Validità della notifica a mezzo PEC delle cartelle di pagamento
A partire dal Codice dell’Amministrazione Digitale, viene riconosciuta piena cittadinanza alla PEC come strumento equivalente alla raccomandata con avviso di ricevimento: invero, l’art. 48 del Codice afferma che la trasmissione di documenti, che necessiti di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna può essere compiuta via PEC.
Con specifico riguardo agli atti della riscossione la notificazione a mezzo PEC è espressamente consentita dall’art. 26 del D.P.R. n. 602/73, a mente del quale: “La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne facciano richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.”
Il secondo comma dispone che la notifica possa farsi all’indirizzo PEC del destinatario dell’atto, purché risultante dal pubblico registro INI-PEC oppure perché indirizzo dichiarato dallo stesso destinatario come domicilio eletto per la ricezione degli atti.
L’art. 26 D.P.R. n. 602 del 1973 rinvia all’art. 3 D.P.R. n. 68 del 2005, in forza del quale l’atto trasmesso per via telematica “si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore“. Il successivo art. 6 precisa che la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico del destinatario e certifica il momento della consegna.
Inoltre, l’interposizione di uno o più gestori che garantiscano la regolarità del servizio fa sì che nessuna delle parti (mittente e destinatario) possa contestare l’inoltro o la ricezione del messaggio e da tale sistema discende la non necessità della firma digitale da parte del mittente. E’ infatti il gestore che sottoscrive la busta di trasporto con firma elettronica avanzata e tale sistema garantisce la provenienza, l’integrità e l’autenticità del messaggio di posta elettronica certificata.
Pertanto, la notifica effettuata con la PEC al pari di quella direttamente realizzata tramite il servizio postale mediante raccomandata con avviso di ricevimento, fornisce certezza in ordine al giorno ed orario esatto della spedizione e della ricezione, nonché in merito all’integrità del contenuto e degli eventuali allegati.
A tal riguardo, si rilevi che con la sentenza n. 146/2016, resa nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3 R.D. 267/1942, la stessa Corte costituzionale ha affermato come la notifica telematica consenta pienamente la conoscibilità effettiva dell’atto da notificare. In particolare, per la Corte, il risultato conseguibile con la suddetta modalità di notifica è “sostanzialmente equipollente” a quello ottenibile con i meccanismi ordinari (notifica a mezzo ufficiale giudiziario e agente postale).
Per il mittente, quindi, la prova che il messaggio inviato è effettivamente pervenuto nella casella di PEC del destinatario è costituita dalla ricevuta di consegna rilasciata al mittente dal gestore della casella di posta elettronica del destinatario stesso.
Di conseguenza il principio operante in tema di perfezionamento della notifica a mezzo posta elettronica certificata, ex artt. 6 D.P.R. n. 68/05 e 48, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82, è analogo a quello sancito per il perfezionamento della notifica a mezzo posta.
La Corte di Cassazione ha reiteratamente affermato che la responsabilità per la mancata lettura di una comunicazione o notifica ricevuta a mezzo PEC è da attribuire al destinatario, se conseguente ad una sua carenza relativamente alla manutenzione e al controllo della casella di posta (Cfr. Cass., sent. n. 13917 del 7.7.2016; Cass., sent. n. 22352/2015).
Preme sottolineare come parte della giurisprudenza ritenga che la garanzia di immodificabilità possa essere assicurata in favore del contribuente solo mediante la sottoscrizione del documento elettronico. In particolare, è stata ritenuta assicurata la genuinità dell’atto, nella misura in cui lo stesso sia munito della firma elettronica identificata dal file con estensione “.p7m”.
Ora va chiarito, che la predetta estensione “.p7m”, della firma digitale si riferisce al formato di firma CAdES, il cui contenuto, tuttavia è visualizzabile solo attraverso idonei software, aggiuntivi rispetto a quelli ordinariamente disponibili al momento dell’acquisto su ogni moderno computer, spesso trattandosi di programmi a titolo oneroso. Così, la firma CAdEs si realizza a mezzo della busta CAdES, che è un file con estensione .p7m, il cui contenuto è visualizzabile solo attraverso i suddetti software in grado di “sbustare” il documento sottoscritto.
Tale formato permette di firmare qualsiasi tipo di file, ma presenta lo svantaggio di non rendere agevole la visualizzazione del documento oggetto della sottoscrizione, per il quale è necessario utilizzare un’applicazione specifica e non contenuta nei computer in commercio.
