Via Ignazio Falconieri, una pagina afragolese di storia giacobina
Sommario: 1. Via Falconieri – 2. Ignazio Falconieri: <<Carneade, chi era costui?>> – 3. Il giacobinismo nell’Italia meridionale – 4. Il Falconieri ad Afragola – 5. Cattura e condanna a morte di Ignazio Falconieri
1. Via Falconieri
Non chiedetemi che cosa mi ha spinto a ripercorrere strade antiche e care alla mia memoria in una grigia giornata di dicembre; sarà forse stata la tragica allegria del naufrago, ma ho rivisto oggi il vico della mia infanzia, stretto e lungo come i vecchi lampioni che ancora oggi illuminano certe strade cittadine.
Protetto da una doppia fila di vecchi palazzi, alcuni dei quali ristrutturati alla buona, sembra una stanca sentinella del passato, posta a difesa di una storia che da oltre due secoli più nessuno ricorda.
Manca la vecchia fontana pubblica e non c’è più il profumato salone del barbiere dove mio padre mi conduceva per mano; per le strade non si sente più il caldo ed avvolgente odore delle caldarroste, ma nella mia mente tutto è rimasto immutato a Via Falconieri e dietro i muri ingialliti di stanche case ormai deserte riesco ancora ad udire tutte le voci che accompagnarono la mia fanciullezza.
In tutta Italia, pensate, il nome di Ignazio Falconieri appartiene ormai ad un polveroso album dei ricordi nascosto in una vecchia soffitta: una piazza a Lecce, una strada a Napoli e un vico ad Afragola sono gli unici luoghi rimasti a tramandare ai posteri il ricordo di un artefice non secondario della Repubblica partenopea, di un educatore della gioventù che cercò costantemente di coniugare pensiero ed azione e che celebrò con il proprio sangue il sacro ed inviolabile principio della libertà.
Via Falconieri non è soltanto il vico della mia infanzia e dei miei ricordi sereni e spensierati: è principalmente un affettuoso e grato ricordo che Afragola ha saputo dedicare alla memoria di un uomo generoso e grande nei suoi ideali, che nella mia terra operò, trasmettendo un sogno di libertà ed uguaglianza sociale, che i nostri padri non dimenticarono mai.
2. Ignazio Falconieri: <<Carneade, chi era costui?>>
Nato a Monterone di Lecce il 16 febbraio 1785 da una agiata famiglia borghese, Ignazio Falconieri, maestro del Galiani e del Cuoco, fu sacerdote, professore e giacobino, teso in ogni circostanza della sua vita al perseguimento utopico di una nuova società uguale per tutti e svincolata da ogni gerarchia autoritaria, ma non autoritativa.
La giustizia sociale fu il parametro di tutta la sua vita, fu il giudizio etico che, nella fase giacobina, lo portò ad assumere il ruolo dirigente dell’intellettuale e a propugnare una nuova e diversa aristocrazia, fondata sulle realtà dell’intelletto e dell’animo.
L’educazione dell’intelletto e dell’animo, del pensiero e dell’azione, dovevano, secondo il Falconieri, trovare un terreno fertilissimo nelle menti fervide ed appassionate dei giovani, per evitare il rischio di diventare una enumerazione di enunciati utopici, imbevuti di idee astratte e di grandi ideali impersonali e lontani dalla storia vissuta e concreta delle masse popolari.
Queste sue idee, negli ultimi anni della sua breve esistenza, egli cercò di diffondere in Afragola, che, dopo la caduta della Repubblica partenopea, era diventata, nell’ambito della provincia napoletana, una delle poche roccaforti della resistenza giacobina.
Pur nella sua immediatezza, non fu il Falconieri una figura facilmente classificabile, ma una cosa è certa: prima che sacerdote, prima che borbonico o giacobino, egli fu essenzialmente un maestro della gioventù e nell’insegnamento profuse le sue migliori energie, convinto che la scuola era vita e che la vita era un terreno dove si aravano le “pari opportunità”, senza prevenzioni e senza dogmatismi.
