Usura: la sommatoria degli interessi moratori con i corrispettivi

Usura: la sommatoria degli interessi moratori con i corrispettivi

Nel settore del contenzioso bancario, il criterio del “cumulo” o “sommatoria” è un motivo di doglianza la cui ricorrenza è di palmare rilevanza per l’operatore del diritto (bancario); il criterio de quo deriverebbe direttamente dal noto arresto contenuto nella sentenza della Suprema Corte n. 350/2013, ma, in realtà, l’applicazione dello stesso costituisce la lettura più rudimentale ed aberrante possibile di tale pronuncia, che come tale è stata abbondantemente ripudiata dalla giurisprudenza di merito. Si accennerà quindi solo brevemente alle considerazioni critiche già sollevate verso tale arresto della Suprema Corte. È già stato, infatti, correttamente evidenziato dalla dottrina e giurisprudenza, in contrario avviso, come gli “interessi di mora” trovino la loro giustificazione al di fuori del sinallagma contrattuale del corrispettivo per la prestazione di denaro o di altra cosa mobile, essendo convenuti esclusivamente a fronte di colpevole inadempimento del debitore: essi hanno invero natura risarcitoria a fronte della mancata o irregolare prestazione del prenditore del credito.

E’ sufficiente al riguardo prendere in considerazione la diversa collocazione sistematica degli istituti de quibus: gli interessi corrispettivi sono collocati nelle disposizioni specifiche concernenti il contratto di mutuo e sono disciplinati come fisiologica conseguenza dell’erogazione del finanziamento (art. 1815 c.c.), quale naturale effetto della frugiferità del denaro, mentre gli interessi di mora (sono collocati) nelle più generali disposizioni concernenti l’inadempimento delle obbligazioni e riguardano, quindi, una fase patologica del negozio giuridico (art. 1234 c.c.).

Tale distinzione è stata peraltro percepita altresì dai Decreti Ministeriali (che trimestralmente rilevano il TEGM degli interessi corrispettivi) laddove, sin dal primo emesso, è precisato che i tassi effettivi globali medi non sono comprensivi degli interessi di mora; questi ultimi sono altresì esclusi dal calcolo, ed anche dalle Istruzioni impartite dalla Banca d’Italia, Organo tecnico individuato dal Legislatore per la rilevazione del tasso medio ai sensi della Legge antiusura.

Il tasso di mora, poi, è stato sistematicamente escluso dalla rilevazione del TEGM nelle Istruzioni per la rilevazione del Tasso Effettivo Globale Medio ai sensi della Legge sull’usura”, periodicamente aggiornate dalla Banca d’Italia.

Il ragguaglio pertanto del tasso contrattualmente convenuto (TEG), relativamente anche alla penale di mora, con quello rilevato dalla Banca d’Italia, senza detta penale (TEGM), è pertanto logicamente erroneo perché esegue un confronto tra dati non omogenei.

La Banca d’Italia, con i “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura”, pubblicati il 3 luglio 2013, dopo quindi la richiamata sentenza della Suprema Corte, ha esplicitato ulteriori ragioni per cui gli interessi di mora debbono ritenersi esclusi dal sistema introdotto dalla Legge n. 108/96, chiarendo come da tale esclusione (coerente peraltro con la disciplina comunitaria) conseguano, tra l’altro, effetti più favorevoli al debitore: “Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti essendo gli interessi moratori più alti per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccesivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora”.

Ed invero l’ampio dibattito sviluppatosi sul tema ha condotto peraltro ad un approdo oramai sicuro e ciò non solo per la citata ragione della palese incongruità del raffronto del TAEG con il TEGM, due aggregati diversamente composti, quanto, altresì, sulla base della accennata differenza ontologica tra tasso corrispettivo e penale di mora.

E ciò anche in forza di un non celato dissenso con il richiamato arresto della Suprema Corte in ordine alla natura degli interessi di mora.

Peraltro anche il Tribunale di Roma ha oramai preso sicura posizione sulla materia e, con ineccepibile chiarezza, ha così chiosato i seguenti principi e corollari, oramai ampiamente condivisi, dopo l’inevitabile confusione che la sentenza della Suprema Corte aveva indotto:

Gli interessi moratori rientrano tra le prestazioni accessorie ed eventuali, sinallagmaticamente riconducibili al futuro inadempimento e destinate ad assolvere alla funzione di pressione finalizzata alla realizzazione del corretto adempimento del contratto, in chiave sanzionatoria.

