Verso il riconoscimento definitivo della famiglie omogenitoriali?
Prime ricadute applicative della storica sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 19599/2016 n tema di trascrizione degli atti di nascita dei bambini delle famiglie omogenitoriali.
Con una decisione ritenuta altrettanto di natura storica la Corte di Appello di Trento, richiamandosi espressamente ai principi sanciti dalla Corte Suprema nella più recente pronuncia, ha ritenuto che non possano essere considerati contrati all’ordine pubblico internazionale i certificati di nascita resi all’estero in relazione a bambini nati mediante il ricorso a tecniche di PMA non consentite attualmente nel nostro Paese.
I giudici tridentini hanno così riconosciuto efficacia giuridica nel nostro ordinamento all’atto di nascita straniero che stabiliva la sussistenza di un legame genitoriale tra due minori, nati mediante il ricorso alla tecnica della gestazione per altri, e il loro padre non genetico.
Tale decisione si pone sulla scia delle più recenti pronunce giurisprudenziali, che ormai in totale contrasto con quanto sancito dalla legge n. 76/2016 c.d. Legge Cirinnà, tendono a riconoscere in maniera sempre più insistente la genitorialità omosessuale, al fine di garantire il superiore interesse dei minori alla continuità affettiva e al mantenimento di relazioni familiari già consolidate da anni.
Tale principio viene richiamato anche dalla Corte d’Appello di Trento nella pronuncia in oggetto.
Nel caso preso in esame dalla Corte d’Appello di Trento una coppia omosessuale composta da due uomini decideva di realizzare il proprio progetto genitoriale recandosi in uno stato estero in cui “coppie dello stesso genere non sono ostacolate nella loro aspirazione fondamentale di divenire genitori”.
Alla nascita dei due gemelli, avvenuta nel 2009, tramite il ricorso a tecniche di GPA, la corte locale aveva ordinato al comune di nascita di trascrivere i relativi certificati con la menzione del genitore biologico come padre. Successivamente poi il compagno di quest’ultimo richiedeva ed otteneva dalla stessa Corte un provvedimento di cogenitorialità
I due papà poi chiedevano la trascrizione dell’atto nei registri dello Stato civile del Comune italiano di residenza, ma la richiesta veniva rigettata dall’Ufficiale di Stato civile in quanto l’atto veniva ritenuto contrario all’ordine pubblico sotto due profili, sia per ciò che concerne la sua formazione, in quanto risultato di tecniche di GPA oggi vietate in Italia, sia per il suo contenuto, stante la mancanza di differenza di sesso tra i due genitori, ritenuta necessaria nel nostro ordinamento.
Pertanto, i due uomini ricorrevano alla Corte d’Appello instaurando un autonomo procedimento fondato sull’art. 67 della Legge 1995, n. 218 in tema di riconoscimento ed esecuzione di provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione.
La Corte d’Appello di Trento nella decisione in commento ha riconosciuto l’efficacia giuridica del provvedimento formato all’estero, richiamando espressamente e facendo applicazione dei principi di diritto sanciti dalla recente pronuncia della Corte Suprema n.19599/2016
In primo luogo ha ripreso il concetto di ordine pubblico fatto proprio dagli ermellini nella recente sentenza, affermando che i principi di ordine pubblico debbano essere ricercati esclusivamente “nei principi supremi e/o fondamentali della nostra carta costituzionale, vale a dire in quelli che non potrebbero essere sovvertiti dal legislatore ordinario”, escludendo, quindi, la sussistenza di un contrasto con tale concetto laddove la normativa straniera risulti differente sul piano meramente contenutistico da una o più disposizioni del diritto nazionale (seppur imperative o inderogabili); condividendo le argomentazioni fatte proprie dalla Corte Suprema, la Corte d’appello ha ribadito che il giudice nella valutazione della compatibilità di un atto straniero con l’ordine pubblico potrà ravvisarne la difformità solo ove l’atto straniero contrasti con “l’esigenza di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo desumibili dalla carta costituzionale, dai trattati fondativi e dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalla Convenzioni Europea dei diritti dell’uomo”.
Dopo l’analisi del concetto di ordine pubblico, ulteriore principio preso in considerazione dalla Corte d’Appello di Trento e posto a base della decisione in oggetto, viene ravvisato nel preminente interesse del minore (best interest of child), che nel caso de quo si concretizza nel diritto alla continuità transfrontaliera dello status formato all’estero.
Richiamandosi alla normativa internazionale ispirata al principio del favor filiationis, la quale sancisce il diritto del minore a preservare la propria identità personale, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari (art. 8 par. 1 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo) e che tende implicitamente a riconoscere il diritto del minore alla conservazione dello status di figlio, i giudici della Corte d’Appello hanno ritenuto che “il mancato riconoscimento dello status filiationis nei confronti del [secondo genitore] determinerebbe […] un evidente pregiudizio per i minori, i quali non vedrebbero riconosciuti in Italia nei confronti [di quest’ultimo ] tutti i diritti che a tale status conseguono”, con corrispettiva assenza di obblighi da parte dello stesso.
Pur precisando che il diritto superiore del minore a vedere riconosciuto il proprio status non abbia rilevanza assoluta, i giudici tridentini hanno affermato che lo stesso potrebbe cedere il passo solo in presenza di principi di valenza costituzionale primaria, come tali vincolanti per il legislatore ordinario e che, invece, non sono stati ravvisati nel caso di specie.
