Vendita di immobile sottoposto a vincolo culturale in assenza di preventiva autorizzazione
Può procedersi alla vendita, mediante procedura ad evidenza pubblica, di un immobile sottoposto a vincolo culturale in assenza della preventiva autorizzazione ministeriale di cui all’art. 55 del Codice dei beni culturali e del paesaggio?
Ad un’I.P.A.B. veniva notificato un provvedimento del Dipartimento dei Beni Culturali, con il quale l’immobile di cui è proprietaria veniva dichiarato di interesse culturale ai sensi dell’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 42/2004. Pertanto, veniva richiesto parere legale circa l’applicazione del Codice dei beni Culturali e del Paesaggio all’alienazione mediante procedura pubblica di cui sarà oggetto l’immobile, al fine di chiarire, soprattutto, se e in che modo, considerata l’urgenza per l’Istituto di avviare la vendita, si possa procedere in assenza di preventiva autorizzazione ministeriale, nonché esplicitando le possibili conseguenze in termini di validità dell’alienazione stessa.
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Illustrata sinteticamente la fattispecie, la corretta definizione della questione giuridica prospettata non può prescindere da un’attenta analisi della normativa di riferimento.
Nel caso a mani, vengono in rilievo la Parte II, Titolo I, Capo I del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (artt. 10, 12); il Capo IV dello stesso Titolo, Sezione I (artt. 53 e ss.) ed infine gli articoli 164 e 173, questi ultimi riguardanti, rispettivamente, la validità degli atti posti in essere senza il rispetto degli adempimenti formali previsti e le conseguenti sanzioni.
L’art. 10 riporta un’elencazione dei beni d’interesse culturale, distinguendoli in due macrocategorie che si differenziano in funzione del soggetto titolare degli stessi.
Il comma 1, classifica come beni culturali un serie di beni (la cui elencazione prosegue nei successivi commi 2 e 4) in quanto appartenenti allo Stato, alle Regioni o ad altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico, enti privati senza scopo di lucro ed enti ecclesiastici riconosciuti.
Il successivo comma 3, stabilisce che i beni ivi indicati possono essere culturali, se dichiarati tali ai sensi dell’art. 13, pur essendo in titolarità di persone fisiche o giuridiche con scopo di lucro.
Con riferimento alla verifica dell’interesse culturale, l’art. 12 del Codice, delinea una presunzione iuris tantum di culturalità dei beni appartenenti alla prima categoria, quando questi siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni, che può venire meno solo all’esito di un procedimento ricognitivo di esito negativo (commi 4, 5 e 6).
Espletato tale procedimento, potranno configurarsi le seguenti ipotesi: i) ai sensi del comma 4, qualora non venga riscontrato l’interesse culturale, i beni saranno sdemanializzati e dunque esclusi dall’applicazione della disciplina di tutela prevista dal Codice; ii) nel caso di immobili appartenenti al demanio culturale necessario, la scheda contenente i relativi dati verrà trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione, qualora non vi ostino ragioni di pubblico interesse, ed infine iii) secondo il comma 7 della medesima disposizione, se dovesse essere riscontrato l’interesse culturale di tali beni, l’accertamento di cui al comma 2, costituirà dichiarazione ai sensi dell’art. 13, il relativo provvedimento verrà trascritto nei relativi registri ex art. 15 ed i beni resteranno definitivamente sottoposti alle disposizioni di tutela previste dal Codice.
Infatti, secondo l’art. 53, “1. I beni culturali appartenenti allo Stato, alle Regioni e agli enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate dall’art. 822 del Codice civile costituiscono il demanio culturale. 2. I beni del demanio culturale non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e con le modalità previste dal presente codice”.
Pertanto, i beni di cui all’art. 10, comma 1, costituiscono il c.d. demanio culturale necessario.
Alcuni di questi beni sono inalienabili in assoluto e sono elencati nell’art. 54, comma 1; altri, invece, sono alienabili solo mediante la preventiva procedura di sdemanializzazione e con l’autorizzazione ministeriale di cui all’art. 55.
A mente dell’art. 54, comma 2, lett. a), sono inalienabili le cose appartenenti ai soggetti indicati all’art. 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica di cui all’art. 12.
Come accennato, se il procedimento si conclude con esito negativo, avvenuta la sdemanializzazione, le cose saranno liberamente alienabili ai sensi dell’art. 12, commi 4, 5 e 6. In caso contrario, il successivo art. 55, disciplinando espressamente l’alienabilità degli immobili appartenenti al demanio culturale, dispone che tali beni “non possono essere alienati senza l’autorizzazione del Ministero”, poiché “l’autorizzazione ad alienare comporta la sdemanializzazione del bene cui essa si riferisce” (art. 55, comma 3 quinquies).
Il Codice pone, poi, un’ulteriore garanzia, disponendo che le prescrizioni e le condizioni contenute nell’atto di autorizzazione siano interamente trasfuse nell’atto di alienazione, mediante la previsione di una clausola risolutiva espressa, azionabile dalla Soprintendenza in caso di inadempimento (art. 55 bis).
