Verso una nuova responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie: ma sarebbe davvero una riforma innovativa?

Verso una nuova responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie: ma sarebbe davvero una riforma innovativa?

L’annosa questione relativa alla responsabilità dei medici (e degli esercenti le professioni sanitarie in generale) è tornata alla ribalta mediante la proposta di riforma depositata in Senato su iniziativa dei senatori Pittella, Fedeli e Giacobbe (ddl n. 1533).

La riforma, a dire degli iniziatori, avrebbe quale obiettivo il contrasto della cosiddetta “medicina difensiva”, tanto positiva quanto negativa.

Se la prima si concretizza in un eccesso di zelo da parte del medico, il quale andrà a prescrivere esami diagnostici extra rispetto a quelli necessari nel singolo caso concreto, la seconda, al contrario, si sostanzia nell’elusione di certi pazienti o di certi trattamenti.

Sebbene diametralmente opposte, le due figure sono accomunate dall’adozione di comportamenti volti a ridurre al minimo il rischio dell’esposizione giudiziaria e dunque le connesse ricadute in termini non solo di discredito professionale, ma anche in punto di sanzioni penali e/o civili.

Atteso che anche la Legge Gelli-Bianco, e prima di essa la Legge Balduzzi, si ponevano quale obiettivo quello di contrastare la medicina difensiva, prima di illustrare gli elementi di (presunta) novità della riforma, pare opportuno soffermarsi sulle ragioni che hanno spinto il legislatore a disciplinare normativamente l’intricata materia della responsabilità per malpractice medica nonché sui contenuti di tali previsioni normative.

Ebbene, se in prima battuta – anche e soprattutto in ragione dell’autorevolezza e del prestigio della professione medica – in assenza di disposizioni normative ad hoc, la giurisprudenza si era dimostrata piuttosto indulgente nei confronti della classe medica di regola escludendone la punibilità e ricavando dall’art. 2236 c.c. la possibilità di punire il solo errore inescusabile (e dunque grossolano) dovuto dalla mancata applicazione delle cognizioni generali, nel volgere di un ventennio si era giunti ad un assetto in forza del quale la colpa medica non veniva esclusa quando fosse stato accertato che l’inosservanza delle linee-guida era stata determinante nella causazione dell’evento lesivo.

Non v’è chi non veda che proprio sulla scorta di tale revirement giurisprudenziale si è innestato il fenomeno della medicina difensiva che il legislatore ha tentato di arginare inizialmente con il D.L. 158/2012, convertito con L. 189/2012, vale a dire la Legge Balduzzi, ed in particolare con l‘articolo 3, comma 1.

Tale disposizione recitava: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Al di là della previsione di matrice civilistica sull’obbligo risarcitorio, gli elementi della norma che immediatamente colpiscono sono due: innanzitutto il riferimento agli esercenti le professioni sanitarie. Dunque non più solo il medico, ma anche – ad esempio – l’infermiere la cui figura professionale è stata, nel frattempo, travolta da un susseguirsi di atti normativi che ne hanno riconosciuto l’autonomia rispetto al personale medico; ed inoltre la previsione della causa di non punibilità penale per colpa lieve quando il professionista, nello svolgimento della propria attività, si sia attenuto alle linee-guida ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Le criticità della Legge Balduzzi sono state messe in luce dalla copiosa giurisprudenza formatasi in materia la quale ha in primis chiarito che non sempre il rispetto delle linee-guida pone il professionista al riparo da responsabilità penale.

Difatti qualora queste, con un giudizio effettuato ex post, si rivelino inidonee alla specificità del caso concreto, significa che il professionista sanitario non avrebbe dovuto farne applicazione e, paradossalmente, proprio la loro attuazione – essendo causalmente riconducibile all’evento lesivo – fa sì che egli sia penalmente punibile.

Di poi la questione relativa alla colpa lieve: quando la colpa può considerarsi lieve? Il contenuto della colpa lieve può essere positivamente definito o piuttosto dev’essere ricavato a contrario partendo dal concetto di colpa grave?

La Suprema Corte ha utilizzato l’ultimo criterio ed ha più volte chiarito (v. Cass. Pen., Sez. IV, n. 16237/2013; Cass. Pen., Sez. IV, n. 23283/2016) che “la colpa è destinata ad assumere connotati di gravità solo quando l’approccio terapeutico risulta marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia”; negli altri casi, al contrario, si versa nell’ipotesi di colpa lieve.

