Vaccini e lavoro: obbligo generale o valutazione in concreto?
Di recente, hanno suscitato ampio dibattito le questioni affrontate in sede cautelare dalla giurisprudenza di merito sul tema della sospensione senza retribuzione dei lavoratori non vaccinati [1]. Da una prima lettura degli ultimi provvedimenti, infatti, sembrerebbe essersi affermato un indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il datore di lavoro potrebbe ricorrere alla misura della sospensione dal lavoro per il dipendente non vaccinato contro il SARS-Cov-2, anche in assenza di un esplicito obbligo legislativo. Tuttavia, siffatta intuizione sembra non cogliere pienamente nel segno.
Invero, per comprendere meglio il dato giurisprudenziale segnalato, è opportuno prendere le mosse dalle due ordinanze emesse dal Tribunale di Modena il 19 maggio ed il 23 luglio 2021, le quali sembrano essere quelle che meglio affrontano la questione. In tali pronunce, infatti, l’organo giudicante non poggia le basi dogmatiche del suo ragionamento sull’obbligo vaccinale in sé considerato, bensì su alcuni aspetti che riguardano gli obblighi nascenti dal contratto a prestazioni corrispettive [2].
Ciò considerato, inoltre, è utile segnalare che la vicenda sottesa ai due provvedimenti citati trae origine dal rapporto di lavoro intercorrente tra due fisioterapiste ed una RSA. Infatti, non va trascurato il fatto che le due lavoratrici sospese sono inserite in una specifica categoria del personale sanitario, assoggettata all’obbligo vaccinale dal d.l. 1° aprile 2021 n. 44, convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 2021, n. 76. Tale circostanza è stata rilevata dallo stesso (già nell’ordinanza del 19 maggio) per porre una distinzione tra quanto accaduto prima dell’intervento legislativo e le situazioni ad esso successive.
È di tutta evidenza, infatti, che la questione bisognosa di chiarimento fosse solo quella del periodo che precede la legge sull’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, proprio sulla base di questa distinzione, il giudice è intervenuto poggiando il suo ragionamento sugli obblighi nascenti dal contratto di lavoro subordinato, desumendone il contenuto dal dettato normativo degli artt. 20 TUSL e 2087 cc. Da tale combinato disposto, infatti, il Tribunale – ancora – non desume alcun reale obbligo di vaccinazione, bensì trae un complesso intreccio di obblighi reciproci tra datore di lavoro e lavoratore, i cui risvolti sono parte integrante dell’oggetto del contratto e si riverberano sul suo sinallagma. Considerati tali aspetti, quindi, il Tribunale di Modena ricostruisce il contenuto della prestazione a cui erano tenute le due dipendenti nell’esercizio delle mansioni loro attribuite dal contratto di lavoro.
In particolare, quel che il giudice cautelare ha affermato che «la salvaguardia e la salute dell’utenza rientri nell’oggetto della prestazione esigibile», ritenendo ragionevole sostenere che «fin dagli esordi del rapporto, la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni di salute degli ospiti della struttura rientrassero nell’oggetto della prestazione richiesta alle ricorrenti. In altre parole si ritiene che la tutela della salute dell’utenza della RSA costituisca un elemento penetrante nella struttura del contratto, qualificando la prestazione cui le ricorrenti sono astrette» [3]. Non un dovere generale ed astratto per ogni lavoratore, quindi, ma un obbligo derivante – in ambito sanitario – dalla specifica mansione assunta dalle due lavoratrici rispetto ad un’utenza fatta di soggetti notoriamente fragili.
Per ciò che riguarda la misura adottata dal datore di lavoro, poi, il giudice oltre a sottolineare che è impossibile rimproverare dal punto di vista soggettivo il rifiuto a vaccinarsi , in quanto prima del dl 44/2021 tale scelta costituiva un diritto costituzionalmente garantito, ha anche posto l’accento sul fatto che la sospensione dal lavoro senza retribuzione è solo l’ultimo dei rimedi esperibili, dopo aver vagliato la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse [4] .
L’indirizzo espresso in prima istanza, inoltre, è stato confermato in sede di reclamo dallo stesso Tribunale con l’ordinanza n. 2467 del 23 luglio 2021, nella quale il collegio ha ribadito che «in ragione della tipologia delle mansioni espletate (cura e assistenza a persone anziane e con molteplici patologie) e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza della RSA, è possibile sostenere che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale inerisca alle mansioni del personale sanitario».
In base a ciò che emerge dal testo dei due provvedimenti, quindi, la giurisprudenza di merito non ha affermato alcun obbligo assoluto alla vaccinazione dei lavoratori, né ha mai affermato che il meccanismo adoperato nel caso concreto potrebbe avere portata generale. Diversamente opinando, infatti, sarebbe stato legittimo interrogarsi sulla possibile violazione del principio di riserva di legge disposto all’art. 32 Cost.
