mettere in dubbio le fonti legislative utilizzate fino a quel momento, infatti la Chiesa intendeva mantenere i vecchi canoni anche perché diritto romano e diritto canonico erano alla base dello “Ius Commune”.
Al contrario i giuristi di questa nuova corrente vogliono si riscoprire ed esaltare il modello classico, ma utilizzando la critica (intesa proprio come attività dell’intelletto dedita ad interpretare e valutare con coscienza fatti o atti) al fine di esaminare il materiale legislativo a loro disposizione, e allo stesso tempo creare nuove regole per permettere la diffusione di un diritto attuale senza interpretazioni forzate. In quest’ottica il Corpus Iuris Giustinianeo non è quindi il testo legislativo da interpretare per renderlo attuale, ma è da utilizzare come modello razionale dal quale carpire i principi che sono racchiusi al suo interno.
Da tali principi poi sarà possibile iniziare, ad opera degli studiosi, a preparare il materiale giuridico da impiantare nel nuovo sistema che doveva realizzarsi.
In tal contesto si cominciano a notare due metodi diversi: il metodo italiano (ancorato alle metodologie interpretative delle epoche passate) ed il metodo francese o “mos gallicus” (incentrato su metodi nuovi e maggiormente attuali).
I giuristi umanisti francesi criticavano il metodo italiano (“mos italicus”), andando così pure a svalutare il diritto comune (lo “Ius Commune”), ossia quel diritto che si era diffuso in tutta Europa dalla fine del 1200 e da allora rappresentava il diritto per eccellenza nella regolazione delle controversie.
Per gli umanisti urgeva trovare un diritto nuovo, ma, in questo scenario, la Francia si trova spaccata in due, in quanto: nel nord della francia si era soliti ricorrere ad un diritto consuetudinario, nel sud della Francia riusciva a resistere il diritto romano (e quindi quel diritto del “mos italicus”).
Le nuove teorie del “mos gallicus” devono così fronteggiare non solo lo “Ius Commune”, ma anche due applicazioni diverse del diritto all’interno di una stessa nazione.
La soluzione definitiva tuttavia giungerà solamente con l’età moderna, quando, con un primo intervento Luigi XIV, emanò delle “ordonnances”, che dettavano regole nuove, generali e scritte da seguire su singole fattispecie. In altri luoghi ci sarà una limitazione alle opinioni dei giuristi: difatti (come tuttavia era accaduto già in epoca romana) potevano essere citate e quindi utilizzate per creare materiale normativo solo le interpretazioni di giuristi indicati dai sovrani. Ciò con l’intento di ridurre il materiale giuridico a semplificare il ragionamento per risolvere le dispute.
Ad ogni modo, le critiche degli umanisti contro il diritto comune non erano riuscite a scalfirlo, benché iniziarono a farlo vacillare, mettendo in luce le innumerevoli e divergenti interpretazioni che rendevano eccessivamente complesso il ragionamento giuridico che avrebbe dovuto portare alla soluzione di casi concreti.
C’era bisogno di unitarietà tra lo “Ius Commune” e le interpretazioni dei giuristi. Sarà però con l’epoca moderna, che inizierà a farsi sentire maggiormente l’autorità dello Stato, grazie all’introduzione di Tribunali statali superiori, ossia tribunali le cui pronunce formavano precedenti giuridicamente vincolanti.
Tali tribunali erano presieduti da giuristi ai quali era affidato il compito di uniformare le interpretazioni in modo da avere un unico diritto statale.
Tuttavia, le decisioni dei singoli Tribunali avevano valenza solamente nel singolo Stato e così era ancora lontana la possibilità di avere un diritto uguale in tutta l’Europa che sostituisse lo “Ius Commune” che vacillava sempre maggiormente, ora con nuove e vincolanti pronunce (e quindi non solo interpretazioni dottrinali) diverse per ogni Tribunale statale supremo.
Da tutto ciò, è possibile affermare che anche agli inizi dell’età moderna, come durante l’Umanesimo la situazione continua ad essere immutata e l’incertezza regna ancora sovrana, questo anche perché l’elemento assente al fine di cambiare praticamente il diritto e la sua applicazione, è, la mancanza di un’autorità che si assumesse l’oneroso compito di apportare le necessarie modifiche.
Non si può negare però che l’Umanesimo abbia dato inizio ad un processo, seppur lento, di cambiamenti, benché quando viene fatto riferimento all’Umanesimo quale movimento per lo più culturale è proprio anche per questo: molte erano, teoricamente, le iniziative di cambiamento e di innovazione, ma all’atto pratico ci furono troppe incertezze dovute ad un immobilismo dettato dalla mancanza di iniziativa, un’iniziativa che doveva separarsi dal solo studio teorico, ma trovare attuazione nella realtà quotidiana. E per far si che ciò avvenga è necessario attendere almeno il 1700.
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Samuele Vaggelli
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