Usura originaria e sopravvenuta alla luce della pronuncia delle SS.UU. n. 24675/2017

Usura originaria e sopravvenuta alla luce della pronuncia delle SS.UU. n. 24675/2017

L’usura è la pratica consistente nel farsi fornire o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità , interessi considerati illegali, socialmente riprovevoli e tali da rendere il loro rimborso molto difficile o impossibile. L’usura è sanzionata sia sul profilo civilistico che penalistico e trova il suo fondamento in concezioni etico – solidaristiche, che prendono vigore a partire dai primi anni del 1900: è soltanto con il codice Rocco ( 1930) e con il codice civile del 1942 che fu reintrodotta e sanzionata la pratica usuraria. [1]

Una compiuta trattazione in tema di usura necessita di una preventiva analisi sugli interessi. Nel codice civile vigente non vi è alcuna definizione degli interessi.
Essa è ricavabile dall’art. 1282 c.c.: gli interessi rappresentano il contenuto della prestazione oggetto di obbligazione, accessoria ad altra, di cose fungibili della stessa specie, che sorge periodicamente per il tempo in cui esiste l’obbligazione pecuniaria principale.

L’obbligazione di interessi è accessoria perché dipendente dall’obbligazione principale, ma è al tempo stesso autonoma perché non segue sempre e comunque le vicende dell’obbligazione a valle.
L’obbligazione di interessi è fungibile e omogenea, in quanto gli interessi consistono in una quantità di cose dello stesso genere di quelle oggetto dell’obbligazione principale. È inoltre, proporzionale e periodica in quanto matura con il decorso del tempo e a scadenze predeterminate.[2]

Con riferimento alla funzione che gli interessi rivestono si distinguono gli interessi corrispettivi, compensativi e moratori.
I primi trovano fondamento nel principio di fecondità del denaro e sono riconosciuti ex art. 1282 c.c. alla luce del quale “i crediti liquidi ed esegibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto”. Gli interessi corrispettivi permettono la remunerazione della disponibilità di una somma di denaro e si differenziano dagli interessi compensativi.

Questi ultimi infatti trovano fondamento ex art. 1499 c.c. e sono dovuti a fronte della consegna effettuata all’acquirente, da parte del venditore, di una cosa fruttifera, ogniqualvolta il prezzo dovuto a fronte della vendita non sia stato ancora corrisposto.
Infine, gli interessi moratori ( art. 1224 c.c.) aventi una funzione risarcitoria del danno da ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale pecuniaria. [3]

Il codice civile, seppure implicitamente, distingue, in relazione alla loro fonte, tra interessi legali ( 1224 c.c. e 1282 c. 1 c.c.) e convenzionali ( 1284 c. 2 c.c.) .
Sebbene, come sopra affermato, possano essere rimessi alla libera volontà delle parti, è sempre necessario che essi rientrino nel tasso di interessi legalmente ammesso, diversamente configurandosi gli interessi usurari. [4]

Sono usurari, gli interessi il cui saggio superi una percentuale per il cui calcolo dispone l’art. art. 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108.
In materia di usura si distingue l’usura reale e quella pecuniaria.
La prima sussiste ogni qual volta vi sia una sproporzione degli interessi o di altri vantaggi rispetto alla dazione di un bene immobile. La seconda riguarda la sproporzione degli interessi o di altri vantaggi collegati ad una somma di denaro ( esempio il mutuo).

Il codice civile non fornisce una definizione di usura, pertanto, nel sanzionarla, si presuppone la nozione di interessi usurari definita nella norma penale, integrata dalla legge 108/1996.
Il codice penale ex art. 644 distingue l’usura in astratto (oggettiva) , che sussiste ogniqualvolta si superi il limite previsto dalla legge , e l’usura in concreto ( soggettiva ), sussistente ove gli interessi , anche se inferiori a tale limite , e gli altri vantaggi o compensi , avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultino comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità.