In tema di raffronto con il tasso soglia antiusura, la diversità di natura e funzione delle due categorie di interessi corrispettivi ed interessi moratori non ne consente il mero cumulo, né la Cassazione ha affermato un simile principio con la nota sentenza n. 350/2013. Vieppiù, anche ove quest’ultima avesse realmente stabilito la possibilità del cumulo, il precedente sarebbe comunque da disattendere, per quanto autorevole, in virtù della diversità ontologica e funzionale dei due tipi di interessi.

L’impianto normativo in materia di usura fa riferimento alle prestazioni di natura “corrispettiva” gravanti sul mutuatario e collegate allo svolgimento fisiologico del rapporto, sicché gli oneri che non partecipano di tale natura corrispettiva non rilevano al fine dell’individuazione del tasso “effettivo” da raffrontare alla soglia”

– Quando al mutuo acceda una clausola di salvaguardia, resta esclusa alla radice l’usurarietà del tasso pattuito.

– In caso di superamento del tasso soglia per effetto dell’applicazione degli interessi di mora, la soluzione va ricercata nella riconduzione di questi ultimi nei limiti del tasso soglia ai sensi degli artt. 1419, comma 2 cc e 1339 cc, trattandosi al più di usurarietà sopravvenuta” (Trib. Roma, ord. 16 settembre 2014).

Conforme, la recente pronuncia del Tribunale di Napoli nord, sentenza n. 939 del 20 giugno 2016: ”Addizionare il tasso moratorio al tasso corrispettivo e sottoporre al vaglio del superamento del tasso soglia il dato derivante dalla somma aritmetica dei tassi significherebbe non cogliere la differente natura delle due previsioni pattizie come sopra richiamate che restano autonome l’una dall’altra – almeno con riferimento al profilo del rispetto del tasso soglia – e solo occasionalmente interdipendenti atteso che “in materia finanziaria l’interesse, nel momento stesso in cui si rende disponibile (ovvero alla scadenza di pagamento), diventa capitale”.

Irrilevante ai fini dello scrutinio sull’usura è la sommatoria del tasso corrispettivo e del tasso usurario, atteso che detti tassi sono dovuti in via alternativa tra loro, e la sommatoria rappresenta un “non tasso” od un “tasso creativo”, in quanto percentuale relativa ad interessi mai applicati e non concretamente applicabili alla parte mutuataria.”.

Peraltro, sempre il Tribunale di Roma con un’altra perspicua pronuncia, affrontando i molteplici aspetti della materia, ha tra l’altro rilevato: (….) tuttavia, il riferito orientamento giurisprudenziale, benché autorevole [Cass. Civ. n. 350/2013 – n.d.r.], non appare condivisibile in quanto sembra trascurare la diversa funzione assolta dagli interessi corrispettivi e dagli interessi moratori, i primi, costituenti il corrispettivo previsto per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta (cfr. Cass. 22 dicembre 2011, n. 28204), i secondi, rappresentanti una liquidazione anticipata, presuntiva e forfettaria del danno causato dal ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria;

– infatti, il tasso di mora ha un’autonoma funzione risarcitoria per II fatto, imputabile al mutuatario e solo eventuale, del ritardato pagamento e la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione propria degli interessi corrispettivi (cfr. Trib. Milano, 22 maggio 2014; Trib. Verona, 9 aprile 2014; Trib. Brescia. 16 gennaio 2014);

( … ) – non appare decisivo, in senso opposto, il dettato dell’art. 1, comma 1, d.l. n. 394/00, conv., con modif., nella l.n. 24/01, secondo cui ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento, emanato al dichiarato fine di evitare effetti pregiudizievoli in ordine alla stabilità dei sistema creditizio nazionale che sarebbero potuti derivare dall’orientamento giurisprudenziale (v. Cass. n. 14899/00, cit.) propenso a riconoscere rilevanza, in relazione agli effetti previsti dalle richiamate norme, alla sopravvenuta usurarietà dei tassi di interesse, benché legittimi al momento della conclusione del contratto di mutuo, per effetto della variazione medio tempore del c.d. tasso-soglia.

