Validi i contratti bancari sottoscritti dal solo cliente
La recente (opinabile) pronuncia della Cass. civ. Sez. I, Sent. 24 marzo 2016, n. 5919, non scevra da profili di criticità, ha sancito la nullità del contratto sottoscritto solo dal cliente, a nulla valendo la produzione in giudizio da parte dell’istituto, né la prova di atti posti in essere dalla banca in esecuzione del contratto non sottoscritto, sulla base del seguente assunto: “L’art. 23 del D. Lgs. n. 5/2003 stabilisce che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento debbano essere redatti per iscritto a pena di nullità. La forma scritta, quando è richiesta ad substantiam, è elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicché occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta alla conclusione del contratto. In applicazione di detto principio il contratto quadro portante la firma del solo cliente è nullo in ragione dell’inammissibilità della convalida del contratto nullo ex 1423 c.c. e non valgono a convalidarlo i documenti esecutivi dello stesso (contabili, conferme di eseguito ecc.), indipendentemente dalla verifica dello specifico contenuto e della sottoscrizione di dette scritture. Neppure la frase firmata dal cliente, nella quale quest’ultimo dichiara che “un esemplare del presente contratto sottoscritto dalla banca ci è stata consegnato” (o altra analoga) è sufficiente a provare l’effettiva sottoscrizione del contratto ad opera della banca stessa o le dichiarazioni di consegna del documento contrattuale che non possiedono i caratteri della “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale”, tale da comportare il perfezionamento del contratto, trattandosi piuttosto di documentazione predisposta e consegnata in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto il cui perfezionamento si intende dimostrare e, cioè, da comportamenti attuativi di esso e, in definitiva, di comportamenti concludenti che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale”.
La citata pronuncia della Suprema Corte, tuttavia, sta suscitando ampio scalpore, in quanto si pone in aperto e consapevole contrasto con tutta la granitica giurisprudenza (tra le tante, Cass. 16 ottobre 1969 n. 3338; Cass. 22 maggio 1979 n. 2952; Cass. 29 aprile 1982 n. 2707; Cass. 18 gennaio 1983 n. 469; Cass. 17 giugno 1994 n. 5868; Cass. 11 marzo 2000 n. 2826; Cass. 1 luglio 2002 n. 9543; Cass. 17 ottobre 2006 n. 22223; da ultimo Cass. 22 marzo 2012 n. 4564) espressa dalla stessa Cassazione, che, proprio in relazione al contratto di conto corrente, aveva concluso, decidendo un caso analogo, che l’intento della banca di concludere il contratto, da essa non sottoscritto, “risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto di conto corrente da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastano a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguente perfezionamento dello stesso»rendendo palese la sussistenza di un contrasto tra le sezioni.” (cfr. Cass. Civ. 22 marzo 2012 n. 4564).
Ciò nonostante, si sta registrando nella recentissima giurisprudenza di merito una aprioristica e pedissequa applicazione dei principi recentemente espressi dagli Ermellini, senza considerare che il principio non può estendersi a fattispecie differenti da quella strettamente all’esame della Suprema Corte, relativa alla validità di contratti di intermediazione finanziaria e non a contratti di conto corrente.
A modesto parere dello scrivente, sembra certamente più convincente l’orientamento che ritiene che sia la produzione in giudizio, sia l’adozione di comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca, e documentati per iscritto, realizzino un valido equivalente della sottoscrizione mancante, con efficacia ex nunc.
In tal senso, il Tribunale di Padova, dott. Giorgio Bertola, sentenza 29 maggio 2016: “In materia di validità del contratto bancario sottoscritto solo dal cliente, la produzione in giudizio ovvero l’adozione di comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca e documentati per iscritto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante.
Sul punto non può condividersi in alcun modo il principio di diritto affermato dalla sentenza Cass. Sez I n.5919/2016, la quale si pone in aperto e consapevole contrasto con tutta la granitica giurisprudenza espressa dalla stessa Cassazione, sicché se ne deve concludere che all’interno della sezione vi sia un contrasto la cui composizione a sezioni unite si attende almeno per mettere un punto fermo in un senso o nell’altro. Peraltro il principio affermato nella citata sentenza non può estendersi a fattispecie differenti da quella strettamente all’esame della Suprema Corte, relativa alla validità di contratti di intermediazione finanziaria e non a contratti di conto corrente” in primis, a dire del giudicante, il principio affermato dalla Suprema Corte è «in aperto e consapevole contrasto con tutta la granitica giurisprudenza pregressa espressa dalla stessa Cassazione (per esempio anche con la 4564/2012) peraltro della medesima prima sezione sicché se ne deve concludere che all’interno della sezione vi sia un contrasto la cui composizione a sezioni unite si attende almeno per mettere un punto fermo in un senso o nell’altro»; in secondo luogo, la diversità del caso di specie (relativo ad un contratto di conto corrente acceso molti anni addietro e attuatosi senza contestazioni sino al giudizio de quo) ha indotto il Tribunale a ritenere comunque inestensibile l’ultimo arresto degli Ermellini alla fattispecie da regolare.