La norma in esame è stata modificata con la legge n. 108/1996. Infatti, nella formulazione originaria l’usura vedeva tra i suoi elementi costitutivi lo stato di bisogno in cui doveva versare il soggetto passivo del reato.
Tale scelta trovava fondamento nella ragione storica del reato: il reato di usura fu introdotto per evitare che i tassi esorbitanti potessero condurre all’esclusione dal circuito dei finanziamenti di soggetti con minore capacità economica. Solo negli anni novanta l’usura diventa lo strumento della criminalità organizzata e ciò ha reso necessaria una diversa accezione di usura, svincolata dallo stato di bisogno altrui.

Tanto premesso sul profilo nozionistico, l’usura civilistica gode di una doppia tutela.
La prima è descritta ex art. 1448 c.c. ed è applicabile tanto nell’usura pecuniaria che reale.
Ai sensi dell’art. 1448 c.c. è possibile esperire l’azione generale di rescissione per lesione ove sussistano due requisiti: lo stato di bisogno della parte di cui l’altra avesse profittato; la sproporzione tra le prestazioni ( eccedenza oltre la metà di una prestazione rispetto all’altra). La prova della sussistenza di tali requisiti, che è attribuita al debitore – soggetto passivo, risulta particolarmente complessa, motivo per cui, ove possibile, si preferisce agire ex art. 1815 c.c..[5]

Sebbene la norma faccia espressamente riferimento al mutuo, è pacifico ritenere che sia applicabile anche alle altre ipotesi di usura pecuniaria.
La disposizione in esame, che esclude la dazione degli interessi verso il creditore ove siano convenuti interessi usurari, disciplina gli effetti dell’usura originaria, ovverosia esistente al momento in cui sono pattuiti gli interessi.

Essa rappresenta una deroga alla disciplina della nullità parziale di cui all’art. 1419 c.c. Quest’ultima infatti, contempla il c.d. effetto espansivo della nullità ( sull’intero negozio giuridico) , ove l’invalidità colpisca una clausola essenziale del contratto.
Il tasso di interesse è certamente importante nell’economia di un contratto per cui , in assenza dell’art. 1815 c.c., un interesse usurario avrebbe comportato la nullità dell’intero negozio giuridico, con conseguente restituzione da parte del debitore dell’intera somma precedentemente ricevuta in prestito.
L’art. 1815 c.c. coerentemente con il principio del favor debitoris, che è alla base dell’intera disciplina delle obbligazioni pecuniarie ( principio nominalistico ex art. 1277cc), prevede la nullità della sola clausola degli interessi usurari e , in deroga al principio della fecondità del denaro, esclude siano da conferire interessi al creditore.
Tale previsione è stata modificata con la legge n.108 /1996; la formulazione originaria infatti, in caso di interessi usurari sanciva il conferimento di interessi nella misura legale.
Il maggiore rilievo sociale assunto negli anni dall’illecito usurario ha spinto il legislatore ad inasprire la pena privata nei confronti del creditore, escludendo, in toto, la consegna, verso quest’ultimo, degli interessi.
La disciplina in questione è inoltre derogaria del principio di auto responsabilità ( ognuno deve risentire nella propria sfera giuridica delle conseguenze della mancata adozione delle cautele e delle regole di comune prudenza che identificano il concetto di diligenza esigibile dal soggetto giuridico nei comportamenti adottati nella vita sociale) e del principio secondo cui il contratto è giusto in quanto voluto ( l’equilibrio originario del sinallagma contrattuale è insindacabile). Quanto sopra premesso si riferisce certamente all’ipotesi di usura originaria. In dottrina e giurisprudenza per molto tempo è restato vivo il dibattito circa la possibilità di attribuire rilievo giuridico all’usura civilistica sopravvenuta.
In astratto, le ipotesi che possono configurarsi riguardano il caso di interessi regolarmente pattuiti prima della legge n. 108/1996 che si rilevano ex post , per effetto dell’entrata in vigore di detta norma, usurari, ovvero l’ipotesi di contratti stipulati nella vigenza ed in conformità della legge n. 108/1996, i cui tassi diventano usurari in executivis per effetto della caduta dei tassi di mercato , che sono alla base del meccanismo legale di determinazione dei tassi usurari in base all’art. 2 legge n.108/1996.

