Unione dei Mercati dei Capitali nell’Eurozona: guardare oltre il benchmark americano
L’Unione Finanziaria Europea, che prevede l’affermazione dell’Unione dei Mercati dei Capitali, ha ricevuto un’attenzione particolare nel processo descritto dal Report dei 5 Presidenti, volto a “Completare L’Unione economica e monetaria dell’Europa” e dal “Libro Verde” presentato dalla Commissione Europea. L’Unione dei Mercati dei Capitali è infatti vista come fondamentale per ottenere un vero unico mercato monetario all’interno dell’area euro. Nonostante il progetto sia ambizioso e i suoi vantaggi per l’economia oggettivi, il modello delineato non è esente da critiche, in quanto sembra del tutto emulare quello da tempo consolidatosi negli Stati Uniti d’America. La Commissione Europea difatti non sembra prendere debitamente in considerazione i rischi insiti in un tale modello e le conseguenti implicazioni per l’Eurozona. Appare quindi indispensabile che l’Unione dei Mercati dei Capitali venga basata sin dalla sua creazione su fondamenta più solide in materia di corporate governance, col fine di incoraggiare gli investimenti a lungo termine e un pieno ed effettivo allineamento tra gli interessi del management e degli azionisti.
L’obiettivo di un’Unione Economica e Monetaria all’interno del panorama Europeo, capace di garantire allo stesso tempo la stabilità dei prezzi, un mercato unico, una prosperità condivisa, l’occupazione e un sostenibile tasso di crescita, è stato inizialmente consacrato dal Summit del 1969, e da quel momento è diventato uno degli scopi principali dell’Unione Europea. Nonostante i diversi risultati significativi che si possano annoverare in materia dal 1969 a questa parte, nel giugno del 2015 il famoso Report dei 5 Presidenti ha comunque apertamente ammesso che ancora molto deve essere fatto per un’”autentica ed equa” Unione Monetaria. I 5 Presidenti quindi si impegnano a delineare un piano d’azione per i prossimi anni, al fine di raggiungere il desiderato obiettivo, e sono altresì convinti che significativi progressi debbano essere apportati simultaneamente a diverse sfere d’influenza dell’Unione: economica, finanziaria, fiscale e politica. Questo piano d’azione si basa sul principio per cui le diverse aree sono considerate mutualmente interdipendenti e per tanto necessitano di uno sviluppo parallelo e organico.
In un momento in cui i finanziamenti bancari stentano a ripartire, anche a causa della generale volontà delle banche di diminuire il loro livello di esposizione al debito, in cui i bilanci bancari devono ancora pienamente smaltire l’ammontare dei “non-performing loans” e in cui appaiono necessarie fonti di investimento a lungo termine per la crescita e al tempo stesso la formazione di posti di lavoro dell’Unione Europea, l’Unione dei Mercati dei Capitali, così come descritta nel Report dei 5 Presidenti e nel “Libro Verde” della Commissione Europea, sembra essere una efficace risposta e un’adeguata soluzione. Il pensiero di fondo che emerge da questi documenti è che un mercato dei capitali integrato e avanzato sarebbe capace di offrire nuove e diversificate fonti, non solo di risorse economiche, ma anche di strumenti di “risk management”, di cui beneficerebbero soprattutto le piccole e medie imprese. Secondo uno studio presentato dalla Commissione Europea, tra il 2008 e il 2013 le imprese dell’Unione Europea avrebbero potuto beneficiare di ulteriori 90 miliardi di euro di risorse finanziarie se fosse esistito un mercato dei capitali maturo e efficiente nell’Eurozona.
La Commissione riconosce altresì l’importante ruolo di un processo di regolamentazione al fine di raggiungere l’obiettivo di un efficiente funzionamento del mercato finanziario, ma allo stesso tempo sembra che questo ruolo sia particolarmente limitato, in quanto si aspetta che il mercato giungerà a una tale efficienza tramite il suo stesso funzionamento. Soprattutto alla luce delle crisi finanziarie e dei fallimenti dei mercati, l’assunzione che il mercato sia da solo capace di trovare soluzioni per la creazione e il funzionamento dei mercati dei capitali, capaci di offrire un efficiente allocazione di risorse nell’Unione Europea, appare necessitare di un’attenta analisi critica. Sembrerebbe infatti che l’idea riguardante lo sviluppo di un Mercato Unico dei Capitali non tenga in debita considerazione gli effetti macroeconomici estremamente negativi legati al comportamento degli operatori di mercato, soprattutto in economie con strutture mature di mercati finanziari, come gli Stati Uniti, che sono stati appunto assunti come modello di riferimento dalla Commissione. È quindi possibile riscontrare nel progetto avanzato dai 5 Presidenti, e più dettagliatamente ripreso dal “Libro Verde”, un approccio basato esclusivamente sugli effetti a breve termine, e nessun riferimento ai dibattiti accademici e di corporate governance riguardanti le problematiche insite nel comportamento delle imprese operanti nelle economie basate su un efficiente funzionamento del mercato dei capitali.