Una diversa interpretazione comporterebbe inevitabilmente una discutibile prevalenza della forma sulla sostanza.
L’orientamento predetto è altresì confortato dalla recentissima pronuncia del Tribunale di Torino, del 5 luglio 2016: “In materia di contratti bancari, quanto alla mancata sottoscrizione da parte della banca (segnatamente del contratto di apertura di conto corrente e dell’apertura di credito), la produzione in giudizio delle scritture da parte del contraente che non le abbia sottoscritte, come pure il comportamento tenuto dalla parte stessa in corso di svolgimento dei rapporti (mediante il periodico invio degli estratti conto), rende manifesta l’intenzione di avvalersi dei contratti, con conseguente perfezionamento degli stessi, non risultando alcuna revoca del consenso da parte del contraente che ha sottoscritto. I contratti si perfezionano correttamente in forma scritta mediante scambio di corrispondenza.”.
Nella fattispecie sottoposta al vaglio del Giudice di merito, una società correntista ed un suo fideiussore convenivano in giudizio la Banca, al fine di ottenere l’accertamento e la declaratoria di nullità delle clausole relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, contenute ed applicate nel contratto di conto corrente intercorso tra le parti; l’illegittimità dell’unilaterale variazione del tasso di interesse nominale applicato, arbitrariamente mutato dalla banca nel corso degli anni in danno dell’attrice; l’illegittimità dell’integrazione e postergazione dei giorni di valuta, nonché della commissione di massimo scoperto e della relativa, indebita capitalizzazione trimestrale, di altre commissioni e spese periodicamente addebitate dalla Banca, deducendo l’avvenuto superamento, per effetto dell’addebito di interessi passivi, del tasso soglia ai sensi della legge n.108/1996.
La Banca convenuta, costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto, eccependo la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi pattuita nel rispetto della condizione di reciprocità ai sensi della Delibera CICR del 9.2.2000.
Quanto alle censure svolte dagli attori, in particolare viene in considerazione quella relativa alla mancata sottoscrizione da parte della banca dei contratti bancari (segnatamente il contratto di apertura di conto corrente e apertura di credito).
Il Tribunale di Torino, in primo luogo, ha dichiarato l’inammissibilità di tali doglianze, posto che gli stessi attori riconoscevano di aver stipulato i contratti bancari oggetto di lite, e di aver intrattenuto i relativi rapporti.
Inoltre, il giudice ha ritenuto che la produzione in giudizio delle scritture da parte del contraente che non le abbia sottoscritte, come pure il comportamento tenuto dalla parte stessa in corso di svolgimento dei rapporti (mediante il periodico invio degli estratti conto), rende manifesta l’intenzione di avvalersi dei contratti, con conseguente perfezionamento degli stessi, non risultando alcuna revoca del consenso da parte del contraente che ha sottoscritto.
Ulteriori conferme provengono dal Tribunale di Napoli, Dott. Diego Ragozini, con la sentenza n. 7378 del 13 giugno 2016 “La sottoscrizione delle parti del modulo che richiama le condizioni economiche equivale ad espressa adesione in forma scritta anche alle predette condizioni, dalle quali può evincersi sia la sufficiente determinatezza del tasso d’interesse, sia la reciprocità nella capitalizzazione in ossequio alle previsioni della delibera Cicr del 2000, sia la sufficiente determinatezza della commissione di massimo scoperto nella parte in cui è indicato il lasso temporale di riferimento e la soglia oltre la quale si applica la stessa” e, sempre con riferimento al medesimo Tribunale, Giudice dott. Ciro Caccaviello, con sentenza del 02 gennaio 2015 “Un contratto bancario che contenga la chiara e precisa esposizione delle condizioni pattuite, rispetti i requisiti fissati dal legislatore, sia provvisto di data, sia sottoscritto dal solo cliente in toto e specificamente ove richiesto e sia stato effettivamente eseguito si deve ritenere concluso ed immune da vizi di forma.”
In tema di onera della prova, invece, il brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat viene correttamente espresso nella sentenza del Tribunale di Napoli, dott. Massimiliano Sacchi, n. 8647, depositata in data 11 giugno 2015: “il cliente che invochi in giudizio la nullità del contratto intercorso con la banca, deducendone la mancata sottoscrizione da parte di quest’ultima, è tenuto a dimostrare che il perfezionamento dell’accordo sia avvenuto in violazione dell’obbligo della forma scritta, previsto a pena di nullità, ex art. 117 TUB. In ogni caso, qualora la banca produca in giudizio il documento contenente le indicazioni imposte dal citato articolo 117, la mancanza, sull’atto di una firma del soggetto predisponente non consente di affermare che il contratto sia nullo.”.
