Vendita con patto di riservato dominio e contratto di leasing

Vendita con patto di riservato dominio e contratto di leasing

Prima di addentrarci nell’analisi della presente questio iuris è necessaria una breve digressione delle figure contrattuali quali la vendita con patto di riservato dominio, anche detta vendita con riserva di proprietà e il contratto di leasing.

Il contratto di vendita con patto di riservato dominio

L’art. 1523 del Codice Civile disciplina la vendita con riserva di proprietà, quale figura contrattuale appartenente al genus della compravendita. Trattasi di un contratto ad effetti reali, poiché comporta il trasferimento della proprietà di un bene o di un diritto, ma tale effetto è sottoposto a una condizione sospensiva, ossia al pagamento integrale del prezzo.

La particolarità di tale contratto sta, infatti, nell’acquisto della proprietà da parte del compratore che avviene solo con il pagamento dell’ultima rata, mentre i rischi del perimento del bene sono a suo carico fin dalla conclusione del contratto, in deroga alla regola “res perit domino”.

A tutela del compratore, l’art. 1525 del codice civile, prevede che, nonostante qualsiasi patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo non da luogo a risoluzione del contratto.
Ciò posto, nel caso in cui si verifichi un inadempimento contrattuale da parte del compratore, la normativa applicabile è quella indicata dal codice all’art. 1526 che disciplina gli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento, prevedendo l’obbligo per il venditore di restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa e al risarcimento del danno.

Che cosa è il contratto si leasing?

Il leasing è un contratto atipico rientrante nella previsione di cui all’art. 1322 del codice civile che disciplina l’autonomia contrattuale, concedendo alle parti di concludere contratti non appartenenti alle categorie disciplinate dal codice, purché si perseguano interessi meritevoli di tutela.

Nella prassi commerciale il leasing ha assunto due diverse forme, quali il leasing di godimento e il leasing traslativo di cui possiamo brevemente descriverne le caratteristiche.

Il leasing di godimento ha ad oggetto un bene che esaurisce la sua utilità economica in un certo periodo di tempo con la conseguenza che allo scadere del tempo l’utilizzatore non ha più nessun interesse al suo acquisto. Diversamente accade nel leasing traslativo, dove il bene allo scadere del termine conserva una propria utilità apprezzabile dall’utilizzatore, il quale potrà decidere di acquistarlo o restituirlo al concedente.

Leasing traslativo e leasing di godimento

Dalla diversa qualificazione del contratto di leasing, anticipata brevemente, la Suprema Corte di Cassazione fa conseguire una diversa disciplina nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore.

Nel leasing di godimento, dove l’utilizzatore restituisce il bene al termine del periodo prefissato, trova applicazione la disciplina dettata per i contratti ad esecuzione periodica o continuata, ossia l’art 1458 cc, con conseguente esclusione dell’obbligo per il concedente di restituire i canoni ricevuti.

L’art. 1458 cc esclude per tali contratti l’effetto retroattivo della risoluzione, basandosi sul fatto che il leasing di godimento ha ad oggetto solo beni che consumano la loro utilità nell’arco di vita del bene ed in tal modo era costante la corrispettività tra canoni versati e il valore del bene consumato.

Tutt’altra disciplina è applicabile al leasing traslativo, caratterizzato dall’avere ad oggetto beni che al termine del rapporto contrattuale conservano ancora un valore apprezzabile dall’utilizzatore.

I canoni versati da quest’ultimo per il godimento del bene oltre ad essere considerati come corrispettivo dell’uso, assolvono anche la funzione di prezzo del bene stesso nel caso in cui lo stesso utilizzatore decida di acquistarlo.

In questo tipo di leasing in caso di inadempimento dell’utilizzatore non si applica l’art 1458 cc, ma il meccanismo equilibratore dell’art 526 cc, dove i canoni versati devono essere restituiti, salvo un equo indennizzo per il produttore oltre al risarcimento del danno.

Proprio in virtù di questa sua originaria atipicità è stato concepito come un contratto rivolto a realizzare un finanziamento indiretto, dove una parte, detta produttore, concede ad un’altra, detto utilizzatore, il godimento di un dato bene, dietro il versamento di un canone periodico e per un periodo di tempo commisurato alla vita economica del bene.

Al termine del periodo prefissato, l’utilizzatore potrà scegliere principalmente se: restituire il bene oppure divenirne proprietario riscattandolo, cioè pagando una quota finale data dalla differenza tra quanto versato periodicamente ed il valore complessivo del bene.

Analogie con la vendita di riserva di proprietà

La disamina delle due tipologie contrattuali sopra esposte ci conduce ora ad analizzare gli elementi similari che caratterizzano il contratto di leasing con quello di vendita con riservato dominio.

In entrambe le figure contrattuali il pagamento del prezzo del bene non avviene in un’unica soluzione, ma viene rateizzato nel corso del tempo, mentre il rischio del perimento del bene rimane a carico dell’utilizzatore nel contratto di leasing, cosi come nel patto di riservato dominio rimane a carico dell’acquirente.

Un ulteriore elemento in comune, applicabile però solamente al leasing traslativo è caratterizzato dal rimedio applicabile in caso di inadempimento contrattuale, dove trova applicazione il rimedio ex art. 1526 cc e non l’art. 1458 cc, ovvero l’utilizzatore avrà diritto alla restituzione di canoni già corrisposti, salvo l’obbligo di pagare al concedente venditore, oltre all’eventuale risarcimento del danno, un equo compenso, al fine di remunerare il solo godimento.

La nuova disciplina con la legge 124\2017

È necessario portare all’attenzione che il contratto di leasing ha trovato di recente una sua tipizzazione con la legge 124\2017 che ha indicato una dettagliata disciplina in base alla quale, il concedente ha diritto alla restituzione del bene; quest’ultimo deve corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene e dal prezzo ricavato da tale vendita dovranno essere dedotte: la somma dei canoni scaduti, e non pagati, e quelli a scadere fino alla data della risoluzione; del prezzo pattuito per il caso di acquisto; le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita.


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