Scendendo nello specifico biografico, dopo aver studiato retorica e letteratura greca presso il seminario di Nola, tenne presso lo stesso la cattedra di retorica dal 1785 al 1786.
Esonerato a causa delle sue idee ritenute poco ortodosse dalle sfere gerarchiche, si recò a Napoli, dove diresse una scuola privata e dove strinse amicizia con alcuni illuministi di rilievo nazionale.
Fu artefice non secondario della Repubblica partenopea e, dopo la caduta della stessa, si recò a Capua, lottando strenuamente fino alla caduta della città.
Il 28 luglio del 1798, caduta Gaeta, si travestì da soldato francese per sfuggire all’arresto, ma fu riconosciuto ed imprigionato.
Scomunicato dal vescovo di Ugento, fu condannato a morte e decapitato a Napoli, a Piazza del mercato.
Aveva quarantaquattro anni.
Inizialmente borbonico, divenne giacobino a Napoli e la sua azione divenne apertamente rivoluzionaria quando gli fu tolta la cattedra di retorica nella città partenopea.
Come molti sacerdoti dell’epoca, ebbe una vocazione sacerdotale velleitaria e confuse i valori cristiani con le rivendicazioni della rivoluzione francese, ritenendo gli intellettuali “arbitri” e “magistri” della storia.
3. Il giacobinismo nell’Italia meridionale
Benché quella giacobina sia stata una rivoluzione imposta e poco compresa dal popolo, l’influenza del giacobinismo francese ebbe in Italia, soprattutto al Mezzogiorno, forti accenti fino al 1789.
L’utopia di una società perfetta e di un’etica fondata sulle virtù domestiche e civili, sull’altruismo, sull’onestà e sulla lealtà, ebbe una facile presa anche sulle masse popolari, che, pur non comprendendo la portata filosofica di certe affermazioni, intuirono in esse quel senso di libertà da tempo soppresso dalla tirannia di vecchi e nuovi signori, dai soprusi atavici di tutti i regimi ai quali avevano dovuto soggiacere.
Non a caso il primo club giacobino fu istituito a Napoli nel 1793 e fu accolto dal popolo con una certa simpatia.
Nella loro spasmodica ansia di ricostruzione della società, però, i giacobini sin da subito videro nell’oppositore politico un nemico da combattere, tanto che la volontà riformatrice divenne settarismo ed intolleranza.
L’abiura della religione, poi, apparirà incomprensibile alle popolazioni meridionali e diverrà la causa principale dell’avanzata sanfedista.
Afragola, terra di sacerdoti e di contadini fino al primo quarantennio dei Novecento, ebbe una parte molto importante sia nella fase del giacobinismo che in quella del sanfedismo.
4. Il Falconieri ad Afragola
La quasi totale distruzione delle carte dei processi politici che si tennero tra l’estate del 1798 e la primavera del 1800 costituisce una perdita inestimabile per la storia del movimento giacobino italiano.
Ricostruire, pertanto, la vicenda di Ignazio Falconieri è impresa ardua, impossibile allo stato attuale della ricerca.
Sappiamo, però, che il 7 febbraio del 1799 concorse alla fondazione della “Scuola d’istruzione” nella provincia napoletana e che fece parte della guardia nazionale napoletana, con il grado di capitano della quarta Compagnia nel IV battaglione.
Sappiamo anche che, divenuto Commissario di campagna il 12 maggio 1799, fece arrestare Lelio Parise e fucilare altre sette persone delle quali si ignora l’identità.
La nomina a Commissario di campagna consentì al Falconieri di usare la religione come strumento privilegiato di comunicazione con le masse popolari, capovolgendo l’immagine che di rivoluzione e rivoluzionari aveva dato la letteratura antigiacobina.
