Un caso di autotutela doverosa e profili di estensione analogica

Un caso di autotutela doverosa e profili di estensione analogica

Un commento alla sentenza 9415/2023 del 2 novembre 2023 del Consiglio di Stato

di Michele Di Salvo

A fronte dell’istanza del terzo la P.A. deve provvedere a prescindere dal contenuto della successiva decisione. Questo il principio centrale stabilito dal Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 9415/2023.

La controversia all’attenzione del Consiglio di Stato origina da un giudizio penale, conclusosi in Cassazione, con cui veniva accertata la falsità della dichiarazione resa in Comune per ottenere i titoli edilizi necessari all’esecuzione di opere edilizie.

Tali lavori sarebbero stati qualificati dapprima come manutenzione straordinaria, poi come ristrutturazione “leggera”. La relativa dichiarazione è stata poi complessivamente riconosciuta come del tutto falsa, trattandosi di “nuova costruzione” realizzata sine titulo e come tale abusiva ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001.

La proprietaria del fondo confinante, dunque, venuta a conoscenza dell’esito del giudizio penale, sollecitava con due diffide il Comune affinché attivasse i dovuti controlli e provvedesse all’annullamento in autotutela dei titoli edilizi in forza dei quali era stato effettuato di cui rivendicava l’illegittimità.

A fronte del silenzio serbato dal Comune, la proprietaria del fondo confinante conveniva in giudizio la PA onde sentir accertare l’obbligo di provvedere sulle istanze formulate ai fini della verifica di legittimità delle opere eseguite.

Il TAR adito accoglieva la domanda della ricorrente. Ricorreva in appello il Comune e, nelle more, veniva nominato altresì un commissario ad acta affinché provvedesse. sulle istanze formulate.

Gli atti del commissario ad acta di annullamento dei titoli edilizi e di demolizione delle opere venivano a loro volta impugnati.

La sentenza del Consiglio di Stato, definitivamente pronunciato su questa complessa vicenda, ha riconosciuto l’obbligo di provvedere del Comune a fronte dell’istanza di autotutela presentata dalla ricorrente.

Nella sentenza in commento rileva la definizione del CdS di “autotutela doverosa”.

In generale l’esercizio dei poteri in autotutela, tra cui l’annullamento d’ufficio ex art. 21nonies l. n. 241/1990 costituisce esercizio di un potere discrezionale della pubblica amministrazione e, in quanto tale, non dovrebbe essere ritenuto doveroso.

Lo stesso articolo al comma 2bis considera tuttavia l’ipotesi tipizzata dei provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato. Ipotesi che esplicitamente consente di superare il termine di dodici mesi entro il quale si può provvedere all’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi.

Viene così sconfessata la tesi del Comune secondo cui nell’esercizio dei poteri in autotutela le amministrazioni possono e non devono intervenire sull’atto conseguito sulla base di falsità una volta superato il termine di dodici mesi.

La rilevanza dell’autotutela doverosa, come chiarisce la sentenza in commento, è tale in quanto genera un obbligo di provvedere, diversamente da quanto accade quando sia notificata una istanza con cui si invita il Comune a far uso dei poteri in materia di autotutela, ma, invece, a fronte di un’istanza puntualmente argomentata non può non fornire adeguata risposta.

Il Consiglio di Stato espressamente riconosce che la doverosità dell’autotutela in caso di falsità e mendacio tale da determinare un obbligo giuridico di provvedere sull’istanza del terzo che ne solleciti l’attivazione, pur senza vincolare il contenuto della successiva decisione.

Diverso è il caso – per rimanere in tema e nell’argomentazione della sentenza – in cui si provveda alla segnalazione di abuso edilizio sul territorio.

In questa ipotesi, infatti, si determina un obbligo giuridico di provvedere in capo al Comune (indipendentemente dal contenuto concretamente adottato) in ragione del generale dovere di vigilanza “…sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi” (art. 27 d.P.R. n. 380/2001).

Il potere riconosciuto al Comune in questa fattispecie, diversamente dall’autotutela, può essere esercitato senza limiti di tempo e si rivolge alla sola verifica della conformità degli interventi al regime di edificabilità dei suoli, come cristallizzati nei titoli edilizi.

Ma vi è qualcosa in èpiù che trasversalmente emerge dalla sentenza oggetto di commento.

La rilevanza trasversale dei principi dell’articolo 1 della 241/90 sul procedimento amministrativo  che trovano pieno significato nell’azione e nello scopo stesso della pubblica Amministrazione, ovvero al “provvedere all’interesse pubblico”.

Ciò che in questo caso specifico appare abnorme è che la PA non sia intervenuta motu proprio a fronte di una sentenza penale della Cassazione.

Non sia intervenuta in sede di istanza del cittadino.

Abbia obbligato l’istante ad un ricorso (oneroso ed a suo carico) al Tribunale Amministrativo Regionale.

Abbia resistito post-condanna proponendo ricorso in appello al Consiglio di Stato.

Tutto per non adempiere ad un proprio dovere: annullare un provvedimento (concessione edilizia) ottenuto con attestazioni false.

Come abbiamo già avuto modo di commentare, proprio su questa materia:

“Da ostacolo alla piena attuazione ed applicazione del rimedio ex art. 21 nonies è nella massima parte dei casi il combinato disposto tra il non ammettere individuale del responsabile del procedimento del proprio errore, insieme con la certezza del on dover rispondere dell’aggravamento del procedimento, la certezza di non pagare in prima persona per la comparsa in giudizio, e la deresponsabilizzazione di delegare la decisione al giudice amministrativo (come a dire io resto convinto della mia posizione e se annullo è solo per adempiere al disposto del giudice amministrativo).

Il caso dell’articolo 21 nonies si presenta come uno degli strumenti posti a disposizione della PA da parte del legislatore per adempiere in concreto ai principi di cui all’articolo 1 e che troppo spesso – per ragioni tutt’altro che procedimentali – diviene sterile per non uso.

Solo un ripristino della “legalità in concreto”, attraverso l’introduzione di indici di performance oggettivi (e quindi con valutazioni da parte del responsabile dell’ufficio) può determinare un’inversione di tendenza, e dare concreta attuazione all’articolo 1, anche tramite l’utilizzo dell’articolo 21 nonies, al cui ricorso tropo spesso – in concreto – il responsabile del procedimento è demotivato a fare ricorso.”

E nell’ipotesi del caso specifico considerato, l’esercizio dell’autotutela in uno stesso momento si configura come atto di ripristino della legalità violata, come atto di effettiva tutela della PA procedente, come atto significante la funzione della PA preposta all’ufficio specifico.

E davvero non si comprende questo complessivo gravame (economico, di tempo e risorse) incombente immotivatamente sul privato istante-ricorrente-opponente di fronte ad una situazione di fatto e di diritto chiara.

Ma sino a quando di tali condanne non si terrà conto in concreto in sede di valutazione dirigenziale, e tali inadempimenti non incideranno sulla valutazione di carriera e di remunerazione – in concreto – dei dirigenti, difficilmente questi principi troveranno applicazione di fatto. In concreto chi risponde e paga in soccombenza è la Pubblica Amministrazione, e quindi, nuovamente, i cittadini.


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