Circa la possibilità che l’usura sopravvenuta configuri un illecito civile sono emerse tesi eterogenee[6], oggi sopite dalla pronuncia delle recenti SSUU di Cassazione Civile[7]. 
Prima della legge di interpretazione autentica della legge del 1996 ( l. n.24 /2001), l’orientamento maggioritario risultava favorevole all’applicazione della legge n. 108, e dunque del nuovo art. 1815 c.c., anche ai contratti pendenti alla sua entrata in vigore.

La legge n. 24 /2001 ha poi, chiarito come ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.c. e dell’art. 1815, 2 comma, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

La normativa espressamente esclude che l’art. 1815 c.c. possa applicarsi alle ipotesi di usura sopravvenuta.
Tale scelta legislativa è coerente con la ratio di fondo che è alla base della previsione di cui all’art. 1815 , comma 2 , c.c. : la sanzione prevista dal legislatore colpisce coloro che coscientemente applicano degli interessi usurari, escludendo nei confronti di questi la dazione di interessi.

La legge di interpretazione autentica non ha tuttavia chiarito compiutamente il dibattito, e successivamente alla sua entrata in vigore si sono sviluppati nuovi orientamenti che hanno attribuito rilievo civilistico all’usura sopravvenuta.
Secondo una prima teoria, sebbene si escluda l’applicazione dell’art. 1815 c.c., la clausola degli interessi divenuti usurari è da considerarsi comunque nulla e al creditore sono dovuti interessi ex art. 1419 c.c.[8]

Tale orientamento è stato oggetto di accese critiche: la nullità rappresenta un vizio di invalidità originario , dunque genetico che sorge ab origine.[9]
Altra tesi , per superare le precedenti critiche , ha ritenuto che la clausola fosse da considerarsi inefficacie, escludendo ogni tipo di interesse al creditore.[10]

Anche questo orientamento è stato ben presto superato poiché non tutelava adeguatamente il creditore.
Ancora, un orientamento dottrinale ha avallato la tesi del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c..

Un simile rimedio più che tutelare il debitore avrebbe agito negativamente, dal momento che l’intero rapporto obbligatorio si sarebbe caducato e il debitore avrebbe dovuto restituire l’intera somma ricevuta in prestito al creditore.
Infine , ulteriore tesi sostenuta in giurisprudenza è quella che richiama il dovere di rinegoziazione del contratto ove le sopravvenienze incidenti sull’equilibrio sinallagmatico abbiano causato uno squilibrio delle prestazioni.

Un eventuale rifiuto di rinegoziare avrebbe integrato un comportamento contrario a buona fede , e il debitore avrebbe potuto paralizzare l’esercizio del diritto da parte del creditore per tramite dell’exceptio doli generalis.
Anche tale tesi è stata rigettata: la violazione del principio di buona fede si concretizza ove ci siano modalità abusive con cui si esercita il diritto , che qui mancano avendo riconosciuto come lecita la prestazione.

Da ultimo, a sopire tale contrasto sono intervenute le SSUU di Cassazione Civile[11] che hanno rigettato tutte le precedenti tesi , escludendo il rilievo giuridico dell’usura civilistica sopravvenuta.
La Cassazione ha sottolineato l’importanza della legge di interpretazione autentica n. 24 /2001 che ha espressamente attribuito rilievo giuridico alla sola usura originaria, ossia prevista al momento in cui sono convenuti gli interessi.

Inoltre, secondo la giurisprudenza, alla luce della stretta interconnessione esistente tra la disciplina penale e civile, non può esistere un giudizio di usurarietà che non si fondi sull’art. 644 c.p., la cui applicazione è ancorata alla interpretazione fornita dal legislatore con la legge n. 24 del 2001: non può qualificarsi un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 c.p.; ai fini dell’applicazione del quale bisogna considerare il momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

Ulteriore profilo di interesse in materia di usura riguarda le modalità di calcolo dei tassi usurari e nella specie, se debbano o meno considerarsi, cumulativamente agli interessi corrispettivi, anche gli interessi moratori.
Sebbene un orientamento minoritario fornisca una soluzione positiva al quesito[12], argomentando sul principio di favor debitoris e sulla lettera dell’art. 1815 c.c. che non richiama espressamente i soli interessi corrispettivi; l’orientamento maggioritario esclude debbano cumularsi gli interessi moratori agli interessi corrispettivi ai fini del calcolo del tasso usurario. Gli interessi moratori e gli interessi corrispettivi, infatti, hanno due funzioni differenti[13]: i primi servono per risarcire il danno da ritardo nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, i secondi servono per remunerare della disponibilità di una somma di denaro.

