Un primo commento alla “legge bavaglio”

Un primo commento alla “legge bavaglio”

Vietata la pubblicazione dell’ordinanza cautelare: bavaglio alla stampa o fonte di pericoli per la presunzione di innocenza?

Un primo commento alla legge delega 21 febbraio 2024, n. 15

di Michele Di Salvo

Il 24 febbraio scorso è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la L. 21 febbraio 2024, n. 15, intitolata “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2022-2023” e ribattezzata “legge bavaglio”.

A far discutere è, soprattutto, l’art. 4 che, nell’ottica di completare il percorso di adeguamento alla Direttiva n. 2016/343/UE – che si occupa del rafforzamento di alcuni aspetti relativi alla presunzione di innocenza e al diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali – pone (tra i principi e i criteri direttivi) il divieto di pubblicazione, integrale o per estratto, «del testo delle ordinanze di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare».

Da qui, per alcuni, l’assimilazione della legge ad un bavaglio alla stampa.

L’obiettivo: il rafforzamento della presunzione di innocenza

Sebbene il contenuto della Direttiva n. 2016/343/UE sia stato in larga parte recepito, a livello interno, nel D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 188, con la legge di delegazione europea relativa agli anni 2022-2023 si è ritenuto opportuno aggiungere un ulteriore tassello al percorso sinora intrapreso, col chiaro intento di porre fine alla pubblicazione sulla stampa del testo delle ordinanze cautelari.

Nella relazione illustrativa viene chiarito che la finalità dell’intervento normativo va individuata nella necessità di «integrare quanto disposto dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188 nonché di assicurare l’effettivo rispetto dell’articolo 27 comma secondo della Costituzione, per il quale, fino a che non vi è una condanna definitiva, anche nel caso di un soggetto sottoposto a indagine, non si può essere considerati colpevoli» (dossier di accompagnamento alla legge di delegazione europea 2022-2023, dell’8 gennaio 2024, p. 36, in www.senato.it).

Tra presunzione di innocenza e presunzione di non colpevolezza

Occorre ricordare che la presunzione “di non colpevolezza” di impianto nazionale (art. 27 Cost.) e la presunzione “di innocenza” di derivazione europea (artt. 6 § 2 CEDU, 48 CDFUE, 14 § 2 Patto internazionale sui diritti civili e politici, 11 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Direttiva n. 2016/343/UE), oltre a distinguersi per il nome, si differenziano anche nel loro contenuto.

Mentre la Costituzione (art. 27) si concentra sul divieto di “considerare” colpevole l’imputato fintantoché non vi sia una condanna definitiva, la Direttiva 2016/343/UE – oltre a rimarcare lo stesso concetto (art. 3) – sottolinea anche la necessità di evitare la “presentazione” in pubblico dell’imputato come colpevole (artt. 4 e 5) per poi declinare ulteriori forme di garanzia: far gravare sulla pubblica accusa l’onere di provare la colpevolezza degli indagati e degli imputati (art. 6) e riconoscere a questi ultimi il diritto al silenzio e alla non autoincriminazione (art. 7).

Discende, in concreto, dagli articoli 4 e 5 della Direttiva 2016/343/UE ad esempio il non condurre l’imputato in manette (vedi Ilaria Salis in Ungheria), e in generale il non presentarlo in “tenuta carceraria”.

Gli Stati membri dell’Unione europea sono, quindi, tenuti ad adottare misure idonee a garantire che, nelle dichiarazioni pubbliche da parte delle autorità procedenti, non ci si riferisca alla persona indagata o imputata come colpevole.

Tra queste “dichiarazioni” rientrano anche le notizie diffuse col mezzo della stampa. Come osservato in dottrina, non è possibile «sottovalutare il ruolo svolto dalla notizia intesa come “sanzione atipica”», posto che «informare l’opinione pubblica in ordine ad un determinato processo significa […] produrre nel contesto sociale possibili effetti pregiudizievoli nei confronti dell’imputato» (P. P. Paulesu, La presunzione di non colpevolezza dell’imputato, Torino, 2009, p. 159).

Va detto che le ordinanze applicative delle misure cautelari (art. 292 c.p.p.) spesso recepiscono il contenuto di atti di indagine (ad es. intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni). Considerando che il contraddittorio è posticipato rispetto all’adozione della misura – anche se il d.d.l. Nordio prevede, in alcuni casi, un contraddittorio anticipato – è possibile che l’esercizio del diritto di difesa in sede di interrogatorio di garanzia o nell’eventuale riesame conduca all’attenuazione o alla revoca della misura.

Si comprende, quindi, come la divulgazione dell’intera ordinanza o di frammenti della stessa possa arrecare un pregiudizio alla presunzione di innocenza dell’indagato/imputato, facendolo percepire all’opinione pubblica come un soggetto colpevole.

Il contenuto della delega

Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi secondo la procedura di cui all’art. 31 L. 234/2012, ossia quella prevista per l’esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con legge di delegazione europea.

In particolare il Consiglio dei ministri è chiamato a «modificare l’art. 114 c.p.p. prevedendo, nel rispetto dell’articolo 21 della Costituzione e in attuazione dei principi e diritti sanciti dagli articoli 24 e 27 della Costituzione, il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343».