L’approccio volto alla pura massimizzazione del valore per gli azionisti, capace di innescare un non sano atteggiamento delle imprese, si origina dal disallineamento che sussiste tra gli interessi dei managers e quelli dei diversi stakeholder, tra cui pure di quello degli azionisti, che si verifica all’interno delle strutture di controllo e gestione delle società quotate.
Nel “Libro Verde” la Commissione elegge il modello statunitense come benchmark per un sistema finanziario maggiormente diversificato e profondo, capace di fungere come intermediario tra i risparmiatori e coloro che necessitano di risorse per i loro investimenti e progetti di lungo termine. La miope visione dei mercati finanziari, esclusivamente come istituzioni in grado di fornire fondi per investimenti capaci di generare crescita e occupazione, non rispecchia pienamente la realtà vigente negli US. I mercati dei capitali di oltreoceano infatti non sono solo uno strumento di intermediazione di cui si servono le società per attingere risorse finanziarie, in quanto questi anche influenzano la disciplina delle aziende alla luce del principio di creazione di valore per gli azionisti, e in questo modo hanno un impatto decisivo sulle strategie e sulle decisioni di investimento delle aziende. Tutto ciò può essere ricondotto al famoso “agency problem” insito nelle economie che si basano sul funzionamento dei mercati finanziari, dove la relazione tra agente e principale è regolata da determinati meccanismi di mercato e pratiche di governance. La caratteristica cardine del meccanismo di governance comunemente adottato è che l’ammontare di valore che il management è stato capace di generare per gli azionisti è basato sulla performance nel mercato delle azioni della società. Uno dei più importanti risultati delle ricerche inerenti l’impatto economico e sociale di questo approccio di corporate governance è appunto la scoperta che le aziende che sono più di tutte impegnate nella massimizzazione del valore per gli azionisti tendono a ridurre gli investimenti e la forza lavoro così da poter distribuire più risorse agli azionisti, così facendo generando disoccupazione, riduzione del livello dei salari e anche minori investimenti. Queste conclusioni sono state altresì verificate da istituzioni internazionali quali l’OCSE e da istituti di regolamentazione quali la Banca di Inghilterra.
Allo stesso tempo, i mercati finanziari sono anche un luogo in cui, su base quotidiana, si definisce il valore delle azioni e quindi della società emittente. Non si può di certo affermare che queste valutazioni, insite nei prezzi di mercato, siano esclusivamente fondate su reali fattori economici concernenti le aziende a cui si riferiscono, e difatti proprio queste valutazioni sono state la causa di periodi di euforia finanziaria, accompagnate da profonde recessioni susseguitesi dagli anni ’80 a oggi, periodo in cui il sistema di goverance predominante è essenzialmente basato sul concetto di creazione di valore per gli azionisti.
Nonostante la Commissione sembri non tenere debitamente conto del rischio insito nella pura emulazione del sistema Americano, non si possono comunque negare i significativi benefici economici di cui le aziende e gli investitori dell’Unione Europea potranno beneficiare se fossero realmente rimossi la frammentazione e le barriere a cui si trovano di fronte le aziende nel processo di aumento del capitale. Ciò potrebbe diventare realtà in primo luogo riducendo gli incentivi che inducono le società a preferire il debito all’emissione di nuovo capitale, e in secondo luogo avviando un processo di armonizzazione di tutta la regolamentazione riguardante il processo di insolvenza e le materie fiscali, così come anche sostenuto dal Meccanismo Europeo di Stabilità e dalla Deutsche Börse.
Oggigiorno, la moneta unica dell’Eurozona sembra davvero poter beneficiare dello straordinario supporto che un mercato unico dei beni, dei servizi, del lavoro e della finanza sembra essere capace di offrire in termini di crescita e stabilità. Indubbiamente una precedentemente affermatasi Unione dei Mercati dei Capitali avrebbe giovato per un più celere ritorno alla normalità, ma non si può comunque ignorare che il “Libro Verde” in materia di Mercato Unico dei Capitali presenti una visione troppo semplicistica e ottimista, soprattutto nel prendere come modello di riferimento il mercato statunitense, nonostante sia risaputo che gli stessi gestori di fondi e gli istituti di regolamentazione siano altamente critici in merito alla disfunzionalità insita nel meccanismo di corporate governance su cui è imperniato. Per questo l’Unione dei Mercati dei Capitali all’interno dell’Unione Europea dovrebbe essere basata su più solide fondamenta, capaci di incoraggiare gli investimenti e stimolare un nuovo approccio in tema di corporate governance, volto non solo a soddisfare gli interessi degli azionisti, ma di tutti gli stakeholder coinvolti.
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Claudia Di Guardo
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