Il Tribunale di Napoli ha risolto in senso favorevole all’istituto di credito le questioni relative all’onere della prova, ritenendo che, per costante giurisprudenza, “il correntista che domanda la ripetizione di somme indebitamente versate alla Banca, deve allegare e provare i fatti costitutivi della propria pretesa creditoria, ossia l’esecuzione della prestazione e l’inesistenza (originaria o sopravvenuta) del titolo della stessa. Il correntista ha, pertanto, l’obbligo di produrre il contratto di conto corrente e gli estratti conto relativi a tutto il periodo contrattuale, regola la quale trova una sola eccezione nel caso in cui, in virtù del principio della vicinanza della prova, l’onere possa far carico alla Banca convenuta laddove si tratti di documenti relativi al decennio antecedente la domanda o comunque nel caso di esercizio del diritto sostanziale ex art. 119 TUB”.
Il Giudice ha altresì precisato che “l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando su esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo“.
Poste tali premesse, il Tribunale ha ritenuto indimostrato l’assunto attoreo secondo cui, in assenza della sottoscrizione della banca, il contratto di conto corrente debba considerarsi nullo per carenza di forma scritta. Invero, è da ritenersi assolto il requisito della forma scritta, con conseguente validità del contratto, avendo la banca prodotto il documento contenente le indicazioni imposte dall’art. 177 TUB, nonostante la mancanza, sull’atto, di una firma del soggetto predisponente (cioè dell’istituto di credito).
Il Tribunale di Napoli ha inteso, quindi, condividere l’orientamento della Suprema Corte che, decidendo un caso analogo a quello de quo (cfr. Cass. Civ. n. 4564/2012), ha ritenuto che “anche a voler ritenere che non risulti una copia firmata del contratto da parte della banca, l’intento di questa di avvalersi del contratto risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto di conto corrente da cui si evidenziano la volontà di avvalersi del contratto (bastano a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguente perfezionamento dello stesso“.
Tale conclusione è confortata da una recente giurisprudenza che, muovendo dalla ratio dell’art. 117 T.U.B., finalizzata alla protezione del correntista contraente debole e alla valorizzazione di esigenze di chiarezza e trasparenza informativa, non ritiene nemmeno necessaria la firma della banca, laddove, come nel caso de quo, risulti la predisposizione del contratto da parte della banca stessa, la firma del correntista e la consegna del contratto al cliente (cfr. App. Torino n. 595/2012; Trib. Novara n. 569/2012; Trib. Milano 21 febbraio 2012; Trib. Monza 13 maggio 2012; Trib. Milano 14268/2013, Trib. Mantova 16 febbraio 2015).
Lapidaria, in tema di eccezione di nullità, la risalente pronuncia del Tribunale di Mantova n. 206 del 16 febbraio 2016, che ha chiosato quanto segue: “Corre l’obbligo di precisare al riguardo, che (quanto meno) questa Sezione, ha rimeditato la questione e ritiene ora che, nelle ipotesi di forma scritta di cui al TUB (art. 117) o TUF (art. 23), al fine di garantire la protezione del soggetto debole e di colmare la asimmetria informativa che è propria del negozio in esame, la stessa sia soddisfatta ove il documento rechi la sottoscrizione del cliente e la dichiarazione unilaterale ricognitiva di aver ricevuto copia di un esemplare del contratto debitamente sottoscritto dai soggetti abilitati dell’Istituto contraente”.
In definitiva, tiene a precisare il Tribunale mantovano, “la produzione di un contratto completo in tutte le sue clausole che sia sottoscritto dal solo cliente, comprendente la dichiarazione di aver ricevuto copia dello stesso, risulta soddisfare pienamente la funzione informativa che la norma e la sua sanzione sono destinate ad assolvere. La relativa dichiarazione, svincolata dal divieto di equipollenza ex art. 1350 c.c. acquisisce così un valido connotato ricognitivo-confessorio più che idoneo ad escludere la sussistenza dell’eccepita nullità”.
Ragion per cui, anche nelle ipotesi di contratti in cui la forma scritta è prevista a pena di nullità, per l’eventualità in cui dovesse mancare la sottoscrizione della Banca per accettazione della proposta, l’eccezione risulterebbe comunque superabile se il Cliente ha dichiarato di aver ricevuto la copia del contratto.
Dr. Antonello Amari
Pr. Avv. Dell’Ordine di Roma
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Antonello Amari
Praticante Avvocato abilitato
Pr. Avvocato abilitato dell'Ordine di Roma;
Amministratore di Condominio;
Mediatore Civile e Commerciale;
Collaboratore delle seguenti riviste: "Giurimetrica", edita da Alma Iura s.r.l.; rivista online "Exparte Creditoris"; rivista online "Il caso.it".
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