Mentre in origine, l’art. 114, comma 2, c.p.p. vietava, in linea generale, la pubblicazione, anche parziale, degli atti (di indagine) non più coperti dal segreto fino al momento della conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, l’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, aveva introdotto una postilla per effetto della quale fanno eccezione alla regola le ordinanze applicative delle misure cautelari di cui all’art. 272 c.p.p. (limitazione della libertà personale).

Posto che, in origine, la regola di cui all’art. 114 c.p.p. era stata introdotta, fuori dei casi di segreto investigativo, a tutela della neutralità psicologica del giudice dibattimentale ed era volta ad evitare che lo stesso potesse avere contezza degli atti processuali da fonti diverse dal fascicolo. La modifica introdotta dalla riforma Orlando non rispondeva a tale esigenza, ma era indirizzata a tutelare la riservatezza di terzi.

Va chiarito che la notizia dell’avvenuta applicazione della misura cautelare potrà essere portata a conoscenza dell’opinione pubblica a mezzo stampa. Ciò che, invece, non sarà più ammessa è la pubblicazione, integrale o per estratto, del testo del provvedimento.

Prime conclusioni

Il bilanciamento tra presunzione di innocenza dell’imputato e diritto all’informazione costituisce, da sempre, un tema caldo della giustizia penale.

Specie in un Paese abituato al sensazionalismo giudiziario, ed al contempo aggravato dal fatto che i processi hanno una durata abnorme: questo significa che dalla data della notizia a quella della sentenza definitiva, si può ben parlare di “ruolo svolto dalla notizia intesa come ‘sanzione atipica'”. Ancor più quando la notizia iniziale occupa le prime pagine, mentre l’eventuale assoluzione poche righe quasi occultate.

È innegabile che il divieto di pubblicazione del testo delle ordinanze cautelari (per intero o per estratto) rappresenti una misura idonea almeno in teoria a evitare che l’indagato/imputato venga presentato come colpevole all’opinione pubblica. Questo perché il provvedimento cautelare viene adottato inaudita altera parte. Ne consegue che potrebbe risultare gravemente dannosa la pubblicazione del provvedimento cautelare, considerando, inoltre, che tra le righe dello stesso compaiono integrali riferimenti ad atti di indagine, quali ad esempio frammenti delle trascrizioni delle intercettazioni.

Si potrebbe obiettare che, in caso di approvazione del d.d.l. Nordio, il quadro potrebbe in parte mutare dato che – oltre alla collegialità del giudice che dispone la custodia cautelare in carcere – è prevista, in taluni casi, l’instaurazione di un contraddittorio anticipato all’adozione delle misure cautelari. La proposta, tuttavia, riguarda i soli casi descritti nel secondo periodo dell’art. 274, lett. c), c.p.p., pertanto, in linea generale, il procedimento applicativo delle cautele di tipo personale non cambia del tutto.

Nonostante i buoni auspici e gli scopi “nobili” nelle dichiarazioni della forma, la stessa potrebbe comportare un maggiore vulnus alla presunzione di innocenza rispetto a quello derivante dalla diffusione del testo del provvedimento. Il giornalista, avendo il diritto-dovere di rendere nota la notizia, potrebbe venire indotto a parafrasare il contenuto del provvedimento cautelare facendo leva su alcuni aspetti che possono suscitare una maggiore eco mediatico.

In più, vi è un problema informativo: il giornalista che ha il diritto-dovere di rendere nota la notizia, senza il supporto “dell’atto” (ovviamente non coperto dal segreto istruttorio) si troverebbe a dover pubblicare un fatto (la notizia della misura cautelare) senza il supporto motivazionale argomentativo, il che di fatto corrisponderebbe ad un equipollente di “sentenza senza motivazione” e senza contestualizzazione.

In questo senso il danno per l’indagato/puntato sarebbe ontologicamente anche maggiore, come maggiore è il danno per il cittadino/lettore che viene privato di elementi essenziali alla sua informazione.

Il rischio in concreto quindi è che dietro esigenze chiare, nobili e legittime, di porre un limite alla “gogna mediatica” e soprattutto alla generazione di “sentenze della pubblica opinione” che possono condizionare l’equo processo, vi sia un intento – non troppo velato – di evitare che un procedimento con “l’imputato eccellente” venga nascosto all’opinione pubblica.

Un rischio tanto più grave quanto dilatato è il tempo tra l’inizio delle indagini, l’eventuale rinvio a giudizio e la sentenza definitiva.

Un lasso di tempo in cui vi sono eventi quali elezioni, consultazioni elettorali, contratti, appalti, in cui è essenziale che la pubblica opinione possa essere informata su fatti e atti rilevanti alla formazione del suo libero convincimento.

In questo senso rientra per altro senso l’eterno dibattito sul confine tra diritto di cronaca e privacy, che non può che essere elastico in funzione del ruolo pubblico della persona.

Ancora una volta sacrosante istanze di rispetto e di tutela del diritto non possono essere usate come “nobile schermo” all’oblio o all’impunità.


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