Affianco a tale tipologia di firma esiste anche la firma digitale in formato PAdEs. La firma digitale in formato PAdES è un file con estensione “.pdf”, leggibile con i comuni reader disponibili per questo formato, usualmente pre installati oramai su tutti i computer di ordinario acquisto (come ad esempio acrobat reader). Questa tipologia di firma, nota come “firma PDF”, può essere apposta con diverse modalità e rende il documento facilmente accessibile, con il limite di consentire di firmare solo documenti di tipo “.pdf”.
E’ evidente che quest’ultima firma digitale è di più largo accesso, soprattutto a imprese e professionisti, i quali potrebbero non essere dotati di un programma in grado di leggere il file firmato con la desinenza “.p7m”, data la sua specificità, e quindi non essere in grado di accedere al documento pervenuto.
Ebbene, nel caso di cartella di pagamento la stessa può essere notificata via PEC con la firma in formato PAdES ,con un file con estensione “.pdf”, stante l’obbligo gravante sull’ente di esazione di rendere accessibile l’atto a tutti i destinatari.
Sul punto, di notevole importanza è la recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 10266 pubblicata in data 27/04/2018, che, a seguito di ordinanza interlocutoria scaturita dalla contestata irritualità della notifica del controricorso avvenuta con allegazione al messaggio di PEC di un file con estensione .pdf e non .p7m, le stesse sono state investite della quaestio juris relativa al formato della firma digitale (PADES piuttosto che CADES) e alla connessa estensione dell’atto del processo notificato in forma di documento informatico.
Ebbene, le Sezioni Unite hanno escluso la sussistenza di un obbligo esclusivo di usare la firma digitale in formato CADES, in cui il file generato si presenta con l’estensione finale “p7m”, rispetto alla firma digitale in formato PADES, nel quale il file sottoscritto mantiene il comune aspetto “nomefile.pdf”, atteso che anche la busta crittografica generata con la firma PADES contiene pur sempre il documento, le evidenze informatiche ed i prescritti certificati, sì che anche tale ultimo formato offre tutte le garanzie e consente di effettuare le verifiche del caso.
Anche secondo il diritto comunitario le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci.
Principio questo ripreso dalla giurisprudenza successiva che ha ribadito la validità della notifica delle cartelle esattoriale tramite PEC anche qualora questa sia stata effettuata allegando un documento in formato PDF (Cfr. da ultimo Comm. trib. regionale Lombardia Milano Sez. I Sent., 04/02/2020).
Ad ogni modo, è principio consolidato che qualsivoglia ipotesi di vizio della notificazione stessa è da considerarsi sanato, ai sensi e per gli effetti degli articoli 160 e 156, terzo comma, c.p.c., allorquando è provato che il contribuente ha avuto piena cognizione dell’atto. Posto, infatti, che la funzione dell’attività di notifica è quella di portare a conoscenza del destinatario l’atto che lo riguarda, è evidente che alcuna conseguenza può derivare dall’eventuale ipotesi di vizio, allorquando la stessa è superata dallo stesso raggiungimento dello scopo (Cass. 29 aprile 2015, n. 8674; Cass., 26 gennaio 2015, n. 1301; 14 gennaio 2015, n. 416; 19 dicembre 2014, n. 27089).
In altri termini, lo scopo può dirsi raggiunto ad esempio nel caso in cui la contribuente provveda alla tempestiva impugnazione della cartella di pagamento (di cui si lamenta il vizio di notifica), allegando la stessa agli atti ed evocando in giudizio l’ente della riscossione che la ha emessa.
Il risultato dell’effettiva conoscenza dell’atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l’indirizzo di PEC espressamente a tale fine indicato dalla parte determina infatti il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla PEC.
Recentemente la Cassazione civile, sez. VI, con la sentenza n. 6417 del 5.3.2019, ha chiarito che “la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria, sicché il rinvio operato dall’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973 all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento, in ragione della avvenuta trasmissione di un file con estensione “pdf” anziché “.p7m”, l’applicazione dell’istituto della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c.”.
In conclusione si può affermare che la notifica di una cartella esattoriale a mezzo PEC sia pienamente valida ed efficace tanto nell’ipotesi in cui venga allegato un file con estensione “.p7m” quanto in caso di file con la differente estensione “.pdf”. In ogni caso, qualsivoglia vizio della notifica può essere sanato mediante l’istituto di cui all’art. 156 c.p.c. se l’atto ha raggiunto il suo scopo.
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Gloria Cirillo
Laureata con lode presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" con tesi in Diritto Amministrativo.
Successivamente ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura di Roma Capitale, occupandosi principalmente di diritto amministrativo e diritto civile. Ha svolto con esito positivo il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso il Tribunale di Roma, sezione civile. Ha frequentato il corso di alta formazione giuridica "Foroeuropeo" e sostenuto l'esame per l'abilitazione alla professione forense nel Dicembre 2019 .