– sotto altro profilo, occorre rilevare che i decreti del Ministro dell’economia e delle finanze con cui, in attuazione della l.n. 108/96, sono periodicamente individuati i tassi effettivi globali medi rilevanti ai fini dell’usura non tengono in considerazione gli interessi moratori, come chiarito dalla Banca d’Italia con comunicato del 3 luglio 2013 secondo il quale gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, in ragione del fatto che trattasi dl oneri eventuali la cui debenza ed applicazione cadono solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente:

– appare, pertanto, del tutto incoerente e illogico prendere in considerazione, ai fini dell’accertamento dell’usurarietà dei tassi di interesse – laddove si sostenga la rilevanza a tali fini anche di quelli moratori -, soglie determinate con riferimento ai soli interessi corrispettivi e a tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito;

– anche l’interpretazione del dato normativo condotta sotto il profilo più strettamente economico conduce, dunque, alla conclusione della impossibilità di attribuire rilevanza, ai fini dell’usura, agli interessi moratori (Trib. Roma, 7 maggio 2015 Sez IX – G.U Dott. Catallozzi).

Del tutto consonante risulta l’ulteriore pronuncia, con il Tribunale di Roma ha rimarcato, in contrasto con l’orientamento della Suprema Corte, che “il tasso di mora ha una autonoma funzione quale penalità per il fatto, imputabile al mutuatario e solo eventuale, del ritardato pagamento, e quindi la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione  propria degli interessi corrispettivi,” rigettando integralmente l’opposizione (Trib. Roma, 2 ottobre 2015) ed ancora di diversità ontologica tra interessi corrispettivi e quelli “di mora” argomenta il precitato Tribunale con ulteriore decisione (Trib. Roma 25 giugno 2015).

Ancor più recentemente risultano emesse, sempre dal Tribunale di Roma, in particolare dalla 9a Sezione, le seguenti ulteriori pronunce, tutte espressamente adesive ai principi della differenza ontologica tra interessi corrispettivi e quelli di mora, della non cumulabilità degli stessi e della liceità dell’applicazione della penale di mora all’intero importo della rata scaduta: Trib. Roma, 11 maggio 2016 n. 9553/2016, Trib. Roma, 11 maggio 2016 n. 9554/2016 e Trib. Roma, 12 maggio 2016, n. 9611/2016.

La ampia e non completa rassegna che precede fornisce la misura della totale infondatezza della tesi basata sulla pretesa usurarietà del tasso “di interesse complessivo”, ovvero del T.E.MO. (acronimo di Tasso Effettivo di Mora, neologismo funzionale alla teorica del “cumulo”, ma concetto ignoto alla tecnica computistica ufficiale).

Ma v’è di più, e mi intendo riferire a quelle pronunce che, parimenti rifiutando il ridetto criterio del “cumulo”, lo hanno dapprima definito “maccheronico” ed “irrazionale (ex multis Trib. Napoli 15 aprile 2014), poi “un ‘non tasso’ od un ‘tasso creativo’, in quanto percentuale relativa ad interessi mai applicati e non concretamente applicabili al mutuatario” (Trib. Catania 14 maggio 2015) ed infine hanno ritenuto di sanzionare le domande così fondate con la condanna dell’istante, per “abuso del processo”, ex art. 96 c.p.c., alla stregua delle del tutto condivisibili considerazione: “che le due voci debbano essere sommate è invece fantasiosa deduzione della parte che non trova alcun riscontro nel testo della decisione [della Corte di Cassazione n. 350/2013 – n.d.r.] e sostenere il contrario, ostinandosi a sostenerlo nonostante la precisa e puntuale presa di posizione della banca ( …. ) è sintomo di ignoranza inescusabile del dettato normativo e dell’evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia che viene citata a sproposito o di dolo processuale nel tentativo di indurre in errore il giudicante sul fatto che una certa sentenza della Suprema Corte abbia detto una cosa che in realtà non ha mai detto. ( … ). Tale condotta processuale merita di essere opportunamente sanzionata ex art. 96 c.p.c. anche in considerazione del fatto che, tale modo di affrontare la materia bancaria, denota la volontà di creare un contezioso seriale in questa materia che è invece estremamente tecnica e complessa e che, colpa anche della gravissima congiuntura economica che ha colpito famiglie ed imprese, meriterebbe di essere trattata con diverso approccio processuale” (Trib. Padova 10 marzo 2015 e, conformi, Trib. Padova 17 febbraio 2015; Trib. Verona 23 aprile 2015, Trib. Torino 17 settembre 2014, Trib. Reggio Emilia 6 ottobre 2015 e Trib. Verona 24 marzo 2015).