Infine, l’art. 57 bis, precisa che le disposizioni relative alla disciplina dell’autorizzazione si applicano “ad ogni procedura di dismissione o di valorizzazione e utilizzazione, anche ai fini economici, di beni immobili pubblici di interesse culturale, prevista dalla normativa vigente e attuata, rispettivamente, mediante l’alienazione ovvero la concessione in uso o la locazione degli immobili medesimi”.
Da ultimo, non vanno sottovalutate le sanzioni penali comminate dall’art. 173 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ai sensi del quale “è punito con la reclusione fino ad un anno e la multa da euro 1.549,00 ad euro 77.469,00: a) chiunque, senza la prescritta autorizzazione, aliena i beni culturali indicati negli articoli 55 e 56 (..)”.
Dalla breve, ma necessaria, ricognizione normativa riportata, emerge l’importanza attribuita dal Legislatore, in primo luogo, al preventivo processo di verifica dell’interesse culturale previsto dall’art. 12 (di carattere cautelare e presuntivo), nonché, ricorrendone i presupposti, all’autorizzazione ministeriale (concernente un’analisi più approfondita), quali strumenti necessari alla sdemanializzazione dei beni e propedeutici alla loro corretta ed efficace alienazione.
Chiarita la questione relativa ai vincoli discendenti dalla dichiarazione di interesse culturale, si può procedere all’analisi della questione giuridica prospettata, scindendo, per comodità espositiva, la problematica in due passaggi complementari.
Il primo è relativo alla natura dell’invalidità comminata dall’art. 164 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 ed alle ricadute applicative da essa derivanti, a seconda che si aderisca alla tesi che la qualifica come nullità assoluta, relativa o “di protezione”, o ancora, come inefficacia relativa dell’atto.
Il secondo aspetto da approfondire involge, invece, l’efficacia di un atto traslativo della titolarità del bene posto in essere in assenza della prescritta autorizzazione ministeriale.
Come già ricordato, secondo l’art. 164 del Codice, “le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parte seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli. Resta salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione ai sensi dell’art. 61, comma 2”.
Tale sanzione è stata oggetto di approfondimento da parte della Dottrina e della Giurisprudenza di legittimità; nello specifico, sono state prospettate tre diverse tesi.
Secondo un’isolata dottrina, dovrebbe trattarsi di un’ipotesi di nullità assoluta, in considerazione della generica formulazione della norma e del carattere residuale della sanzione, che opererebbe erga omnes.
Tale assolutezza deriverebbe dunque dai particolari interessi di rango costituzionale tutelati dal Codice, senonché quod nullum est, nullum producit effectum, pertanto il negozio sarebbe inesistente e improduttivo di effetti non solo nei confronti delle parti, ma anche del Ministero.
Tuttavia, questa lettura mal si concilia con la previsione di cui al comma secondo dell’art. 164, che fa salva la facoltà per l’Amministrazione di esercitare tardivamente la prelazione.
Altra parte della dottrina, e la costante Giurisprudenza di legittimità (cfr. Cassazione Civ. Sez. III, Sent. 20/03/2012, n. 4387), invece, giungono a qualificare tale nullità come relativa o “di protezione”, in quanto azionabile solo dallo Stato a tutela dei superiori interessi di rango costituzionale (art. 9 Cost.).
Anche tale tesi, tuttavia, non è rimasta esente da critiche.
Si è sostenuto, che una simile impostazione interferisca con la disciplina della nullità nella teoria generale del diritto: quest’ultima si caratterizza per la sua assolutezza e, pertanto, risulterebbe quantomeno contraddittorio affermare che un negozio, invalido nei confronti di un soggetto che non vi ha nemmeno preso parte, risulti valido nei confronti delle parti direttamente coinvolte nella sua realizzazione.
Inoltre, le nullità “di protezione” o relative, quando comminate, sono espressamente disciplinate come tali dal Legislatore.
Infine, la prevalente dottrina ritiene, a dispetto del dato letterale dell’art. 164 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 52, che la sanzione comminata non sia da ricondurre alla categoria della nullità, trattandosi, piuttosto, di un’inefficacia relativa e successiva. L’atto sarebbe dunque valido, ma inopponibile allo Stato.
Una simile conclusione non sembrerebbe tradire la ratio della normativa del Codice dei beni culturali, non risiedendo quest’ultima nell’assicurare allo Stato l’acquisizione del bene d’interesse culturale ad ogni costo, quanto nel preservarlo consentendone la fruizione all’intera collettività.
Solo in questi termini, del resto, si comprende come l’inopponibilità dell’atto nei confronti del Ministero operi solo temporaneamente, potendo l’alienante effettuare una denuncia tardiva ex art. 61, comma 2 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, sanando, così la fattispecie.
Allo stesso modo, peraltro, alcuni ritengono sanabile l’atto mancante dell’autorizzazione ex art. 55 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, attraverso un successivo procedimento di “autorizzazione in sanatoria”.