Gli interessi moratori si qualificano quale clausola penale per cui, ove risultino sproporzionati ed eccessivi, non si agisce per tramite degli artt. 1448 o 1815 2 comma c.c., bensì riducendo la clausola penale per eccessiva onerosità[14].
Infine, gli interessi moratori non rientrano nel calcolo del TEGM, conseguentemente per il principio di simmetria, cosi come non rilevano ai fini del TEGM ( fattore richiamato dall’art. 2 l. 108/1996 ai fini del calcolo del tasso in astratto considerato usurario) non rilevano neanche per calcolare se il tasso di interesse praticato da un creditore debba considerarsi usurario[15].


[1] D.Perna, usura sopravvenuta: la decisione delle Sezioni Unite, in www.altalex.com, 06/12/2017.

[2] R.Garofoli, Compendio di diritto civile, Nel diritto editore, IV edizione, 2016/2017, p.359.

[3] F.Caringella – L.Buffoni , in Manuale di diritto civile, Dike giuridica editrice, 2014, 555 p.

[4] F.Caringella – L.Buffoni, in Manuale di diritto civile, Dike giuridica editrice, 2014, 556 e ss p.

[5] D.Perna, usura sopravvenuta: la decisione delle Sezioni Unite, in www.altalex.com, 06/12/2017.

[6] Orientamenti favorevoli: .Gioia, Usura: nuovi ritocchi, in Corr. Giur., n. 7, 1998, pag. 805 e ss.; Carbone, Interessi usurari dopo la l. n. 108/96, in Corr. Giur., n. 7, 1998, pag. 198 e ss.; Inzitari, Il mutuo con riguardo al tasso soglia della disciplina antiusura e al divieto di anatocismo, in BBTC, 1999, I, pag. 257 e ss.; Oppo, Lo squilibrio contrattuale tra diritto civile e penale, in Riv. dir. civ., 1999, pag. 42 e ss.; Conti, Legge 28 febbraio 2001, n. 24. Dall’usurarietà sopravvenuta al tasso di sostituzione: mutui senza pace, in Corr. Giur., 2001, n. 10, pag. 1347 e ss.; Vanorio, Il reato di usura e di contratti di credito: un primo bilancio, in Contratto e Impresa, 1999, pag. 510. In giurisprudenza, tra le altre, Trib. Lamezia Terme, 2 novembre 2011, in Redazione Giuffrè, 2011; Trib. Benevento, 15 aprile 2008, in Il Civilista, 2009, pag. 49; Trib. Monza, 22 aprile 2003, in Giur. merito, 2004, 285; Trib. Bologna, 19 giugno 2001, in Corr. Giur., 2001, 1347; Cass. Civ., 22 aprile 2000, n. 5286, in Giur. It., 2000, I, 1665; Cass. Civ., 17 novembre 2000, n. 14899, in Foro It., 2001, 80; Trib. Milano, 15 ottobre 2005, in Giustizia a Milano, 2005, 11, 75; Trib. Firenze, 10 giugno 1998, in Corr. Giur., n. 7, 1998, pag. 805 e ss.; Trib. Milano, 13 novembre 1997, con nota di Carbone, in Corr. Giur., n. 4, 1998, pag. 435 e ss..