E ancora, il Tribunale di Trento con sentenza del 18 febbraio 2016: “La verifica della usurarietà c.d. oggettiva non può essere condotta con il criterio della sommatoria dei tassi corrispettivi e moratori. Tale modo di procedere è, infatti, del tutto illogico sotto il profilo sia giuridico che matematico, atteso che gli interessi corrispettivi e quelli moratori sono destinati non a cumularsi, ma ad essere applicati in via alternativa, a condizioni e con funzione diverse gli uni rispetto agli altri: i primi, se ed in quanto vi sia inadempimento, con funzione di risarcimento del danno; i secondi, nella fisiologia del rapporto, quale corrispettivo dell’erogazione del finanziamento. (…) Gli interessi moratori devono sottostare applicazione della legge antiusura e non possono essere ricondotti nell’alveo delle clausole penali (con conseguente applicazione dell’art. 1384 cc), atteso che la ratio del sistema congegnato dalla L. n. 108 del 1996, si fonda su una oggettivizzazione della verifica dell’usura. (…) Nella verifica dell’usura compiuta tenendo conto anche degli interessi moratori, il tasso soglia non può essere incrementato di quel 2,1% risultante da indagine campionaria della maggiorazione mediatamente applicata in caso di mora compiuta dalla Banca d’Italia, che è stata effettuata per un solo anno (2001/02), ed è ormai risalente nel tempo.” Consonante il Tribunale di Nola, con l’ordinanza del 23 marzo 2016 :” L’usurarietà degli interessi corrispettivi o moratori va scrutinata con riferimento all’entità degli stessi, e non già alla sommatoria dei moratori con i corrispettivi, atteso che detti tassi sono dovuti in via alternativa tra loro, e la sommatoria rappresenta un “non tasso” od un “tasso creativo”, in quanto percentuale relativa ad interessi mai applicati e non concretamente applicabili al mutuatario.”(Conforme Tribunale di Bergamo, Dott. Tommaso Del Giudice, con la sentenza del 25 febbraio 2016, n. 734.).

Per concludere, sempre nel solco del consolidato orientamento giurisprudenziale sin qui rappresentato, si è espresso – in maniera lapidaria – sul tema della sommatoria fra tasso di mora e tasso corrispettivo, anche il Tribunale di Como che “esclusa la possibilità di effettuare, come erroneamente postulato dall’opponente, una mera sommatoria di entità differenti, al fine di attuare il principio affermato dalla citata Suprema Corte (n. 350/2013) ed applicato dalla giurisprudenza di merito più recente (Tribunale di Chieti 23 aprile 2015 n. 230; Tribunale di Roma ord. 27 febbraio 2015; Tribunale di Bari ord. 12 dicembre 2014), va considerato quanto segue: anche laddove le parti abbiano determinato, come nel caso di specie, il tasso di interesse moratorio in una misura percentuale maggiorata rispetto al tasso di interesse corrispettivo, ciò assume rilievo esclusivamente sotto il profilo della modalità espressiva adottata per la quantificazione del tasso, ma  non implica, sul piano  logico  giuridico, una sommatoria dell’interesse corrispettivo con quello moratorio, dato che quest’ultimo, sia  pure determinato in termini di maggiorazione  sull’interesse corrispettivo,, comunque si sostituisce al  primo; (…) ne consegue che un cumulo del tasso corrispettivo e di quello di mora, rileva non in riferimento a una teorica somma numerica di detti tassi da raffrontarsi con it tasso soglia,  ma con riferimento alla concreta somma degli effettivi interessi (corrispettivi e  di mora) conteggiati a carico del mutuatario, al fine  di verificare  se il conteggio complessivo degli interessi applicato in  seguito  all’inadempimento del  mutuatario e alla conseguente applicazione degli interessi di mora, sommati agli interessi corrispettivi, determini un importo complessivo a titolo di interessi che, rapportato alla quota capitale, comporti in termini percentuali un superamento del tasso soglia” (in tale senso, da ultimo Tribunale di Milano, sent. n.  11997/2015 del 27 ottobre 2015).

Dr. Antonello Amari

Praticante Avvocato dell’Ordine di Roma


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Antonello Amari

Praticante Avvocato abilitato
Pr. Avvocato abilitato dell'Ordine di Roma; Amministratore di Condominio; Mediatore Civile e Commerciale; Collaboratore delle seguenti riviste: "Giurimetrica", edita da Alma Iura s.r.l.; rivista online "Exparte Creditoris"; rivista online "Il caso.it".

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