Valorizzare norme prima di introdurne altre: la regola del giuslavorista

Valorizzare norme prima di introdurne altre: la regola del giuslavorista

Chiunque si appresti alla comprensione ed all’applicazione del diritto del lavoro si trova ben presto a fare una riflessione: perché si introducono più norme o strumenti, creando difficoltà sul piano applicativo nonché su quello della stratificazione normativa per regolare fenomeni che sarebbero disciplinati se solo si applicassero a pieno quelle già pienamente vigenti e disponibili?

E soprattutto… una volta assodato che questa risposta ha un fondamento cosa può fare il giuslavorista e cosa il legislatore?

Credo che il primo debba applicare le norme valorizzandole nella loro interpretazione, ricostruendo sempre il contesto storico ed il tessuto sociale ed economico nel quale si inseriscono, leggerle sempre come parte di un sistema e facendole dialogare con esso.

Il secondo, conscio di questo, dovrebbe nel legiferare farlo con chiarezza, chiedendosi sempre preliminarmente se qualche strumento già esistente può soddisfare le esigenze che si presentano e recependo a riguardo le istanze che emergono dalla concertazione, dalle realtà produttive, dalla giurisprudenza.

Per comprendere a fondo quanto affermato seguono due esempi concreti, uno relativo ad una situazione in cui ciò che è scritto sopra è stato virtuosamente realizzato, l’altro concernente un’ipotesi ancora in discussione.

Quanto al primo punto si pensi a ciò che è avvenuto con lo smart working durante l’emergenza pandemica: si è assistito a quella che è stata validamente definita un’eterogenesi dei fini, utilizzandosi a livello diffuso una modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato che, nata per rispondere ad esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro ha consentito la prosecuzione dell’attività in pandemia, consentendosi al lavoro agile emergenziale di muovere da un atto di impulso del solo datore, del quale è sufficiente una comunicazione unilaterale, potendo aver corso anche in assenza di quell’accordo individuale tra lo stesso ed il lavoratore che assume nella disciplina ordinaria assoluto rilievo.

La seconda riflessione riguarda invece il tanto discusso salario minimo.

L’art. 36 della Costituzione non prevede per l’attuazione del principio dell’equa retribuzione una riserva di legge e nel disegno costituzionale era chiaramente individuato l’affidamento della competenza in materia salariale alla contrattazione collettiva, prevedendo l’art. 39 il meccanismo del contratto collettivo reso efficace erga omnes.

È opportuno, stante la mancata applicazione della seconda parte di quest’ultimo articolo, che andrebbe definitivamente abolita, anche in questo caso lavorare sull’estensione generalizzata della contrattazione, valorizzando ciò che già esiste, non introducendo elementi problematici e potenzialmente di rottura.


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