Usucapione del diritto di servitus non tollendi di una costruzione edificata in violazione delle distanze legali
Per anni la giurisprudenza ha ritenuto di dover risolvere la questione circa la usucapibilità di una servitù avente ad oggetto la conservazione di una costruzione edificata a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile e dai regolamenti comunali, allo stesso modo in cui si dava risposta alla questione della derogabilità delle stesse norme a mezzo negozio giuridico predisposto delle parti. Ciò in quanto si riteneva che si trattasse di due modi equivalenti attraverso cui edificare legittimamente a distanza inferiore a quella prevista dalla legge.
Sarebbe stato illogico, difatti, a parere della giurisprudenza, ammettere la derogabilità a mezzo contratto delle suindicate norme ed escludere, invece, la possibilità di derogare alle stesse una volta acquisito per usucapione il diritto alla conservazione di una costruzione eretta in violazione delle stesse.
Tuttavia, in merito alla possibilità di derogare alle disposizioni normative in tema di distanze tra edifici, sia a mezzo acquisto per usucapione della servitù, sia a mezzo contratto, in seno alla giurisprudenza si registravano opinioni contrastanti.
Vi era un primo orientamento secondo cui le norme in tema di distanze, dettate essenzialmente nell’interesse generale e pubblico, dovessero ritenersi non derogabili; un secondo orientamento, invece, era del parere che tali norme, trovando la propria fonte nel codice civile, non potessero che essere state previste a tutela di interessi meramente privatistici e che, pertanto, ben potessero essere derogate convenzionalmente o attraverso la costituzione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella legale.
Successivamente, la giurisprudenza ha mutato orientamento ed è pervenuta alla conclusione che la usucapibilità del diritto a tenere un immobile a distanza inferiore a quella legale non potesse essere equiparato alla stipulazione pattizia di una deroga in tal senso, in quanto istituti previsti dall’ordinamento giuridico a tutela di esigenze diverse.
In particolare, a differenza di quanto avviene con riferimento alla possibilità di deroga convenzionale alle norme del codice civile e dei regolamenti comunali, la ratio sottesa all’istituto dell’usucapione è da individuarsi nell’esigenza di rendere stabili i rapporti giuridici in relazione al decorso del tempo.
Per tali motivi si è giunti, ad oggi, ad ammettere che dalla norma codicistica o da quella integrativa discenda il diritto soggettivo del vicino di pretendere che il confinante edifichi a distanza non inferiore a quella prevista, che le parti non possano convenzionalmente derogare alle dette disposizioni normative, e che, tuttavia, l’avvenuta edificazione (purché si tratti di opere permanenti e visibili), mantenuta con i requisiti di legge per oltre venti anni, dia luogo al verificarsi dell’usucapione, da parte del confinante, del diritto a mantenere l’immobile a distanza inferiore a quella legale.
Se così non fosse, infatti, si dovrebbe ammettere l’esistenza, nei rapporti tra privati, di una perpetua instabilità, con la possibilità del vicino di agire in ogni tempo per il rispetto delle distanze.
Tuttavia, si precisa, che secondo quanto disposto dall’art. 1061 c.c., possono costituire oggetto di usucapione esclusivamente le servitù apparenti e cioè quelle caratterizzate dalla presenza di opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.
Elemento imprescindibile, pertanto, affinché possa ipotizzarsi l’acquisto per usucapione del diritto a mantenere una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali, è che esista una costruzione visibile e permanente, destinata in modo non equivoco all’esercizio della servitù e visibile dal fondo sul quale l’onere grava, sicché sia possibile presumerne la conoscenza da parte del proprietario di esso e porre, a base dell’usucapione, la sua inerzia per il periodo di tempo dalla legge prescritto per l’acquisto della servitù.
Dunque, in presenza di una costruzione visibile e permanente, potrà acquisirsi per usucapione una servitù, con il decorso del termine di venti anni dall’epoca della costruzione della predetta costruzione (perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l’acquisto del diritto per decorso del tempo).
Successivamente, peraltro, la giurisprudenza è giunta persino ad affermare che il carattere abusivo delle opere realizzate non osta alla usucapione della servitù consistente nel mantenere le opere erette in violazione delle distanze legali tra edifici.
È stato ritenuto, infatti, dalla Corte di Cassazione, che “è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso “ad usucapionem” (cfr. Cass. Civ., Ord. n. 1395 del 19.01.2017).
Ciò posto, resta da chiarire come evitare che il proprietario del fondo finitimo acquisti per usucapione la servitù a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale.
A tal proposito, si è ritenuto che fosse necessario, per il proprietario della costruzione eretta per prima, l’esercizio dell’azione che compete al titolare di un diritto di proprietà al fine di ottenere l’accertamento giudiziale dell’inesistenza dei diritti affermati da altri sul bene oggetto del suo diritto: l’actio negatoria servitutis.
Attraverso la proposizione di detta domanda, infatti, l’attore, denunciata la violazione della distanza legale da parte del proprietario del fondo vicino, potrà ottenere l’arretramento della costruzione di quest’ultimo, salvaguardando il proprio diritto di proprietà dalla costituzione di una servitù di contenuto contrario al limite violato, impedendo di fatto tanto l’esercizio attuale del detto diritto reale minore, quanto il suo acquisto per usucapione (cfr. Cass. Civ., sent. n. 10005 del 15.05.2015).
In seno al predetto giudizio, l’onere probatorio sarà così distribuito: il proprietario che lamenti la realizzazione di un manufatto su un fondo limitrofo a distanza non regolamentare dovrà dare prova solo del fatto della costruzione e di quello della dedotta violazione, mentre il convenuto, che affermi di avere acquisito per usucapione il diritto di mantenere il suo fabbricato a distanza inferiore a quella legale, deve dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’acquisto a titolo originario, vale a dire l’apparenza della servitù ex art. 1061 c.c. ed il decorso di venti anni necessario a far maturare la fattispecie (cfr. Cass. Civ., sent. n. 15041 dell’11.06.2018).
In ultimo va sottolineato che solo la proposizione dell’actio negatoria servitutis, ovvero il riconoscimento dell’usucapiente dell’altruità del diritto, sono idonei a interrompere il possesso ad usucapionem, non essendo idonea a tal scopo la missiva di costituzione in mora, trattandosi di diritti reali e non di diritti di credito.
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