Pertanto ha ritenuto la Corte d Appello che l’atto straniero validamente formato, volto a riconoscere un rapporto di filiazione tra i minori e il padre non biologico, debba trovare riconoscimento nel nostro ordinamento, non assumendo alcuna rilevanza le tecniche di procreazione a cui i due genitori avevano fatto ricorso.
Infatti, l’elemento di novità della questione sottoposta ai giudici tridentini è dato dalla presenza di una famiglia omogenitoriale composta da due uomini, i quali, infatti, al fine di realizzare il loro progetto di genitorialità avevano fatto ricorso alla tecnica della gestazione per altri.
Il quesito posto alla Corte d’appello, quindi, era volto a considerare se il ricorso alla tecnica di GPA (non consentita in Italia) potesse fungere da ostacolo al riconoscimento.
Pur essendo incontestabile che attualmente la legge 40/2004 non consente il ricorso a tecniche di procreazione assistita per coppie di sesso diverso, i giudici hanno ritenuto che tale divieto non possa essere considerato sufficiente “per negare efficacia all’atto di nascita validamente formato all’estero che ha riconosciuto un rapporto di filiazione tra l’uomo e i due minori nati facendo ricorso alla tecnica della maternità surrogata nell’ambito di un progetto genitoriale intervenuto fra i ricorrenti”.
La legge in questione, infatti, secondo il ragionamento dei giudici tridentini, non costituisce espressione di principi fondamentali costituzionalmente obbligati, ma rappresenta piuttosto espressione dell’ampia discrezionalità riconosciuta al legislatore nell’ambito della disciplina di una materia che coinvolge questione particolarmente delicate dal punto di vista etico; tale normativa, quindi, si pone solo come punto di equilibrio, attualmente raggiunto a livello legislativo, nell’ambito della disciplina e della tutela dei diversi diritti fondamentali che vengono in considerazione.
Pertanto, sulla stregua di questo ragionamento, la Corte ha ritenuto che l’efficacia del provvedimento si sarebbe potuta negare solo ove la legge 40/2004 fosse stata considerata quale espressione di principi fondamentali, costituzionalmente obbligati, non modificabili dal legislatore ordinario, rispetto ai quali il best interest of child alla conservazione dello status filiationis avrebbe dovuto cedere il passo.
La Corte d’Appello di Trento ha, inoltre considerato, non pertinente il richiamo alla recente decisione della CORTE EDU (Paradiso e Campanelli c. Italia).
Infatti, per i giudici tridentini la Corte di Strasburgo, oltre ad aver riconosciuto l’esistenza in capo agli Stati contraenti della CEDU di un ampio margine di apprezzamento in relazione alla disciplina di materie che involgano delicati quesiti di natura etica, nel caso specifico ha negato la sussistenza di una vita familiare nel senso di cui all’art. 8 CEDU non per la mancanza di legame biologico tra i genitori ricorrenti ed il figlio, ma unicamente in considerazione del breve lasso di tempo trascorso dal bambino con i genitori d’intenzione (otto mesi, di cui sei in Italia), come tale ritenuto inidoneo al consolidamento di un sufficiente vincolo familiare e dunque alla costituzione di una famiglia di fatto ex art. 8.
La Corte d’appello di Trento, valorizzando soprattutto il concetto di responsabilità genitoriale e l’importanza che esso ha assunto nella normativa vigente, nonché l’idea di famiglia, intesa oggi sempre più come comunità di affetti, caratterizzata dalla presenza di figli, indipendentemente dalla sussistenza del dato genetico, ha riconosciuto efficacia al provvedimento contestato.
Proprio la possibile assenza di relazione biologica con uno dei due genitori ha portato la Corte a ritenere che non assuma rilevanza la circostanza che i due gemelli siano nati attraverso il ricorso a tecniche di procreazione non consentite attualmente nel nostro ordinamento, precisando, inoltre, che non possano ricadere sui minori, le conseguenze delle violazioni delle prescrizioni imposte dalle legge 40/2004 imputabili agli adulti.
Sulla stregua di queste considerazioni, la Corte d’Appello di Trento ha, quindi, riconosciuto efficacia al provvedimento validamente formato all’estero, riconoscendo quindi la genitorialità piena dei due uomini. Tale pronuncia si pone come innovativa e di portata storica in quanto si tratta del primo riconoscimento della piena genitorialità per due padri nel nostro ordinamento.
Si badi bene, riconoscimento della piena genitorialità, e non adozione.
Tale ordinanza si inserisce in quell’orientamento giurisprudenziale, potremmo dire ormai consolidato, teso sempre più garantire il riconoscimento della famiglia omogenitoriale, nonostante quanto statuito recentemente dalla legge 76/2016 in merito proprio alla stepchild adoption, stralciata dal testo definitivo approvato.
La giurisprudenza di legittimità, e ora anche quella di merito, appare viaggiare su un binario parallelo rispetto a quello del legislatore;
Il pluralismo familiare , invece, rappresenta una realtà che non può più essere ignorata.
Tali pronunce (cui si aggiungono anche ad esempio: Trib. per i minorenni di Roma sentenza del 30.07.2014; Trib Palermo decreto del 6.04.2015; nonché Cass. Civ. n. 4184/2012) si pongono come chiaro monito per il legislatore ordinario, affinché possa tener conto dei cambiamenti della società moderna, e pertanto possa consentire, rivedendo le scelte recentemente adottate, un riconoscimento completo e non parziale dei diritti delle famiglie omosessuali, il tutto sempre nel pieno rispetto e nella piena tutela del prevalente e supremo interesse dei minori.
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Alessandra Cautela
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