Una soluzione per la controversa obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale tributario
Sul Sole 24 Ore del 23 giugno scorso franco Gallo, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, rivendicava anche in ambito tributario il giusto processo, attraverso le tre regole del contraddittorio, della parità delle armi e della terzietà del giudice, imposte dall’articolo 111 della Costituzione.
In proposito Antonio Damascelli aggiungeva il 29 giugno sullo stesso quotidiano che la tutela differenziata del contribuente costituisce sul piano culturale il ritorno all’ancien regime, cioè ad una concezione del tributo riconducibile al potere del sovrano-persona.
Un argomento, questo, che richiama anche il sistema tributario prima di Cristo, nel periodo della tarda età repubblicana, quando i publicani gestivano la riscossione con un aggio fino al 45% e le giurie, composte dagli equites, denegavano giustizia non senza sarcasmo a coloro che denunciavano le malversazioni perpetrate in provincia dagli esattori.
Tornando ai nostri giorni, il riconoscimento del diritto al contraddittorio endoprocedimentale o preventivo in ambito tributario – un esempio paradigmatico della tutela differenziata cui il contribuente è attualmente destinato – è inserito nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea al titolo V (Cittadinanza), articolo 41, comma 2, lettera a), che contempla il diritto di ogni persona di essere ascoltata, prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio.
Al successivo titolo VII (Disposizioni generali), l’articolo 52 (Portata e interpretazione dei diritti e dei principi) prevede che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti riconosciuti dalla Carta devono essere previste dalla legge e devono rispettare il contenuto essenziale di detti diritti.
Il mancato adeguamento delle legislazioni statali alle norme e alla giurisprudenza comunitarie ha generato un vasto contenzioso, con una incredibile disparità di pronunce, sia di merito, che di legittimità.
Una soluzione al problema sembra poterla fornire il Consiglio di Stato, che in Adunanza Plenaria il 25 giugno scorso ha emesso la sentenza n. 9, statuendo il principio di diritto che il giudice amministrativo provvede in ogni caso a non dare applicazione ad un atto normativo nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione europea.
Si ricorda che la legge n. 241/1990, articolo 1, comma 1, attribuisce fondamentale rilievo ai principi dell’ordinamento comunitario e che tale norma è sicuramente applicabile alla matera tributaria. Con l’entrata in vigore il 1° dicembre 2009 del Trattato di Lisbona, il contraddittorio endoprocedimentale è entrato a far parte dei principi di diritto comunitario, trovando formale riconoscimento nella fonte comunitaria primaria.
Purtroppo, la più recente giurisprudenza è soggetta alla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 24823/2015, che è pervenuta ad una tutela endoprocedimentale differenziata, a fronte di un medesimo procedimento accertativo promosso in relazione a tributi diversi, diversificando il regime fra tributi armonizzati e non armonizzati, oltre che fra tributi accertati “a tavolino” e tributi accertati mediante verifica nei locali del contribuente, riconoscendo la tutela della nullità dell’avviso di accertamento per il mancato rispetto del contraddittorio preventivo soltanto per i tributi armonizzati o per quelli accertati previa verifica, oltre ai casi specificamente previsti dal legislatore nazionale.
Al punto 6, sub 3.1, di questa sentenza della Cassazione il principio di “equivalenza”, enunciato al punto 82 della sentenza Corte di Giustizia Europea 3 luglio 2014 in causa C-129/13 e C-130/13, viene relegato a specifiche ipotesi sancite dal diritto nazionale per i tributi armonizzati.
Invece, il principio di “equivalenza” è assolutamente generale e stabilisce che per la violazione di un principio di diritto dell’Unione è il diritto nazionale a stabilirne le conseguenze, purchè i provvedimenti adottati siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili.
Per l’ambito amministrativo tributario il giudice comunitario ha ribadito il concetto nella sentenza 9 novembre 2017, causa C-298/16, al punto 29, dove ha precisato che – in mancanza di una disciplina dell’Unione sull’organizzazione amministrativa degli Stati membri – spetta all’ordinamento giuridico interno di ogni Stato, in virtù del principio di autonomia processuale degli stessi, stabilire le modalità procedurali dei ricorsi, intesi a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai contribuenti, in forza delle norme di diritto dell’Unione, a condizione, tuttavia, che dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi ricorsi di natura interna.
In sostanza, il principio di “equivalenza” è espressione dell’analogia legis e garantisce assoluta uniformità di conseguenze nell’ambito del diritto nazionale, per la violazione di un principio di diritto nell’ambito comunitario. Non v’è dubbio, infatti, che l’analogia possa operare per le norme tributarie procedurali, che regolano l’accertamento e la riscossione. Sulla base di tale principio, in assenza di specifica disciplina comunitaria, la tutela dei diritti riconosciuti al singolo dal diritto comunitario non può essere meno favorevole di quella garantita a diritti analoghi riconosciuti dal diritto interno. Insomma, tale principio evita il rischio che situazioni giuridico-soggettive di fonte comunitaria siano tutelate in maniera più restrittiva rispetto ad analoghe situazioni di diritto interno.
La citata sentenza della Cassazione a Sezioni Unite giunse alla conclusione che nell’ordinamento nazionale non esiste un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale, che invece esiste nell’ordinamento comunitario, e invocò un intervento del legislatore, che finora non c’è stato.
Sulla base di quanto premesso, in conseguenza cioè del principio della disapplicazione delle norme statali in contrasto con quelle comunitarie, elaborato dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, e del principio di equivalenza, elaborato dalla Corte di Giustizia Europea, una soluzione al problema è possibile.
Va disapplicata, anche in ambito tributario, ogni norma del diritto nazionale in contrasto con i principi del diritto europeo, garantendo uniformità di ricadute procedurali e/o sanzionatorie per la violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale.
Il nostro ordinamento contempla una pluralità di nomofilachie, affidate ai tre organismi della magistratura ordinaria, amministrativa e contabile. I confini tra giurisdizione ordinaria e amministrativa sono diventati negli ultimi anni sempre più labili, fino a divenire impercettibili.
E’ auspicabile, quindi, che ai sensi dell’art. 374 del codice di procedura civile le Sezioni semplici rimettano nuovamente alle Sezioni Unite della Cassazione il problema del riconoscimento del diritto generalizzato al contraddittorio endoprocedimentale in ambito tributario, per mancata condivisione di tale principio di diritto, in merito stabilito dalle Sezioni Unite, considerato anche che la Corte Costituzionale ha preferito non pronunciarsi sulla questione per ben tre volte.
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