Non a caso il martire leccese pose ad Afragola la base della IV Compagnia, dove più evidente apparve il connubio tra la borghesia, i numerosi intellettuali di fede giacobina e il popolo.
Quella che sarà chiamata “Via Falconieri” consentì alla quarta Compagnia ottimi appostamenti difensivi e, quando necessario, di attacco, a causa delle numerose cavità nate dal taglio della pietra tufacea.
Il dedalo di viuzze (la zona scelta dal Falconieri, all’epoca dei fatti, era strettamente collegata con l’attuale Via Caracciolo e con l’inestricabile dedalo di vicoletti visibili in parte ancora oggi) apparve ideale al Falconieri.
Da questa ampia posizione strategica, il Falconieri, per diversi mesi, sostenne ed ampliò l’ansia riformistica giacobina, fornendo viveri, armi e proseliti non solo agli afragolesi, ma anche ad Acerra, Pomigliano d’Arco, Marigliano e Nola.
Tutto sarebbe precipitato di lì a poco e un vecchio nemico del Falconieri, Lelio Parise, avrebbe avuto la sua rivincita.
5. Cattura e condanna a morte di Ignazio Falconieri
Il 12 maggio del 1799 il Falconieri aveva fatto arrestare Lelio Parise assieme ad altre sette persone delle quali ci è completamente ignota l’identità.
Mentre questi ultimi, però, vennero fucilati, il Parise, all’epoca Commissario di campagna, uscì pulito dal processo, grazie a don Michelangelo De Novi, segretario del Tribunale di campagna.
Il Parise non dimenticò mai quell’arresto e, pur rimanendo per un certo periodo fuori dalla politica attiva (nel 1806 fu reintegrato nel vecchio incarico e nel 1817 divenne Consigliere della Corte suprema di giustizia), non tralasciò mai di seguire con attenzione l’attività del Falconieri, aspettando con pazienza e determinazione il momento giusto per colpire quello che per lui era diventato il principale bersaglio da colpire, potendo fare affidamento su diversi infiltrati e godendo della stima incondizionata della reale casa borbonica, alla quale in realtà era sempre stato legato.
Caduta la Repubblica partenopea, don Armando Guerra, parroco di S. Maria d’Aiello, rivelò al Parise il meandro di strade dove il Falconieri era solito stanziare in Afragola.
Costretto a scappare da Afragola, il Falconieri si rifugiò nella fortezza di Capua, dove, con le truppe francesi, tentò invano di difendere la città dagli attacchi dei sanfedisti.
Il 28 luglio, caduta Gaeta, l’ultimo baluardo del giacobinismo meridionale, tentò di sottrarsi all’arresto travestito da soldato francese.
Condannato a morte, fu decapitato a Napoli, a piazza del Mercato, dopo essere stato spogliato dell’abito talare dal vescovo di Ugento.
Le sue ossa riposano a Napoli nella Chiesa del Carmine maggiore.
Il 31 ottobre del 1799 terminò la vita di un uomo che additò alla gioventù la via della saggezza e della virtù per il trionfo della libertà.
La sua attività di sacerdote lascia molto perplessi ed è uguale a quella di tanti sacerdoti che aderirono al giacobinismo francese, ma il Falconieri si eleva su tutti gli altri per l’altezza morale e per l’opera incessante ed eroica di educatore della gioventù e del popolo.
Afragola, all’epoca dei fatti vera roccaforte degli ideali giacobini, scrisse, grazie ad Ignazio Falconieri, una delle pagine più significative della sua lunga storia.
Il ricordo di Ignazio Falconieri, trasmesso a noi dai nostri padri, merita di essere perpetrato alle nuove generazioni: nella storia non importano le ragioni o i torti, ma gli ideali che sostennero le une o gli altri e il Falconieri fu maestro di forti ideali e di dedizione ad essi.
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Andrea Romano
Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.
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