Secondo una prima impostazione, accedendo alla tesi che configura la nullità comminata dall’art. 164 del Codice come relativa, in caso di vendita di immobile demaniale non autorizzata, l’Amministrazione, in deroga al principio generale di cui all’art. 1421 c.c., potrebbe rinunciare a far valere tale vizio, fermi rimanendo i presupposti necessari per la rinuncia, ossia: l’interesse culturale del bene, l’assenza di formali atti di riconoscimento dell’interesse culturale, la non immediata percepibilità di detto interesse da parte di chi non sia dotato delle necessarie competenze tecnico-scientifiche e l’assenza di motivi che avrebbero determinato il diniego dell’autorizzazione ad alienare, ove preventivamente richiesta.
In ogni caso, la rinuncia non equivarrebbe ad un’autorizzazione in sanatoria, pertanto non estinguerebbe il reato formale previsto dall’art. 173, comma 1, lett. a) del Codice, rilevando tutt’al più ai fini dell’applicazione delle attenuanti generiche, né solleverebbe l’organo ministeriale procedente dall’obbligo di denuncia del fatto all’Autorità giudiziaria.
Diversamente, secondo una più recente interpretazione, conformemente allo spirito di tutela fatto proprio dal Codice, di cui la procedura di verifica dell’interesse culturale costituisce l’innovazione principale rispetto alla precedente normativa, sostanzialmente, la sottoposizione del bene all’accertamento obbligatorio ex art. 12 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 costituisce la premessa fondamentale da tenere presente per valutare se in tali ipotesi si versi in una fattispecie di nullità assoluta (rilevabile d’ufficio), ovvero di nullità relativa, o inefficacia relativa, eventualmente superabili con un provvedimento autorizzatorio emesso ex post.
Da tale linea di pensiero, che valorizza le indicazioni desumibili dagli artt. 12 e 54, comma 2, lett. a), del Codice, possono trarsi le seguenti conclusioni:
– nel caso in cui ai sensi dell’art. 12, comma 7, il procedimento di valutazione dell’interesse culturale abbia avuto esito positivo, l’atto di alienazione del bene, posto in essere senza la prevista autorizzazione, è affetto da inefficacia relativa, nei confronti della sola Amministrazione;
– pertanto, il Ministero potrebbe: i) esercitare la prelazione prevista dall’art. 61, comma 2 (art. 164, comma 2); oppure, ii) non autorizzare l’alienazione, facendo definitivamente venire meno gli effetti del contratto o, infine, al ricorrere dei presupposti previsti dall’art. 55, adottare un atto di rinuncia a far valere l’inefficacia della traditio.
Quanto al termine per il rilascio di quest’ultimo provvedimento, si ritiene applicabile, in via analogica, quello di 180 giorni previsto dall’art. 61, comma 2, per l’esercizio della prelazione omessa, tardiva o incompleta, richiamato dall’art. 164, comma 2 del Codice.
È peraltro doveroso precisare, che anche secondo quest’ulteriore lettura, rimarrebbe impregiudicata l’applicazione della sanzione penale di cui all’art. 173, comma 1, lett. a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, dovendosi ritenere perfettamente integrati, già alla data dell’alienazione non autorizzata, l’elemento materiale del reato ed il relativo elemento soggettivo.
Alla luce di tali considerazioni dunque, con riferimento alla fattispecie analizzata, l’I.P.A.B. potrebbe astrattamente dare corso all’alienazione in assenza della preventiva autorizzazione, magari inserendo nel bando di gara una condizione sospensiva che subordini l’efficacia del trasferimento all’avvenuto – tardivo – espletamento della procedura “di autorizzazione”; tuttavia, per le ragioni pratiche che seguono, si ritiene preferibile accogliere la tesi che postula la preventiva acquisizione dell’autorizzazione ministeriale.
Infatti, nel caso in cui l’Istituto alienante dovesse decidere di praticare la prima delle ipotesi prospettate, di fatto non si avrebbe alcuna diminuzione dei tempi della procedura, poiché, comunque, l’efficacia dell’alienazione rimarrebbe subordinata alla successiva – non certa – valutazione del Ministero in ordine alla necessità o meno di rinunciare a far valere l’invalidità derivante dalla violazione dell’art. 164 del Codice, concedendo il provvedimento in sanatoria entro i successivi 180 giorni, decorrenti dalla denuncia di cui all’art. 59 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
Oltretutto, come chiarito sopra, l’organo ministeriale non sarebbe dispensato dall’obbligo di denuncia alla competente Autorità giudiziaria dell’avvenuta vendita in carenza di autorizzazione, essendosi già configurato l’illecito previsto dall’art. 173, comma 1, lett. a) del Codice.
Per le ragioni che precedono, dunque, si ritiene preferibile richiedere l’autorizzazione preventiva di cui all’art. 55 del Codice dei beni culturali prima di procedere all’alienazione dell’immobile oggetto del vincolo di cui all’art. 10, comma 1 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
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Claudio Nigrelli
Avvocato