Per cui, in applicazione della Legge Balduzzi, il professionista rispondeva per colpa generica (rimettendo al giudice l’individuazione della imprudenza, negligenza o imperizia), da considerarsi grave, ogni qualvolta il caso concreto imponeva l’abbandono delle prassi accreditate, e pertanto delle linee-guida, in favore di un intervento difforme, bensì più adatto alla specificità del singolo caso.

Proprio le criticità interpretative ed applicative della Legge Balduzzi hanno condotto il legislatore a riformare nuovamente la materia nel tentativo di rendere più lineare la disciplina e di arginare, ancora una volta, il ricorso alla medicina difensiva.

Sicché con Legge 24/2017, nota come Legge Gelli-Bianco, non solo è stata abrogata la previgente normativa, ma l’articolo 6, comma 1 ha introdotto nel codice penale l’art. 590 sexies in forza del quale: “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.

Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Con la Legge Gelli viene dunque eliminato ogni esplicito riferimento al concetto di colpa lieve, ma viene richiamata una delle tre matrici della colpa generica, vale a dire l’imperizia, che, a determinate condizioni, vale ad escludere la responsabilità penale dell’esercente in ipotesi di omicidio colposo o lesioni personali colpose.

In particolare, la nuova disposizione introdotta nel codice penale prevede l’operatività della causa di non punibilità quando l’evento lesivo si sia sì verificato a causa di imperizia, ma siano state rispettate le linee-guida (o in loro mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali) e purché le raccomandazioni previste dalle linee-guida siano adeguate al caso concreto.

Ça va san dire che anche in questo caso la farraginosità della formulazione della norma ha portato sin dalle sue prime applicazioni alla formazione di un contrasto in seno alla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione (interpretazione costituzionalmente orientata o interpretazione letterale? [sent. n. 28187/2017 e n. 50078/2017]), composto solo con l’intervento delle Sezioni Unite (Cass. Pen., SS.UU., n. 8770/2018)

Ebbene queste ultime, dopo aver affermato che il concetto di colpa lieve è rimasto intrinseco alla norma introdotta con l’art. 590 sexies c.p., con una tanto articolata quanto esaustiva pronuncia, hanno elencato le ipotesi nelle quali il professionista è chiamato a rispondere penalmente, ovvero:

a) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza;

b) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;

c) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;

d) se l’evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.

Sicché esattamente come nella vigenza della Legge Balduzzi, anche nel caso della Legge Gelli-Bianco il campo di operatività della della causa di non punibilità viene circoscritto alla sola ‘colpa lieve’, con la mera aggiunta dell’imperizia nell’attuazione delle linee-guida.

Se queste sono le premesse, la proposta di riforma avanzata in Senato, a parere di chi scrive, non sarebbe in grado di rimuovere definitivamente le criticità presenti nelle già richiamate leggi e, soprattutto, non sarebbe in grado di porre un freno alla medicina difensiva e dunque di tutelare adeguatamente gli esercenti le professioni sanitarie.

Difatti il disegno di legge n. 1533 propone di modificare l’art. 590 sexies c.p. nel senso che segue: “l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attiene alle raccomandazioni previste dalle linee-guida come definite e pubblicare ai sensi della legge, ovvero, in mancanza di queste, alle buone pratiche clinico-assistenziali, non risponde penalmente per colpa lieve per i fatti di cui agli artt. 589 e 590, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee-guida o buone pratiche risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Anche ad un occhio meno attento non sfuggirà che, così come pensata, la riforma non presenta alcun profilo di novità.

Essa invero compie un notevole passo indietro atteso che non solo esplicito è il richiamo alla colpa lieve già operato dalla Legge Balduzzi con l’eliminazione delle tre matrici della colpa generica ed al contempo mantiene la previsione dell’adeguatezza delle linee-guida applicate (o in mancanza delle buone pratiche) alla specificità del caso concreto introdotta dalla Legge Gelli.

La riforma altro non è che un compendio di diverse disposizioni che hanno già mostrato profili di criticità e di inadeguatezza rispetto alla materia da disciplinare e che in nulla pertanto innoverebbe rispetto al passato più o meno recente.

Conseguentemente se la ratio del disegno di legge è quella di eliminare i profili di problematicità legati alla applicazione della Legge Gelli-Bianco, qualora il testo dovesse essere approvato così come ripensato, a parere di chi scrive non può che preannunciarsi una nuova ed inevitabile sconfitta, a danno – ancora una volta – di chi esercita quotidianamente le professioni sanitarie.


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