Tuttavia, non può escludere tout court la possibilità di avvalersi della disciplina vigente (in riferimento agli artt. 18, 25, 39, 41 e 42 TUSL) per imporre la vaccinazione sul posto di lavoro, ma – in attesa di interventi legislativi più idonei – l’utilizzo di tale impianto normativo non potrà prescindere da un’indagine sull’ambito applicativo del Titolo X del d.lgs. 81/2008, né sarà possibile aggirare la normativa del Reg. UE n. 2016/679 (con specifico riguardo al principio del consenso al trattamento dei dati sanitari [5]).
Applicando i principi appena richiamati, infatti, non tutti i datori di lavoro possono giungere alla stessa soluzione. Invero, secondo l’opinione dello scrivente, la sottoposizione al vaccino potrebbe ben poter essere la soluzione privilegiata nel caso della badante per anziani o soggetti non autosufficienti, ma non sarebbe possibile dire lo stesso, ad esempio, per l’operaio in catena di montaggio, in quanto l’impresa avrebbe la possibilità di applicare le vigenti sul distanziamento o ricorrere alle norme sulla modifica delle mansioni.
Dal punto di vista dell’organizzazione, poi, è ragionevole sostenere che sarà necessaria anche un’ulteriore valutazione: nel caso in cui in una fabbrica siano presenti soggetti non vaccinati e soggetti fragili, chi dovrà stabilire se il mutamento di mansioni debba riguardare necessariamente (o unicamente) i soggetti non vaccinati? È evidente, infatti, che in questo caso, a differentemente che nelle RSA, la presenza di soggetti fragili non è aprioristicamente necessaria, né ad essi può essere riconosciuta l’immunità dalle valutazioni di idoneità prescritte dal TUSL.
Fino all’approvazione di una legge sull’argomento, quindi, la soluzione non potrà essere così scontata, anche sulla scorta di quanto affermato (riguardo l’obbligo del cd green pass negli ambiti della scuola e del lavoro) dal Garante per la protezione dei dati personali nel provvedimento n. 229 del 9 giugno 2021, e in ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 21 febbraio 2019.
Infine, va fatta specifica menzione anche di un recentissimo intervento del Tribunale di Roma, il quale, con ordinanza del 28 luglio 2021, n. 18441, sembra ampliare la portata del parametro assunto nei precedenti giurisprudenziali di Modena, Belluno e Verona, proprio sulla base di una valutazione di idoneità disciplinata dal TUSL [6]. Nel suddetto provvedimento, infatti, pare proprio che il giudice inteso elevare l’obbligo vaccinale derivante dal rapporto sinallagmatico a criterio generale, pur in assenza di una specifica norma che lo disponga espressamente. Appare indispensabile, a questo punto, attendere ulteriori pronunciare e l’intervento del legislatore per comprendere se la strada imboccata dal giudice capitolino sia davvero in linea con i precedenti.
[1] Ex multis Tribunale di Belluno, 06 maggio 2021, n. 328; Tribunale di Modena, Sez. 3 Civile, 19 maggio 2021; Tribunale di Verona, Sez. Lav., 24 maggio 2021, n. 446; Tribunale di Modena, Sez. Lav., 23 luglio 2021, n. 2467; Tribunale di Roma, Sez. 2 Lav., 28 luglio 2021, n. 18441.
[2] Sul tema si veda anche Zurlo A., Mancata vaccinazione covid e sinallagma lavorativo, in dirittodelrisparmio.it, 03 giugno 2021.
[3] Tribunale di Modena, Sez. 3 Civile, 19 maggio 2021.
[4] «Si è già avuto modo di evidenziare che la mancata sottoposizione al trattamento sanitario vaccinale […] comporta ipso iure, senza bisogno di accertamenti ulteriori, l’irricevibilità della prestazione originaria. Con conseguente adibizione a mansioni diverse da quelle pattuite e sino ad allora espletate oppure, ove ció non è possibile (come nel caso di specie), con conseguente sospensione del rapporto», Tribunale di Modena, Sez. 3 Civile, 19 maggio 2021; sul tema cfr. Trib. Verona, sez. lav., ord. 20 maggio 2021; è opinione di chi scrive, inoltre, che in determinati ambiti lavorativi la soluzione adottabile dal datore di lavoro potrebbe spaziare notevolmente, potendo ancora considerare il distanziamento, il lavoro agile ed ogni altra modalità di lavoro utile all’impresa, qualora la specifica mansione non comporti il necessario contatto con utenza e colleghi.
[5] cfr. il considerando n. 43 e gli artt. 5, 6 e 9 Reg. UE n. 2016/679.
[6] «la ricorrente, sottoposta a visita di idoneità dal medico competente è stata dichiarata: “Idoneo con limitazioni”, ovvero: “Evitare carichi lombari maggiori/uguali a 7 Kg …Altro non può essere in contatto con i residenti del villaggio” […] stante il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione contro il virus Sars covid […] a seguito di tale giudizio la – omissis – le ha comunicato, ai sensi dell’articolo 42 d. lgs. 81/08 […], la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, con efficacia dall’1.07.2021, “Data in cui si tornerà ad operare in modalità ordinaria, ovvero, non in smart working” fino a un eventuale giudizio revisione del giudizio di idoneità o cessazione delle limitazioni».
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Sebastiano Flaminio
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