Un diniego immotivato
Premessa. Le Pubbliche Amministrazioni, nonostante l’apparente snellimento delle varie procedure burocratiche conseguito all’avvento della tecnologia informatica, perseverano in una testardaggine destinata sovente a sconfinare in una pericolosa mala interpretatio della normativa vigente, le cui spese – com’è ovvio – vengono pagate dall’utenza.
Il caso[1]. Joanna, cittadina brasiliana, avvia una relazione sentimentale con l’italiano Gismondo, residente nel Comune di Pozzuoli.
I due iniziano la propria convivenza more uxorio nel duemilaventuno, mediante apposito contratto disciplinato dalla L. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà), la cui sottoscrizione viene regolarmente autenticata dall’avvocato Nestore in ossequio all’art. 50, comma cinquantunesimo, della cennata legge, fissando la residenza all’indirizzo di Gismondo.
Come da espressa previsione normativa, Nestore ha provveduto alla trasmissione al Comune di Pozzuoli, mediante posta elettronica certificata, dell’anzidetto contratto, dimodoché l’ufficio dell’anagrafe potesse procedere alla rituale annotazione.
Dopo aver serbato un lungo silenzio, l’Ente, a séguito della trasmissione di ben due solleciti da parte di Nestore, ha negato tale annotazione, adducendo a pretesto la (presunta) carenza di un autonomo titolo di soggiorno ai sensi dell’art. 6, comma settimo, D. Lgs. n. 286/1998.
La sventurata Joanna ha, dunque, proposto ricorso ex art. 700 c.p.c., evidenziando che la convivenza con Gismondo perdurava dal duemilaventi, che questi provvedeva a lei economicamente e, non da ultimo, che, a fronte dei propri problemi di salute – debitamente documentati -, che richiedono esami periodici, l’annotazione supra le avrebbe consentito tanto l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale quanto l’assegnazione di un Medico di Base.
Il Comune, ancorché regolarmente convenuto, non s’è costituito, dunque ne è stata dichiarata la contumacia.
La decisione giudiziale. Il Tribunale di Napoli, Sezione Prima Civile, con ordinanza del 18 aprile 2023, ha accolto il ricorso, ritenendo ravvisabili tanto il fumus boni iuris quanto il periculum in mora.
Quanto al primo, va sottolineato che il legame di coppia tra Joanna e Gismondo intercorreva già da parecchio, come anche la reciproca assistenza morale e materiale. Inoltre, come già puntualizzato, la formalizzazione contemplata dall’art. 36 della Legge Cirinnà era regolarmente avvenuta.
Con riguardo al secondo, si ritiene d’uopo porre l’accento sulle conseguenze preoccupanti che il diniego del Comune, del tutto ingiustificato, avrebbe potuto provocare: Joanna, benvero, sarebbe potuta incorrere in un provvedimento d’espulsione, oltreché alla mancata possibilità d’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (cosa necessaria ai fini del monitoraggio della di lei salute).
Il Comune – specifica il Giudice – ha basato la propria decisione su circolari ministeriali cui giammai può attribuirsi forza di legge. La disciplina regolante la fattispecie andava, invece, interpretata conformemente al combinato dell’art. 8 CEDU e della Direttiva 2005/38/CE – la quale ultima recepita dall’Italia col D. Lgs. 30/2007 -, ove è riconosciuto espressamente il diritto alla coesione familiare, esteso altresì alle formazioni sociali diverse dalla famiglia traente origine da un coniugio.
A ciò aggiungasi che l’art. 1, comma cinquantaduesimo, della Legge Cirinnà – in ossequio al disposto ex art. 9, co V-bis. D. Lgs. 30/2007 – non annovera affatto, tra i presupposti per l’iscrizione anagrafica, il possesso di un permesso di soggiorno; al contrario, è da ritenersi sufficiente la documentazione che attesti la sussistenza di un rapporto stabile tra il cittadino di un Paese terzo ed uno dell’Unione.
Sulla scorta di quanto argomentato, il Comune è stato condannato ad annotare tempestivamente il contratto di convivenza tra Joanna e Gismondo.
[1] I nomi di persona utilizzati nella presente disamina sono frutto della pura fantasia di chi scrive.
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Adriano Javier Spagnuolo Vigorita
Laureato in giurisprudenza con una tesi sulla natura giuridica dei rapporti di lavoro secondo la disciplina del Jobs Act (relatore il prof. Francesco Santoni), Adriano Spagnuolo Vigorita (noto anche con il soprannome di "Javier") ha iniziato il suo percorso forense in seno ad un rinomato studio legale napoletano, ove ha sviluppato le proprie capacità di ricerca e, contestualmente, incrementato le conoscenze giuridiche acquisite, con particolare riguardo al diritto civile e del lavoro.
Si occupa attualmente della cura di liti giudiziali e stragiudiziali nelle cennate materie e, dal 20 gennaio 2022, è pienamente abilitato all'esercizio dell'avvocatura, professione dei suoi avi.
Parla fluentemente l'inglese ed il tedesco, appresi durante le sue numerose esperienze all'estero, ed è in grado di comprendere la lingua spagnola.
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