Orientamenti contrari: Cfr. Gazzoni, Usura sopravvenuta e tutela del debitore, in Riv. Notariato 2000, pag. 1447 e ss.; Zorzoli, Interessi usurari e mutui stipulati anteriormente alla legge 108/96, in Contratti, 1999, pag. 589; Morera, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso soglia e …usuraio sopravvenuto, in BBTC, 1998, II, pag. 522; Severino Di Benedetto, Riflessi penali della giurisprudenza civile sulla riscossione di interessi divenuti usurari successivamente all’entrata in vigore della l. n. 108 del 1996, in BBTC, 1998, II, pag. 524. In giurisprudenza, Cass. Civ., 3 aprile 2009, n. 8138, in Giut. Civ. Mass. 2009, 4, 581; Cass. Civ. 17 luglio 2008, n. 19698, in Giut. Civ. Mass., 2008, 7-8, 1165; Cass. Civ. 19 marzo 2007, n. 6514, in Giut. Civ. 2008, 10, 2252; Cass. Civ. 30 novembre 2007, n. 25016, in Giuda al diritto, 2008, 3, 65; Cass. Civ. 22 luglio 2005, n. 15497, in Giust. CIv. Mass., 2005, 6; Trib. Busto Arsizio, 13 marzo 2012, in Redazione Giuffrè, 2012;Trib. Busto Arsizio, 3 febbraio 2011, consultabile su www.ilcaso.it; Trib. Napoli, 12 febbraio 2004, in Giur. Napoletana, 2004, pag. 137; Trib. Napoli, 11 ottobre 2002, in Giur. Merito 2003, pag. 900; Trib. Bari, 27 febbraio 2007, in Giuda al diritto 2007, 37, 67; Trib. Roma, 15 settembre 2004, in Redazione Giuffré 2005; Trib. Roma, 15 settembre 2004, in Redazione Giuffré 2005; Trib. Trani, 4 settembre 2007, in Giurisprudenzabarese.it 2007; Trib. Roma, 4 giugno 1998, in Foro It. 1998, I, pag. 2557; Trib. Torino, 27 novembre 1998, in Corr. Giur. 1999, pag. 454; Trib. Bari, 16 marzo 2005, in Giurisprudenzabarere.it 2005; Trib. Latina, 13 giugno 2003, in Giur. Merito, 2003, 2137.

[7] Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 19/10/2017 n° 24675

[8] VELTRI, La nullità virtuale: reati contratto e reati in contratto, in Contr., 2012, 10, 832

[9]  TOMMASINI, voce “Nullità”, in Enc. dir., Milano, 899 ss.; ALPA e BESSONE, “Contratti in generale”, Torino, 1992; SCALISI, voce “Inefficacia”, in Enc. dir., 368; GENTILI, “Le invalidità”, in Tratt. dei contratti diretto da Rescigno, “I contratti in generale” a cura di Gabrielli, tomo II, Torino, 1999, 1289).

SANTORO PASSARELLI, “Dottrine generali del diritto civile”, Napoli, 1983, 250 ss.

[10] GENTILI, “Le invalidità”, in Tratt. dei contratti diretto da Rescigno; “I contratti in generale”, a cura di Gabrielli, tomo II, Torino, 1999, 1289.

[11] Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 19/10/2017 n° 24675

[12] Cassazione Civile, sez. VI-1, ordinanza 04/10/2017 n° 23912

[13] Trib. Vercelli, Sez. I, sentenza 16 novembre 2011: la clausola penale pattuita per il semplice ritardo  non incida sul calcolo del tasso di interesse praticato, considerato che si tratta di somma predeterminata, seppure nel caso di specie in proporzione alla somma rimasta inadempiuta, la quale, pur avendo una funzione assimilabile a quella degli interessi moratori (sul punto, Cass. Civ., Sez. III, sentenza 18 novembre 2010, n. 23273) ha natura diversa rispetto agli interessi in genere, la cui caratteristica peculiare è il maturare con il passare del tempo (caratteristica che non si riscontra nella penale).

[14] R. Carrano, Se gli interessi moratori sono usurari la “clausola penale” che li prevede è nulla e sono dovuti gli interessi corrispettivi ex art. 1224 c.c., in Dir. civ. cont., Anno I, Numero II, luglio/settembre 2014. V. anche ABF, Collegio di Roma, 16 gennaio 2015, n. 297

[15] Sulla questione: comunicazione di Banca d’Italia del 3 luglio 2013, nella quale è evidenziato che gli interessi moratori debbano essere “esclusi dal calcolo del TEG”, dal momento che “non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento” del debitore.


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